«Intravedere un cammino»

POESIA NORDICA IN TRADUZIONE

di Bruno Berni

intravedere 1Una storia della traduzione delle letterature nordiche nel nostro paese è ancora tutta da scrivere. Iniziata – dopo singole eccezioni precedenti – nei primi anni del Novecento, e continuata a lungo con molta lentezza, la mediazione della letteratura danese, svedese e norvegese in Italia è stata segnata, soprattutto nel corso del suo primo pionieristico periodo, da una anomalia che la accomuna probabilmente a quella da altre aree culturali di “minore” diffusione: l’assenza – o almeno la grande rarità – di mediatori che conoscessero direttamente tali lingue e culture e fossero in grado di valutarne, selezionarne, tradurne i frutti. Di qui il ricorso fin troppo frequente alla traduzione di seconda mano (dal francese prima, più tardi dal tedesco), che a sua volta comportava un ritardo nella mediazione in lingua italiana anche delle voci più importanti – con alcune eccezioni rappresentate da nomi come Strindberg e Ibsen –, ed era infine alla base di scelte che nella migliore delle ipotesi erano fatte sotto cieli diversi e talvolta – senza un contatto diretto con il contesto – potevano apparire o essere del tutto casuali.

Va detto che tradurre di una cultura la prosa significa ampliare i suoi effetti nello spazio e forse è spesso operazione meno complessa per il carattere denotativo del testo, che contiene al suo interno – o almeno dovrebbe contenere – un numero più ampio di elementi referenziali che permettono al lettore una rapida contestualizzazione. Tradurre il genere poetico significa invece permettere al pubblico di un’altra area linguistica di accedere agli aspetti più intimi di una cultura diversa; avviene forse al meglio in un momento più maturo nella storia della mediazione tra due culture e di norma è molto difficile operando con traduzioni di seconda mano.

La traduzione di prosa nordica prende avvio, come si è detto, all’inizio del Novecento, ma molto più tardo è dunque l’esordio nell’editoria italiana di una sistematica pubblicazione di testi di poesia, che inizia ben dopo la fine della seconda guerra mondiale. In un’epoca in cui l’ingresso delle letterature nordiche in Italia era avviato, seppur con lentezza, la situazione era ormai evidentemente matura per affrontare la mediazione di testi poetici, sebbene con molta difficoltà in un paese come l’Italia dove le edizioni di poesia sono ancora oggi poche, di scarsa diffusione e spesso riservate a scrittori stranieri già noti. Come poi siano riusciti a diventarlo non è dato sapere.

Dopo una positiva tendenza alle soglie della guerra, grazie al periodo fiorente delle collane di letteratura straniera, tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta del Novecento la traduzione di narrativa nordica subisce però un rallentamento, frutto probabilmente delle scelte precedenti, che avevano creato pregiudizi in parte negativi nei confronti di tali letterature. Ma alla scarsa propensione dell’editoria italiana a pubblicare prosa dei paesi scandinavi corrisponde un dato positivo, ovvero la pubblicazione, negli anni sessanta e settanta, di varie antologie, e soprattutto antologie poetiche, a riprova che un sottile filo teneva in vita la ricerca sulla produzione letteraria del Nord.

Ciò che vale per i poeti di letterature più note in Italia – ovvero che la prima strategia di accesso è quella frammentaria e antologica –, vale in parte anche per i poeti nordici. Per loro natura i testi poetici si prestano a essere proposti singolarmente – in rivista, in antologia – e solo successivamente in raccolte organiche, atto che in genere coincide con l’affermazione di una letteratura, poi di un singolo poeta, in un paese diverso da quello di origine. Fare un preventivo bilancio del passato pare la strategia abituale dei mediatori, confermata anche in questo caso.

Come è naturale, la prima ampia antologia generale di poesia scandinava, curata da Mario Gabrieli nel 1967, ha dunque valore retrospettivo. Inserendosi in un contesto dove la poesia nordica era pressoché sconosciuta, Gabrieli ricostruisce un panorama di tutto il Novecento, e «rifiutando l’astratto criterio della completezza in favore di quello senza dubbio soggettivo, e se si vuole persino arbitrario» (Gabrieli, De Cesaris 1967, V) parte dalle liriche di Ibsen e Strindberg e fa attraversare alle traduzioni l’intero secolo in «una linea storico-documentaria» (Gabrieli, De Cesaris 1967, VI) che giunge al danese Thorkild Bjørnvig (1918-2004), poeta del rinnovamento post-bellico, traduttore di Rilke, legato al gruppo della rivista «Heretica».

Laureato con Giuseppe Gabetti nel 1938, da allora attivo come critico e traduttore di letterature nordiche, Gabrieli fu caposcuola della scandinavistica italiana, professore all’Istituto Orientale di Napoli dal 1961 al 1976. E non è un caso se la vera fine dell’“anomalia” della mediazione di letterature nordiche in Italia – con i problemi di cui si è detto – coincide con l’inizio della formazione accademica in tale disciplina, perciò con la formazione di mediatori in grado di accedere direttamente alla lingua e di essere legati all’intero contesto culturale in cui una letteratura si è sviluppata.

Di pochi anni successiva a quella di Gabrieli è un’antologia di Poesia moderna danese curata da Maria Giacobbe per le Edizioni di Comunità di Milano nel 1971. Nata in Sardegna, ma trasferitasi in Danimarca nel 1958, la scrittrice Maria Giacobbe è da decenni profondamente legata alla cultura del suo paese di adozione e il suo nome affiora spesso tra quelli dei più noti mediatori. Nel caso dell’antologia del 1971, l’intento esplicito è quello di far conoscere «una letteratura sconosciuta in Italia» con un’antologia che raccoglie «duecentocinquantanove opere, quarantun autori, per presentare a un pubblico straniero l’ultimo mezzo secolo della produzione poetica di uno dei paesi europei più minuscoli» (Giacobbe 1971, 19). Così Giacobbe attraversa tutto il Novecento danese, partendo da un autore ormai classico come Johannes V. Jensen (1873-1950), per arrivare però, contrariamente a Gabrieli, fino a poeti che al momento della pubblicazione avevano esordito da meno di un decennio, come Poul Borum (1934–1996), Inger Christensen (1935-2009), Peter Poulsen (1940) e Henrik Nordbrandt (1945). Nella sua antologia perciò appare chiaro l’intero sviluppo della poesia danese moderna dalle prime voci, che avevano profonde radici nell’Ottocento, agli ultimi autori, che raccoglievano una lunga eredità e rappresentavano i precursori – alcuni tuttora attivi – della poesia contemporanea.

intravedere 2Nel 1979 è la stessa Giacobbe a presentare una nuova antologia, in un contesto editoriale più favorevole. Giovani poeti danesi, da lei curata, esce per Einaudi e della precedente «è concepita come una continuazione», come nota Uffe Harder nell’introduzione al volume (Giacobbe 1979, VI), perché chiude il panorama della poesia danese riprendendo il filo interrotto pochi anni prima e portandolo alle voci più attuali degli anni settanta, da Klaus Rifbjerg (1931-2015) a Marianne Larsen (1951).

Esperienza analoga a quella di Maria Giacobbe, ma sul versante della poesia svedese, è quella di Giacomo Oreglia, trasferitosi in Svezia fin dal 1949 e di conseguenza come lei vicino all’esperienza della contemporaneità, perciò adatto più di altri a renderne conto al lettore italiano. Del 1958 è la sua antologia Poesia svedese (Oreglia 1958), che inevitabilmente raccoglie – al pari dell’opera di Gabrieli – una lunga panoramica della lirica svedese da Heidenstam (1859-1940) e Strindberg (1849-1912) fino a Tomas Gösta Tranströmer (1931-2015) e Lars Gustafsson, riempiendo con un volume di duecento pagine – che in una successiva edizione ampliata nel 1966 diventano più di cinquecento (Oreglia 1966) – una lacuna storica, con lo scopo di «modulare una nuova variazione del mondo spirituale nordico, conosciuto soltanto attraverso presenze drammatiche, legate a una dialettica temporale più che a un sentimento universale», come sottolinea Salvatore Quasimodo nella prefazione al volume (Oreglia 1958, 7; 1966, IX).

L’attività di Oreglia per la Svezia si esprime soprattutto in questo senso, con la casa editrice Italica di Stoccolma, che per molti anni ha pubblicato poeti svedesi in italiano e poeti italiani in svedese. Se però le antologie di testi di Quasimodo e Montale tradotti in svedese hanno avuto il sicuro merito di far conoscere la poesia italiana al paese del Nobel, altra è la situazione delle molte raccolte di poeti svedesi pubblicate dalla Italica, da Artur Lundkvist (1906-1991) a Harry Martinson (1904-1978), da Gunnar Ekelöf (1907-1968) a Karl Vennberg (1910-1995). Nonostante le buone intenzioni, accogliere in un contesto editoriale straniero delle traduzioni italiane di poeti svedesi non ha contribuito alla loro effettiva diffusione nel nostro paese, poiché il lettore italiano non specialista non ha mai avuto accesso alle edizioni della Italica.

Ma se è insolito il contesto editoriale, la strategia è quella giusta. È vero che al processo di mediazione delle antologie di poesia, che riportano fedelmente un panorama della lirica di un paese affinché il lettore – italiano in questo caso – abbia la possibilità di colmare una lacuna di conoscenza, deve subentrare prima o poi quello delle antologie personali. Se presentare la poesia di una nazione richiede uno sforzo per contestualizzare il genere e aggiornare il lettore sullo stato dell’arte, tradurre per la prima volta una scelta di un singolo poeta è il naturale passo successivo. Con l’unico inconveniente – dettato spesso dalla consapevolezza che forse non sarà mai più possibile dedicargli un intero volume – che a volte il curatore è costretto a scegliere una serie limitata di testi che possa da sola fornire un panorama di un’intera produzione personale, e questo non è sempre possibile.

Ma la costruzione di panorami antologici di una letteratura nazionale “nuova” serve appunto a creare un contesto nel quale inserire una conoscenza più approfondita del passato. Nella prosa nordica, all’iniziale ritardo con cui venivano importate le opere in Italia è seguita un’epoca, quella attuale, in cui l’accelerazione del mercato porta nelle librerie italiane opere che quasi nello stesso momento compaiono in quelle scandinave, lasciando però intatta una lacuna che priva i lettori italiani della maggior parte dei classici moderni, ovvero di molta letteratura del Novecento. Nel campo della poesia invece, che pure ha cominciato a essere tradotta molto più tardi, la possibilità di colmare tale divario con le antologie ha paradossalmente ridotto le lacune e il lettore italiano ha a disposizione un panorama adeguato al quale attingere nel momento in cui si comincia a tradurre il presente. È vero infatti che dopo le antologie citate, e altre di minore ampiezza, a partire dai successivi decenni ha cominciato a svilupparsi nell’editoria italiana una lenta ma costante scoperta di singoli autori di poesia contemporanei.

Così altre antologie hanno trattato poeti della nostra epoca, come Camminando nell’erica fiorita, curata nel 1989 da Fulvio Ferrari col criterio di «operare una scelta che privilegiasse l’aspetto dinamico, che lasciasse intravedere un cammino» (Ferrari 1989, 8). Oppure hanno perduto l’occasione per farlo, come Lirica scandinava del dopoguerra, curata da Gianna Chiesa Isnardi (1997), che ancora ignora poeti che già a partire dalla metà degli anni settanta hanno rappresentato un radicale rinnovamento nella poesia nordica contemporanea.

Il contributo di riviste di ampia diffusione contribuisce talvolta a portare all’attenzione i nomi più recenti, come nel caso della poesia danese (Ashley Conrad, Berni 1998), e a poco a poco, in contesti editoriali diversi e spesso assolutamente adeguati, sono comparse opere o scelte degli svedesi Harry Martinson (Oreglia 1975; Lombardi 2005) e Tomas Tranströmer (Lombardi 2001 e 2011a; Chiesa Isnardi 2011b), che hanno ottenuto il premio Nobel rispettivamente nel 1975 e nel 2011, o di Lars Gustafsson (Lombardi 2010), e dei danesi Henrik Nordbrandt (Berni 2000, 2014), Søren Ulrik Thomsen (Berni 2004 e 2015b) e Inger Christensen (Rasmussen Pin, Curti 1987; Berni 2012, 2013 e 2015a). Senza dimenticare autori più recenti come Michael Strunge (Berni 2014a), che seppure precocemente scomparso nel 1986 ha influenzato molta poesia danese degli ultimi decenni, Morten Søndergaard (Berni 2010 e 2014d) e persino Yahya Hassan (Berni 2014b), discusso fenomeno mediatico esploso improvvisamente nel 2013 e subito tradotto nella maggior parte delle lingue europee.

La vivacità della lirica in paesi in cui la composizione e la pubblicazione di poesia, e le letture pubbliche, hanno persino risonanza popolare e uno status ben diverso da quello loro concesso nel nostro paese, comincia perciò a mettere radici anche nel mercato italiano. Ma a dispetto dell’influenza positiva esercitata da Nobel come quello a Tranströmer, o dei fenomeni mediatici, è vero che se da una lato un personaggio fondamentale come Inger Christensen è stato tradotto prevalentemente dopo la sua scomparsa, dall’altro manca uno sviluppo che porti i poeti nordici nelle librerie italiane con maggiore rapidità, come avviene per la prosa di quell’area culturale. Se questo sia possibile in un paese in cui le tirature delle collane di poesia sono – tranne forse rare eccezioni – molto limitate, non è possibile dirlo. Ma osservando la tendenza negli ultimi decenni si può ipotizzare che se può accadere accadrà e forse in parte sta già accadendo: non mancano le condizioni – la presenza di mediatori, una parziale apertura del mercato −, mentre sono scomparsi, come nella prosa, molti pregiudizi che scoraggiavano editori e lettori italiani di fronte alle letterature nordiche.

Un discorso a parte, che può essere emblematico delle difficoltà e delle strategie della mediazione, riguarda la poesia norvegese, che compare sempre nelle antologie, ma a livello di singoli autori non è rappresentata nell’editoria italiana con la stessa frequenza di quella degli altri paesi nordici. Una singola antologia “nazionale” come Il sogno di Olav e altra poesia norvegese (Pisanti, Riis 1981) e una scelta di otto poetesse in rivista (Carù, Sævold 1998) non sono sufficienti a fornire al lettore italiano un panorama convincente, e se pure un nome fondamentale come Olav H. Hauge (1908-1994) è presente nelle librerie (Ferrari 2008), mentre a Rolf Jacobsen (1907-1994) è dedicata un’edizione difficilmente reperibile, con una traduzione inadeguata (Langen Moen, Arkefors 2006), mancano all’appello raccolte di Jan Erik Vold (1939), Paal-Helge Haugen (1945), Cecilie Løveid (1951), per citare solo alcuni dei poeti che potrebbero essere pubblicati, e nulla o quasi è stato tradotto di autori più recenti.

Non si tratta dunque di mancanza di nomi validi, poiché nelle letterature nordiche – e dunque anche in quella norvegese − la poesia, come si è detto, è un genere molto frequentato e con un impatto culturale maggiore di quello che ha in Italia: in questo caso è probabilmente solo una carenza, al momento attuale, di mediatori disposti ad affrontare un genere di traduzione diverso e – almeno in apparenza − ostico. L’analisi della bibliografia di traduzioni poetiche dallo svedese e dal danese, con il frequente ricorrere dei nomi dei curatori, dimostra che la traduzione di poesia rappresenta una specializzazione in genere poco frequentata, ma che un numero anche limitato di mediatori può fare la differenza per un paese.

Se infatti è normale e anche utile che un traduttore editoriale si occupi nel corso della sua carriera di vari generi, questo esclude il più delle volte la traduzione di versi. Forse perché tradurre e pubblicare poesia è un atto più complesso rispetto alla traduzione di narrativa o di saggistica: richiede strategie editoriali che differiscono da quelle della prosa e una modalità compositiva tutto sommato assolutamente diversa. Frequente è un processo inverso, che porta il curatore a proporre l’opera, non l’editore a commissionarla, a causa di quell’aspetto profondo del testo che impone al mediatore un’immedesimazione con un’anima intangibile ma affine, facendo del lavoro in versi qualcosa di più complesso della prestazione artigianale di altissimo livello che la traduzione in prosa pure rappresenta. Ma soprattutto tradurre poesia da lingue scarsamente diffuse come quelle nordiche significa, come si è visto, sostenere per intero la responsabilità della mediazione – forse più che per la traduzione di prosa –, poiché mai si verifica la fortuna di avere un interlocutore – l’editore – in grado di accedere personalmente agli originali, e anche la presenza del testo a fronte, uso comune per le raccolte di versi in Italia, non cancella nel traduttore la consapevolezza che pochi lettori sapranno apprezzare davvero il lavoro gettando uno sguardo all’originale.

Tradurre poesia è un’attività che spesso non può avere precise scadenze, un lavoro che, soprattutto nel caso delle antologie, rappresenta un atto senza fine di certosina composizione. L’archivio di un traduttore di versi è sempre fornito di inediti, perché spesso si traduce più del necessario, e soprattutto se si compongono scelte antologiche è normale scartare una percentuale di testi, produrne più del dovuto conservando poi i migliori o semplicemente quelli che meglio si adattano al carattere della scelta o alla lingua di arrivo. Del resto tradurre una scelta è cosa molto diversa dal tradurre una raccolta organica: per certi aspetti è un’operazione che permettendo di selezionare consente maggiore libertà, di scegliere tra un numero di prove ridondante, adattare e comporre un volume a proprio gusto, in nome di quel criterio «senza dubbio soggettivo, e se si vuole persino arbitrario» (Gabrieli 1967, V) che porta un’antologia ad assumere i connotati dati dal curatore. Una raccolta organica impone invece di ricomporre l’atmosfera voluta dall’autore e riuscire a riprodurla a qualunque costo, anche imbattendosi in testi complessi per stile, contenuto, sonorità. Trovandosi a volte a riflettere sull’assunto che tradurre poesia sia atto impossibile.

Per quanto riguarda l’atteggiamento del mercato, come si è detto il momento appare favorevole, nonostante la nota ritrosia degli editori nell’affrontare per la prima volta poeti del tutto sconosciuti e le difficoltà del lettore italiano a cimentarsi con un genere che il sistema scolastico contribuisce a rendere ostile. Ma a giudicare dal favore che non di rado accoglie i versi di poeti nordici e persino alcune pubbliche letture, pare talvolta che parte della poesia scandinava – come quella di aree a lungo più note – si stia trasformando in una poesia senza paese, entrata a far parte del canone letterario di chi ama leggere versi, alla portata di ogni lettore: l’obiettivo più ambito della mediazione di letteratura.

Riferimenti bibliografici

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– 2004: Søren Ulrik Thomsen, Vivo, a cura di Bruno Berni, Donzelli, Roma 2004 (da Søren Ulrik Thomsen, Levende, scelta da En dans på gloser, København, Vindrose, 2001)

– 2010: Morten Søndergaard, Ritratto con Orfeo e Euridice, traduzione di Bruno Berni, postfazione di Elisabeth Friis, Kolibris, Bologna 2010 (da Morten Søndergaard, Portræt med Orfeus og Eurydike)

– 2012: Inger Christensen, Scale d’acqua, traduzione di Bruno Berni, postfazione di Elisabeth Friis, Kolibris, Ferrara 2012 (da Vandtrepper)

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– 2014a: Henrik Nordbrandt, La casa di Dio, traduzione di Bruno Berni, postfazione di Dan Ringgaard, Kolibris, Ferrara 2014 (da Henrik Nordbrandt, Guds hus, Lund, Ellerström, 1988)

– 2014b: Yahya Hassan, Yahya Hassan, traduzione di Bruno Berni, Rizzoli, Milano 2014 (da Yahya Hassan, Yahya Hassan, København, Gyldendal 2013)

– 2014c: Michael Strunge, La velocità della vita, a cura di Bruno Berni, Roma, Elliot, 2014 (da Livest hastighed. Digte, København, Borgen, 1978)

– 2014d: Morten Søndergaard, A Vinci, dopo – Gli alberi hanno ragione. Blog, traduzione e cura di Bruno Berni, Del Vecchio, Bracciano 2014 (da  Morten Søndergaard, Vinci, senere, København, Borgen, 2002)

– 2015a: Inger Christensen, La valle delle farfalle, a cura di Bruno Berni, Donzelli, Roma 2015 (da Inger Christensen, Sommerfugledalen. Et requiem, København, Brøndum 1991)

– 2015b: Søren Ulrik Thomsen, Specchio scosso, traduzione e postfazione di Bruno Berni, Kolibris, Ferrara 2015 (da Søren Ulrik Thomsen, Rystet spejl. Digte, København, Gyldendal, 2011)

Carù, Sævold 1998: Otto poetesse norvegesi del Novecento, a cura di Paola Carù e Ann Magritt Sævold, in «Poesia», n. 114, Anno XI, febbraio 1998, pp. 10-26.

Chiesa Isnardi 1997: Gianna Chiesa Isnardi, Lirica scandinava del dopoguerra. Voci e tendenze più significative, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa 1997

– 2011: Tomas Tranströmer, La lugubre gondola, traduzione e curatela di Gianna Chiesa Isnardi, Rizzoli, Milano 2011 (da Tomas Tranströmer, Sorgegondolen, Stockholm : Bonnier, 1996

Ferrari 1989: Camminando nell’erica fiorita. Poesia contemporanea scandinava, a cura di Fulvio Ferrari, Lanfranchi, Milano 1989

– 2008: Olav H. Hauge, La terra azzurra, a cura di Fulvio Ferrari, introduzione di Idar Stegane, Crocetti, Milano 2008 (scelta antologica).

Gabrieli, De Cesaris 1967: 50 anni di poesia nordica, a cura di Mario Gabrieli, traduzioni di Silvia De Cesaris Epifani, Quaderni degli Annali, IV, Bardi, Roma 1967

Giacobbe 1971: Poesia moderna danese, a cura di Maria Giacobbe, Edizioni di Comunità, Milano 1971

– 1979: Giovani poeti danesi, a cura di Maria Giacobbe, introduzione di Uffe Harder, Einaudi, Torino 1979

Langen Moen, Arkefors 2006: Rolf Jacobsen, Aperto di notte, a cura di Randi Langen Moen e Christer Arkefors, inEdition, Bologna 2006 (da Rolf Jacobsen, Nattåpent. Dikt, Oslo, Gyldendal, 1986)

Lombardi 2001: Tomas Tranströmer, Poesia dal silenzio, a cura di Maria Cristina Lombardi, Crocetti, Milano 2001 (scelta antologica)

– 2005: Harry Martinson, Aniara. Odissea nello spazio, a cura di Maria Cristina Lombardi, postfazione di Jacopo Ricciardi, Scheiwiller, Milano 2005 (da Harry Martinson, Aniara. En revy om människan i tid och rum, Helsingfors, Schildt, 1956)

– 2010: Lars Gustafsson, Sulla ricchezza dei mondi abitati, a cura di Maria Cristina Lombardi, Crocetti, Milano 2010 (scelta antologica)

– 2011: Tomas Tranströmer, Il grande mistero, a cura di Maria Cristina Lombardi, Crocetti, Milano 2011 (da Tomas Tranströmer, Den stora gåtan, Enskede, TPB, 2004)

Oreglia 1966: Giacomo Oreglia, Poesia svedese. Antologia critica, prefazione di Salvatore Quasimodo, Lerici Editori, Milano 1966

– 1975: Harry Martinson, Le erbe nella Thule, traduzione di Giacomo Oreglia, Einaudi, Torino 1975 (da Harry Martinson, Gräsen i Thule, Stockholm, Bonnier, 1958)

Pisanti, Riis 1981: Tommaso Pisanti e Elin Riis, Il sogno di Olav e altra poesia norvegese. Antologia con testi a fronte, Guida, Napoli 1981.

Rasmussen Pin, Curti 1987: Inger Christensen, Alfabeto. Poesie, a cura di Inge Lise Rasmussen Pin, traduzione di Inge Lise Rasmussen Pin e Daniela Curti, Giardini, Pisa 1987 (da Inger Christensen, Alfabet, København, Gyldendal 1981)