di Paola Mazzarelli
È morta il 25 aprile scorso Magda Olivetti, di illustre famiglia, laureata in fisica, traduttrice dal tedesco e fondatrice nel 1992 della prima scuola di traduzione (Setl – Scuola europea di traduzione letteraria) creata in Italia. Di lei e del suo lavoro hanno parlato tra gli altri Anna Ruchat sul «Manifesto» (28 aprile), Marina Pugliano a «Fahrenheit» (28 aprile), Paolo di Stefano sul «Corriere della sera» (4 maggio). A queste testimonianze rimandiamo i nostri lettori. Di lei e della sua scuola aveva parlato nel numero di «tradurre» dedicato alla formazione dei traduttori anche Giulia Baselica. Ma ci preme ricordarla anche qui, e non solo perché alcune persone della nostra redazione sono state sue allieve, ma perché a Magda tutti noi che, a vario titolo, operiamo nel mondo della traduzione editoriale, dobbiamo essere riconoscenti. Per le sue traduzioni, certo, come sempre siamo riconoscenti a chi dedica tempo ed energie per consentirci di leggere autori che altrimenti resterebbero per noi nel mondo dell’irraggiungibile. E questo è scontato. Ma a Magda si deve ben altro.
Se diverse esperienze di “insegnamento” della traduzione esistevano qua e là già prima – e del resto avvenivano anche all’interno delle case editrici, con quel proficuo scambio tra redattori e traduttori di cui oggi molto si parla, ma che pochissimo si coltiva – non c’è dubbio che la Setl ha segnato un’epoca. Chiunque si sia posto in seguito, e oggi si ponga, il problema dell’insegnare a tradurre – e di che cosa questo comporti – non può prescindere da quella esperienza: io senz’altro, che non sono stata una sua allieva, né mai l’ho incontrata se non di sfuggita, ma che oggi dirigo una scuola di traduzione volutamente ispirata al modello di quella di Magda e che mi piace pensare, con riconoscenza nei suoi confronti, come erede di quella sua prima esperienza. Il grande merito di Magda è stato quello di trasformare un’idea di traduzione e una visione della figura del traduttore in azione concreta, a favore delle generazioni più giovani. E se oggi il dibattito sul ruolo e la figura del traduttore vede molti di noi impegnati in ambiti diversi – della formazione, della riflessione teorica, della legislazione e delle associazioni di categoria – molto lo dobbiamo ai semi piantati da Magda.
La sua scuola – e dunque la sua idea di che cosa significa tradurre – ampliava, idealmente all’infinito, la “materia” di cui si nutre il traduttore che opera nell’editoria. Era una scuola che apriva, invece di chiudere; che metteva in crisi e faceva nascere dubbi, invece di dare certezze; che tendeva a portare fuori, nel mondo vasto e impervio della cultura vera, anziché a restringere quel mondo in pillole insulse ma facilmente digeribili. Come dovrebbe fare ogni vera scuola. E mi piace notare che Magda Olivetti, alla quale si debbono traduzioni di Thomas Bernhard, Ingeborg Bachmann, Arthur Schnitzler e tanti altri, era laureata in fisica. Il che mi sembra meravigliosamente in linea con quella idea della figura del traduttore come intellettuale senza confini. Come a dire: non è la laurea, non è la formazione accademica, non sono i corsi, non sono le etichette, che fanno il traduttore. Grazie, Magda, anche per questo esempio.