di Elisa Rogante
Una collana marxista di storia per una casa editrice comunista
L’interesse per la storia è stato uno dei capisaldi della produzione degli Editori Riuniti, la cui lunga presenza nel mercato editoriale italiano resta indissolubilmente legata a quella del Pci, avendone accompagnato il percorso fino al dissolvimento dell’organizzazione all’inizio degli anni novanta, e sopravvivendo alla scomparsa del suo storico proprietario. Marchio tuttora in attività – oggi fa parte del Gruppo editoriale italiano – gli Editori Riuniti nacquero nel 1953 dalla fusione delle due editrici comuniste operanti negli anni bui della guerra fredda, Edizioni Rinascita e Edizioni di Cultura Sociale, ma la sigla fu effettivamente attiva dalla fine del 1956, dopo gli sconvolgimenti che quell’anno «indimenticabile» provocarono all’interno dell’universo comunista nazionale e internazionale.
Rispetto ai primi anni di attività, segnati da maggiori limitazioni nell’elaborazione della linea editoriale, e nonostante il permanere di rigidità, schematismi ideologici e contrasti sulla linea da seguire in ambito culturale in seno alla dirigenza comunista, soprattutto da parte del gruppo dirigente storico, gli inizi della «Biblioteca di storia», sorta nell’estate del 1966, si collocano in una fase in parte diversa, quando le strutture culturali del Pci iniziarono ad aprirsi gradualmente a una maggiore libertà di espressione e al principio dell’autonomia della ricerca. Gli Editori Riuniti poterono così avviare una programmazione via via più autonoma nell’alveo della cultura marxista nazionale e internazionale. Nell’evoluzione che la linea politica e culturale del Pci seguì dopo il 1956, e poi negli anni sessanta e settanta, l’attività degli Editori Riuniti iniziò gradualmente a smarcarsi da un lavoro culturale esclusivamente subordinato alle logiche della politica e ai temi della propaganda del partito e del blocco socialista (Ghidetti 1984; Guerriero 2013). La casa editrice comunista divenne un caso unico nel suo genere non solo in ambito nazionale, ma anche nel panorama occidentale e del movimento comunista internazionale (Lottman 1978, 152-153), grazie alla capacità di coniugare impegno politico, ricerca e divulgazione con l’attenzione al mercato, perché vi fu la volontà di entrare nel circuito della grande distribuzione e gareggiare con gli editori commerciali, nonostante le debolezze che storicamente caratterizzano le strategie di diffusione e commercializzazione degli Editori Riuniti.
La seconda metà degli anni sessanta fotografa un periodo di intenso dinamismo della casa editrice in direzione dello svecchiamento, dell’ampliamento e del rafforzamento del catalogo, di una professionalizzazione del lavoro editoriale in un’ottica connessa con i cambiamenti in corso nella società, nel contesto massmediale italiani e nelle discipline del sapere, e di una maggiore attenzione alle logiche del marketing e della distribuzione editoriale, grazie agli accordi stipulati in quel periodo con le Messaggerie Italiane, che assicurarono all’editrice una presenza più qualificata in libreria. Se l’inizio del decennio fu un periodo difficile da un punto di vista economico-finanziario, perché la casa editrice aveva accumulato ingenti debiti (Bonchio 1983, XIII], il Sessantotto e la stagione dei movimenti segnarono la crescita di una «domanda di marxismo» e di una nuova generazione di lettori che, anche grazie allo sviluppo della scolarizzazione di massa dopo il prolungamento dell’istruzione obbligatoria e l’istituzione della scuola media unica nel 1962, ebbe un impatto positivo sulle vendite, risollevando l’andamento negativo degli Editori Riuniti e contribuendo al suo «decollo» e alla «svolta editoriale degli anni ’70» (Trombadori 1973).
I primi anni settanta, infatti, rappresentano la fase di massimo successo ed espansione degli Editori Riuniti (ma anche dell’editoria alternativa che si rifaceva agli ideali della vecchia e nuova sinistra) e dello stesso Pci, il quale raggiunse il suo picco elettorale con le elezioni del 1975 e del 1976. Il nuovo ciclo politico aperto dal Sessantotto e la crescita civile e democratica della società italiana segnata dai due grandi referendum sul divorzio e sull’aborto nel 1974 e nel 1978, unitamente alla rielaborazione della linea politica da parte della segreteria Berlinguer, aprirono una nuova fase del dibattito interno al Pci sui rapporti tra politica e cultura e sulla capacità di quest’ultima di contribuire al progetto comunista di rinnovamento della società italiana.
La collana «Biblioteca di storia» può essere considerata un esempio dell’evoluzione del catalogo della casa editrice verso una produzione più qualificata e meno dipendente dalle contingenze della politica comunista, seppur engagée, sostenuta da un bisogno di verifica, confronto e approfondimento scientifico, nell’ambito della ricerca e della divulgazione del sapere storico legati alla politica culturale del Pci. Come è noto, la rappresentazione della storia fu un pilastro centrale dell’identità del Pci e in generale del movimento comunista internazionale (Possieri 2007; Lavabre 1994). Il gruppo dirigente italiano attribuì alla ricerca storica e alla pubblicazione di testi e documenti sul partito e sul movimento operaio nazionale e internazionale un ruolo non secondario all’interno della sua politica culturale, e investì molte risorse ed energie sul terreno storiografico attraverso una fitta agenda di celebrazioni, la promozione di ricerche originali e di raccolte documentarie, e la creazione di un circuito di pubblicazioni per la ricerca storica fatto di riviste e istituti. La produzione editoriale di storia era stata negli anni quaranta e cinquanta strumento di formazione politica, culturale e umana dei dirigenti, dei funzionari e dei militanti comunisti, nonché di legittimazione del partito nell’alveo della storia e della cultura nazionali attraverso una ricostruzione ufficiale del passato e la produzione di una memoria collettiva dell’organizzazione. Con la «Biblioteca di storia» degli Editori Riuniti si passò a un piano organico di produzione e diffusione della storia in un’ottica marxista nel quadro generale degli studi italiani.
In particolare, la collezione degli Editori Riuniti costituì un canale importante nella realizzazione del disegno del gruppo dirigente del Pci di assumere un ruolo di primo piano nello sviluppo della storiografia contemporanea e di quella del movimento operaio in Italia, ambiti che fino all’inizio degli anni sessanta rimasero esclusi dai programmi accademici. Infatti, insieme alla creazione di un mercato editoriale che desse spazio a questi studi, il Pci e in generale la sinistra italiana si adoperarono per realizzare un ambito di ricerca, confronto e divulgazione delle nuove tematiche e dei nuovi interessi che si erano sviluppati nel secondo dopoguerra, svolgendo una «funzione suppletiva delle strutture universitarie» e traendone una «rilevante egemonia sugli intellettuali orientati verso gli studi storici» (Zazzara 2011, 57-58).
La direzione di Ernesto Ragionieri prima e di Giuliano Procacci poi, tra la metà degli anni sessanta e la metà degli anni ottanta, rappresentò il periodo di massimo splendore della collana, sia per quanto riguarda il numero complessivo di titoli pubblicati, sia per la longevità di alcune opere incluse nel catalogo che saranno ristampate nella stessa serie, in altre collezioni o da parte di altre case editrici italiane. Sotto la guida dei due studiosi della “prima generazione” italiana degli storici contemporaneisti, la «Biblioteca di storia» rispecchiò da una parte il rigore scientifico e dall’altra la tensione etico-politica che furono il filo rosso della loro attività. In quei due decenni, quindi, uscirono la maggior parte dei testi che hanno caratterizzato la collezione. Negli anni ottanta il riflusso del Pci e degli Editori Riuniti, che iniziarono ad accumulare nuovamente ingenti debiti, tanto da richiedere un ridimensionamento della struttura che causò anche le dimissioni dello storico direttore editoriale Roberto Bonchio nel 1985, e poi lo sgretolamento del mondo comunista all’inizio del decennio successivo, segnarono un lento declino della collana, anche se non la sua definitiva chiusura.
Gli inizi con Ernesto Ragionieri
Fondatore e responsabile della collana nel suo primo decennio di attività fu Ernesto Ragionieri, figura di rilievo nel panorama degli studi storici italiani e nel Pci, di cui fu membro del Comitato centrale dalla fine del 1962. Docente all’Università di Firenze, fu anche consigliere del comune natale di Sesto Fiorentino dal 1951 al 1970 e infaticabile organizzatore culturale.
Gli anni che lo videro direttore della collana, dal 1966 alla sua prematura scomparsa nel 1975, a soli 49 anni, sono quelli in cui Ragionieri fu maggiormente impegnato nella politica culturale comunista, svolgendo una parte importante nelle strutture dedicate alla ricerca storica che, tra la fine degli anni quaranta e l’inizio del decennio successivo, gravitavano nell’area della sinistra come l’Istituto Gramsci, la Biblioteca Giangiacomo Feltrinelli (poi Istituto) e l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Zazzara 2011, 52-93). Responsabile dal 1956 della Commissione culturale del Pci a Firenze e membro di quella nazionale dal 1959, Ragionieri partecipò attivamente alla nascita e allo sviluppo della rivista «Studi Storici», di cui divenne condirettore nel 1971. Nel 1966 fu chiamato anche alla vicedirezione della rivista teorica del partito «Critica marxista», e stava iniziando a lavorare alla curatela dei primi tre volumi delle opere di Palmiro Togliatti, pubblicati dagli Editori Riuniti nel 1967, 1972 e 1973, e alla sua biografia, che uscì postuma nel 1976 proprio nella «Biblioteca di storia», accompagnata dalle introduzioni che Ragionieri aveva premeso ai volumi delle Opere. Egli fu inoltre membro della Commissione del Pci per il recupero dei documenti d’archivio depositati a Mosca e di quella per il cinquantenario della fondazione del partito, nel 1971 (Detti 2001, 23-38).
La casa editrice comunista è la sede in cui lo storico fu più impegnato in quegli anni. Fu lui «l’animatore del settore storico» degli Editori Riuniti (Turi 2001, 154). La sua collaborazione con le strutture editoriali del Pci era cominciata all’inizio degli anni cinquanta, quando, ventisettenne, aveva pubblicato nella «Biblioteca del movimento operaio italiano» delle Edizioni Rinascita una delle sue primissime monografie, Un comune socialista: Sesto Fiorentino. Oltre a pubblicare altri suoi lavori personali e curare altre opere, Ragionieri fu direttore in questi anni anche delle collane «Pensiero e azione socialista» dal 1963 e «Biblioteca del movimento operaio italiano» dal 1971
Ma all’inizio degli anni settanta, Ragionieri fu anche coinvolto in due operazioni editoriali di grande respiro per Einaudi: la Storia del marxismo e l’ultimo tomo della Storia d’Italia. A causa della sua improvvisa scomparsa, Ragionieri poté partecipare soltanto alle fasi di elaborazione della Storia del marxismo; per quanto riguarda la Storia d’Italia, invece, lo storico stese gran parte del volume IV, tomo III, che poi fu completato dai suoi allievi, mentre per il periodo 1945-1975 l’opera fu scritta e firmata da Carlo Pinzani.
La direzione di Ragionieri impresse alla «Biblioteca di storia» quei tratti distintivi che essa conservò anche negli anni successivi: la predilezione per la storia moderna e contemporanea, anche se, soprattutto prima del varo della «Biblioteca di storia antica» nel 1975, vi fu la scelta di abbracciare un arco temporale vasto che va dall’antichità al presente; l’accoglimento di generi diversi come la storia politica, sociale, economica, militare, biografie, raccolte documentarie e saggi storiografici; la propensione verso autori e opere straniere che fino alla metà degli anni settanta, tra nuovi titoli e ristampe di volumi già usciti in altre collezioni, occupano all’incirca la metà del catalogo. Dal 1966 al 1976, su 58 titoli pubblicati 36 furono opere tradotte dal russo (12), dall’inglese (7), dal francese (8), dal tedesco (3), dallo spagnolo (3), dal ceco (2) e dall’ungherese (1). La prima uscita della collezione fu un testo dello storico spagnolo in esilio Manuel Tuñon De Lara, Storia della Repubblica e della guerra civile in Spagna.
I primi dieci anni di vita della «Biblioteca di storia» rispecchiano quindi il ventaglio degli interessi di Ragionieri: la storia del socialismo e del movimento operaio nazionale e internazionale, quella della Terza Internazionale, dell’Unione Sovietica e del Pci, gli studi sull’imperialismo, sulle origini della seconda guerra mondiale, sul problema della pace e della guerra, le prime indagini sul fascismo come, ad esempio, i volumi di Enzo Santarelli Storia del movimento e del regime fascista (1967) e Fascismo e neofascismo. Studi e problemi della ricerca (1974).
In particolare, tra gli obiettivi cardinali della collana c’era quello di coltivare e consolidare il nuovo terreno della storia del movimento operaio, che costituiva il nucleo centrale dell’impegno degli studiosi di area comunista: indagarne i caratteri a livello ideale e dell’organizzazione politica e sindacale, studiare la cultura materiale degli strati subalterni, mettere al passo gli studi italiani con la produzione storiografica internazionale. Come è noto, il paese al quale andava di preferenza l’attenzione di Ragionieri era la Germania, per la sua centralità nelle vicende dello sviluppo del marxismo e del movimento operaio fino alla prima guerra mondiale. Nel 1961 lo storico aveva pubblicato presso la casa editrice Feltrinelli Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani, in cui analizzava l’influenza e il ruolo dei marxisti tedeschi nella formazione del Psi, e inseriva lle vicende del partito italiano nel più ampio contesto del nascente movimento socialista internazionale. La prospettiva internazionale e l’attenzione ad allargare gli orizzonti storici della collana erano quindi legate alla metodologia di Ragionieri, secondo il quale gli studi sul socialismo e sulla storia italiana dovevano intrecciarsi a un livello superiore e collocarsi in un contesto più ampio (Detti 2001, 30).
Uno degli autori preferiti da Ragionieri fu Franz Mehring. A differenza di quanto poi fece Giuliano Procacci, Ragionieri vergò la prefazione a un buon numero di volumi, proprio a partire da Vita di Marx di Mehring, quarta uscita della serie. Del libro, pubblicato in origine nel 1918 in Germania, nel 1953 era stata inclusa la prima edizione italiana nella «Nuova biblioteca di cultura» delle Edizioni Rinascita, con una introduzione di Mario Alighiero Manacorda. Secondo Ragionieri, l’opera racchiudeva tutti i «tratti che rendono inconfondibile la fisionomia di Mehring nella storia del pensiero socialista, e ne fanno ancora oggi un punto di riferimento che ha urgente bisogno di essere compreso, discusso e sviluppato sul terreno storiografico». Nonostante le critiche che erano state mosse a quella pionieristica biografia, i «punti controversi e discutibili nei quali essa non corrisponde allo stato delle conoscenze e degli studi», per lo studioso l’opera restava «il ritratto più compiuto e più aderente che fino ad oggi ci sia stato dato», perché in essa era «incarnata la figura di Marx come “scienziato e rivoluzionario” che Engels cercò di trasmettere» (Ragionieri 1966, XIII e XLI-XLIII).
Ragionieri scrisse la prefazione anche per la Storia della socialdemocrazia tedesca, la traduzione di Mazzino Montinari della Geschichte der deutschen Sozialdemokratie dello stesso Mehring, pubblicata in Germania tra il 1897 e il 1898. Nella «Biblioteca di storia» l’opera uscì nel 1968 in due volumi, ma era già stata edita nel 1961 nella collana «Pensiero e azione socialista». Allo stesso modo il direttore collocava la Storia della socialdemocrazia tedesca come capostipite, insieme a History of Trade Unions dei coniugi Webb, del nuovo filone di studi sul movimento operaio (Ragionieri 1968, VIII). Il «carattere esemplare» di questa opera, secondo Ragionieri, era quello di «non chiudersi nell’esposizione delle posizioni ufficiali assunte dalla socialdemocrazia», ma di analizzare «le origini di queste posizioni, considerate nel loro carattere di oggetto di precise scelte politiche compiute, ben s’intende, sulla base della natura reale del partito della classe operaia e delle sue finalità programmatiche» (Ragionieri 1968, XXV), liberando la narrazione storica dalle “leggende” «che intorno ad essa hanno intessuto le classi dominanti e i fautori dell’oppressione» da una parte, e le posizioni ufficiali dei socialdemocratici dall’altra (Ragionieri 1968, XIV). In primo luogo, la ricostruzione che Mehring compiva del movimento operaio e del suo partito veniva inserita in una cornice internazionale, invece che esclusivamente tedesca; in secondo luogo, venivano identificate le matrici del movimento operaio (la rivoluzione francese, l’economia classica tedesca, la filosofia idealistica tedesca); in terzo luogo, l’attenzione era posta non sulle grandi personalità, sulla «storia dall’alto degli uomini di corte e di Stato, ma allo sviluppo della società, alla storia dei lavoratori». Al centro della narrazione, infatti, c’era la classe operaia «come nuovo soggetto storico» (Ragionieri 1968, XIV). L’opera era, in definitiva, uno degli «esempi più riusciti» della massima gramsciana secondo cui «scrivere la storia di un partito significa nient’altro che scrivere la storia generale di un paese da un punto di vista monografico, per porne in risalto un aspetto caratteristico» (Ragionieri 1968, XIII).
Per quel che riguarda la storiografia nazionale sul socialismo italiano, nella «Biblioteca di storia» apparvero Il marxismo e l’Internazionale. Studi di storia del marxismo dello stesso Ragionieri (1968), insieme alla Storia del socialismo (1789-1848). Il pensiero socialista prima di Marx di Gian Mario Bravo (1971) e a Il socialismo italiano e la guerra in Libia di Maurizio Degl’Innocenti (1976). Inoltre, per dare maggiore consistenza alle ricerche sul contesto nazionale, nel 1971 fu fondata da Ragionieri la collana «Biblioteca del movimento operaio italiano», che aveva però soprattutto caratteri di storia locale e di memorialistica.
L’analisi del marxismo all’epoca della Seconda e della Terza Internazionale rientra negli interessi più vivi della collana, così come lo fu negli studi di Ragionieri di cui, nel 1978, uscì postumo da Einaudi il suo La Terza Internazionale e il partito comunista, un contributo importante sulla storia del Pci nel contesto internazionale.
Uno dei lavori più impegnativi del periodo furono i tre volumi (di cui i primi due in due tomi) di documenti de La Terza Internazionale, usciti nel 1974, 1976 e 1979 e che, curati da Aldo Agosti, tracciano la linea di sviluppo dell’organismo dagli inizi fino allo scioglimento nel 1943, ricostruendo i dibattiti interni volti all’affermazione di una strategia rivoluzionaria internazionale nonché i rapporti fra la centrale internazionale e le diverse sezioni, grazie a traduzioni quasi fatte interamente su testi tedeschi degli atti ufficiali dei Congressi e degli Esecutivi allargati dell’Internazionale comunista. Anche qui, come si evince dalla prefazione di Ragionieri, l’intento era quello di sprovincializzare e di fare avanzare gli studi italiani sull’argomento, che venivano qualificati come arretrati a causa della «perifericità geografica e linguistica rispetto ai grandi centri direzionali e di discussione», insieme a «pregiudizi di varia natura» (Ragionieri 1974, XIII). Il «grande movimento» che si era registrato in questo campo di studi – perché l’Internazionale comunista era «entrata nella storia» a causa del venir meno delle strutture organizzative su scala internazionale tra i partiti comunisti (Ragionieri 1974, XI) – richiedeva quindi un’operazione editoriale che fosse capace da un lato di anticipare il mercato nazionale, a cui era mancata finora la spinta a produrre ricerche nazionali, dall’altro di mettere a disposizione del pubblico italiano «la documentazione fondamentale relativa alla storia delle Internazionali operaie» (Ragionieri 1974, XIV). I tre volumi, quindi, erano da considerarsi «una premessa per ricerche più approfondite e come documento per rendere accessibile a un pubblico più largo questo pezzo di storia» (Ragionieri 1974, XVIII). Come si legge nell’Avvertenza di Agosti, l’intento era di restituire all’Internazionale comunista
l’immagine che, soprattutto nei primi anni della sua storia, ci è sembrata più appropriata: quella di centro di ricezione, di unificazione e di irradiazione degli impulsi ideali, politici e organizzativi di un movimento di massa, spesso travalicante i confini dei partiti comunisti e delle loro organizzazioni collaterali, che la Rivoluzione d’Ottobre proiettò con il ruolo di protagonista sulla scena della storia contemporanea (Agosti 1974, XX-XXXI).
Già nel 1969 la collana si era impegnata su questo filone, pubblicando la traduzione di Luciano Antonetti della Storia dell’Internazionale comunista, 1921-1935. La politica del fronte unico dello storico cecoslovacco Miloš Hájek, anch’essa con prefazione di Ragionieri, che usciva contemporaneamente alla versione originale. Hájek era appena stato espulso dal Partito comunista cecoslovacco in seguito alla sua partecipazione ai moti della Primavera di Praga, nel 1968, e alle posizioni critiche assunte rispetto al gruppo dirigente di quel partito. La pubblicazione del libro aveva quindi un doppio risvolto: uno politico, teso ad appoggiare il movimento d’opposizione cecoslovacco dopo il dissenso del Pci all’intervento sovietico; l’altro scientifico, come spiega Ragionieri. Secondo il direttore della collana, infatti, l’aspetto più importante dell’opera di Hájek stava nell’essersi sottratta a due pericoli: il primo era quello di una storia interna dell’Internazionale comunista attraverso l’analisi delle sue posizioni ideologiche; il secondo, invece, riguardava il rischio di rappresentare questa storia come un «fallimento» o di farne una «controstoria» (Ragionieri 1969, X). Hajek, invece, aveva cercato di approfondire il senso dell’origine della politica del Fronte unico in rapporto con la storia del movimento operaio internazionale, cercando di individuare «le ragioni dei suoi successi, ma insieme delle sue sconfitte» (Ragionieri 1969, XI).
Nel 1975, nella collana apparve anche la traduzione – opera di un o una non meglio identificato/a S.A. e di Aldo Vercellino – del libro dedicato a Il VII Congresso dell’Internazionale comunista dagli storici sovietici Boris Moisevič Lejbzon e Kirill Kirillovič Širinja, pubblicato per la prima volta a Mosca nel 1965, che affrontava il nodo dell’elaborazione teorica del Comintern e dei partiti comunisti nel biennio 1934-1935 con lo sviluppo dei Fronti popolari. Proprio il focus della tesi degli autori, che ponevano la questione della profonda revisione e della rottura apportata da quella assise nella strategia del comunismo internazionale, faceva di quel testo un documento di prima mano su un problema storico che era stato eluso fino agli anni sessanta dai ricercatori oppure riportato nell’alveo della continuità nelle ricostruzioni ufficiali. Aldo Agosti curò, su proposta di Ragionieri, la revisione del volume, e nella prefazione – pur criticando le insufficienze interpretative su alcune questioni quali la disapplicazione di certe decisioni prese al Congresso, l’ingerenza dei sovietici su alcuni partiti nazionali e la priorità accordata alla politica estera dell’Urss nelle decisioni dell’Internazionale – scrisse che l’importanza di questa pubblicazione risiedeva nel fatto di costituire la prima indagine sull’argomento, e quindi il «punto di partenza indispensabile per l’ampiezza della documentazione» (Agosti 1975, X). Questo mutamento, secondo Agosti, era il «segno tangibile» del cambiamento degli indirizzi storici relativamente a un periodo che era rimasto «più a lungo condizionato dal peso di una valutazione strumentalmente negativa o piattamente apologetica» (Agosti 1975, IX). Seguendo questo filone, nel 1982 il libro di Claudio Natoli La Terza Internazionale e il fascismo inquadra il movimento comunista internazionale e quello italiano nel periodo di affermazione del fascismo e della creazione del “fronte unico” elaborata dal Comintern nel 1921.
Insieme agli studi sul movimento operaio internazionale e nazionale e sulle sue organizzazioni, l’intento del direttore era quello di presentare al pubblico italiano una «storiografia poco conosciuta in Italia come quella sovietica» (Turi 2001, 155). In questo filone vanno distinte tre tipi di opere: il primo riguarda autori sovietici che si erano occupati delle vicende europee; il secondo fa riferimento alla pubblicazione di memorie e cronache sulla Rivoluzione d’Ottobre e sulle trasformazioni russe primo novecentesche; la terza categoria, invece, annovera opere di ricerca sulla storia sovietica.
Per quanto riguarda il primo gruppo, la scelta di Ragionieri cadde su alcuni testi classici. Ad esempio, furono ripubblicati due volumi di Evgenij Tarle: Storia d’Europa. 1871-1919 (1968), nella traduzione di Alberto Carpitella già uscita nella collana «Orientamenti» nel 1959 e poi ristampato nel 1960 e nel 1966, raggiungendo nell’edizione della «Biblioteca di storia» cinque ristampe fino al 1982; e Napoleone (1968), tradotto da G. Benco e Giuseppe Garritano, anch’esso edito in «Orientamenti» nel 1964, ma la cui prima edizione italiana, opera di Fidia Sassano e Giuseppe Taboga, era stata pubblicata da Corticelli già nel 1938. Inoltre uscirono Da Bismarck a Hitler. L’impero tedesco nel XX secolo (1967), tradotto da Aldo Vercellino, e Bismarck. Diplomazia e militarismo (1969), tradotto da Adriano Marchi, opera entrambi di Arkadij Erusalimskij, professore dell’Università di Mosca ed esperto di politica estera tedesca, entrambi con prefazione di Ragionieri. Nel 1969 la collana ospitò anche, nella traduzione di Renato Angelozzi, i due volumi della Storia di Roma di Sergej Kovalëv, direttore del Dipartimento di storia antica dell’Università di Leningrado, già pubblicati nel 1953 dalle Edizioni Rinascita nella «Nuova biblioteca di cultura», che fornivano un’interpretazione marxista della storia di Roma.
Nella seconda tipologia di opere rientrano invece i due tomi, tradotti da Luca Trevisani, delle Cronache della rivoluzione russa di Nikolaj Suchanov (1967), un menscevico di sinistra appartenente al gruppo guidato da Julij Martov e oppositore di Lenin, che era stato membro del Comitato esecutivo del Soviet di Pietrogrado dopo la rivoluzione di febbraio. Le Cronache furono scritte tra il 1918 e il 1921 e pubblicate in Urss nel 1922-1923. Nel 1931 Suchanov fu condannato in un processo intentato contro alcuni ex dirigenti menscevichi e incarcerato; dal 1934 non si seppe più nulla di lui.
Infine, nella collana furono pubblicate ricerche di storici sovietici e occidentali di orientamento marxista che toccavano vari aspetti della Russia rivoluzionaria e post-rivoluzionaria. Queste uscite si inseriscono nell’ondata di interesse per la storia sovietica che era testimoniata, tra l’altro, dalla pubblicazione da parte di Einaudi, a partire dal 1964, della monumentale opera dello studioso liberale Edward H. Carr Storia della Russia sovietica. La prima di queste uscite, presentata nel 1970 nella traduzione di Dino Bernardini, fu la Storia della Russia di Nikolaj Pokrovskij, membro dal 1918 del Comitato centrale e della presidenza della Commissione centrale di controllo, vicecommissario del popolo all’istruzione del governo sovietico. In questa ultima veste, Pokrovskij aveva partecipato alla riforma della scuola superiore e all’organizzazione della scienza storica sovietica attraverso l’organizzazione degli archivi, la pubblicazione delle fonti e la promozione di istituti e centri di ricerca, oltre ad aver fondato e diretto le più importanti riviste di storia sovietica. Negli anni venti l’opera era stata adottata nei corsi delle università sovietiche, ma nel 1936 era caduta in disgrazia, insieme al suo autore, per l’avversione di Stalin, dopo le critiche che lo storico aveva mosso sulla capacità di elaborazione teorica del leader sovietico. Solo dopo il XXII Congresso del Pcus del 1962 il volume tornò a essere ristampato. Secondo Ragionieri, che scrisse la prefazione, la validità dell’opera per il lettore italiano stava nel fatto che essa rappresentava «un momento significativo della formazione della storiografia sovietica» (Ragionieri 1970, X):
c’è in quest’opera di P. […] uno sforzo poderoso di riconsiderare unitariamente la storia di un grande paese dal punto di vista di una forza rivoluzionaria e come strumento di istruzione e di educazione dei suoi quadri militanti. L’efficacia narrativa di tutte le sue parti che vedono la comparsa sulla scena delle grandi masse popolari è, più che un’impressione, una prospettiva storica che al lettore italiano non è trasmessa da alcuna altra storia della Russia a sua disposizione. […] Ma, soprattutto, è sembrato importante far conoscere questo testo come testimonianza di quel rapporto critico tra la coscienza politica della Rivoluzione d’Ottobre e la precedente storia russa, che il nostro tempo ha confermato problema di portata enorme e di proiezioni inattese, e perciò momento di necessaria riflessione per tutti coloro che vogliano orientarsi consapevolmente nel mondo nel quale viviamo (Ragionieri 1970, XXVI-XXVII).
Nel 1972 fu pubblicata in una seconda edizione riveduta e aggiornata – la traduzione di Valfrido Bacci e Giuseppe Garritano era gà uscita nel 1958 nella collana «Orientamenti» – l’opera dell’economista inglese di formazione marxista Maurice Dobb Storia dell’economia sovietica, e, sempre nello stesso anno, La formazione dello Stato sovietico 1917-1918 di Efim Gorodeckij, tradotto da Anna Quagliata, che si caratterizzava per un approccio meno dogmatico rispetto alla storiografia sovietica. Nel 1976 uscirono invece i due volumi, tradotti da Francesca Detti e Fabrizio Grillenzon, della Storia dell’Urss 1917-1974 di Jean Elleinsten, pubblicati originariamente in Francia tra il 1972 e il 1975 dalla casa editrice comunista Éditions Sociales. Lo storico francese era membro del Pcf dalla Liberazione. I suoi volumi sull’Urss, nonostante l’avallo del Pcf, furono caratterizzati da tesi meno ortodosse rispetto a quelle sostenute dai comunisti francesi, e da una libertà d’espressione e da un rigore scientifico che negli anni settanta resero l’opera l’esemplare di una nuova storiografia scientifica e più indipendente dalle congiunture politiche e dai paradigmi ideologici all’interno dell’alveo comunista.
Oltre alla storia sovietica e a quella del movimento operaio nazionale e internazionale, grande attenzione fu dedicata alla storia del Pci, che in quegli anni conobbe un decollo anche grazie ai cinque volumi della Storia del Partito comunista italiano di Paolo Spriano che iniziarono a essere pubblicati da Einaudi a partire dal 1967.
Nel 1971, in occasione del cinquantenario della fondazione del partito, al quale l’Istituto Gramsci dedicò il convegno Problemi di storia del Pci, nella «Biblioteca di storia» fu ristampato il volume curato da Togliatti La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, uscito nel 1961 negli «Annali» dell’Istituto Feltrinelli e poi nel 1962 nella collana «Pensiero e azione socialista» degli Editori Riuniti. L’importanza dell’opera consisteva, oltre che nella pubblicazione di materiale inedito sulla lotta del gruppo ordinovista contro la leadership del primo segretario del Pcd’I Amadeo Bordiga, nell’impostazione che il segretario comunista volle dare all’iniziativa, con la quale intendeva avviare un lavoro di ricostruzione oggettiva della storia del Pci libero dai giustificazionismi delle narrazioni ufficiali (Vittoria 2014, 291-295). Nella «Biblioteca di storia» la maggior parte delle pubblicazioni sulla storia del comunismo italiano furono opera degli stessi dirigenti di partito. Nel 1973 la collana accolse il lavoro di Luigi Longo, che aveva appena lasciato la segreteria generale del partito, su I centri dirigenti del Pci nella Resistenza, anch’essa, come quella di Togliatti, volta a rendere conoscibili documenti e lettere inediti, in questo caso delle direzioni di Roma e Milano durante la Resistenza, come base per ricerche future. Negli anni successivi furono pubblicati i volumi di Giorgio Amendola Storia del Partito comunista italiano 1921-1943 (1978) e Lettere a Milano 1939-1945 (1980), la cui prima edizione era apparsa nella «Biblioteca del movimento operaio italiano». Come si è detto, nel 1976 uscì inoltre Palmiro Togliatti. Per una biografia politica e intellettuale di Ragionieri, che doveva fare da contraltare alla biografia di Togliatti scritta da Giorgio Bocca e pubblicata da Laterza tre anni prima. Nello stesso anno fu stampata anche la biografia del primo segretario comunista, Amadeo Bordiga. Il pensiero e l’azione 1912-1970, di Franco Livorsi.
Durante la direzione di Ragionieri vanno segnalati, infine, altri due nuclei tematici. Il primo fa riferimento all’analisi dei problemi della rivoluzione industriale e della transizione dal feudalesimo al capitalismo, del suo sviluppo e della sua natura, questione che dopo la fine della seconda guerra mondiale interessò particolarmente economisti e storici. Nel 1966 uscì Capitalismo e mercato nazionale del dirigente del Pci Emilio Sereni; nel 1969 la seconda edizione dei Problemi di storia del capitalismo di Dobb, libro tradotto da Alessandro Mazzone che alla sua prima uscita nel 1958 nella «Nuova biblioteca di cultura» era stato al centro di un acceso dibattito; nel 1971 fu pubblicata La rivoluzione industriale. Saggio sull’origine della grande industria moderna in Inghilterra di Paul Mantoux, tradotto da Polo Galluzzi. Negli anni della direzione di Procacci, invece, oltre a Il capitalismo industriale in Italia. Processo d’industrializzazione e storia d’Italia di Giorgio Mori (1977), a Capitalismo e agricoltura in Italia di Giorgio Giorgetti (1977), uscì anche Agricoltura e rivoluzione industriale, 1650-1850 di Eric L. Jones (1982) nella traduzione di Francesca Socrate.
Inoltre, in catalogo si ritrovano anche alcune pubblicazioni che si rivolgevano direttamente ai “nuovi lettori” interessati a eventi come la disputa sino-sovietica e la guerra del Vietnam. Ad esempio, nel 1968 venne ripresa la traduzione di Mario Damiotti della Storia del Vietnam di Jean Chesneaux, studioso dell’Asia e membro fino al 1969 del Pcf, che era uscita in prima edizione nel 1965 nella collana «Orientamenti». Nel 1972, invece, fu pubblicata la Storia della rivoluzione cinese di Enrica Collotti Pischel, e due anni dopo La rivolta dei T’ai-p’ing 1851-1864. Prologo della rivoluzione cinese di Jacques Reclus, studioso anarchico francese che aveva insegnato per molti anni in Cina, tradotto da Ugo Bartesaghi. Queste ultime erano pubblicazioni che rispondevano all’attenzione verso il modello cinese da parte dei nuovi settori della sinistra che identificavano in Mao Zedong il nuovo faro della rivoluzione.
La direzione di Giuliano Procacci
Dopo la prematura morte di Ragionieri nel 1975, la direzione della collana fu assunta da Giuliano Procacci, almeno a partire dal volume n. 67 del 1977, ma forse anche prima. In quel volume, infatti, la collana, che precedentemente era definita come «diretta da Ernesto Ragionieri» e poi, per alcuni volumi del 1976-1977, «fondata da Ernesto Ragionieri», divenne «Collana diretta da Giuliano Procacci».
Ragionieri e Procacci avevano condiviso un percorso simile. Come Ragionieri, il giovane Procacci si era formato alla scuola fiorentina di Carlo Morandi e aveva iniziato la sua carriera di storico pubblicando interventi e recensioni su riviste quali «Belfagor» e «Società». Come Ragionieri, pur nascendo modernista, fu tra i fautori dell’istituzionalizzazione della storia contemporanea come disciplina, e partecipò attivamente alla formazione e allo sviluppo di quei poli di ricerca e documentari che ne furono espressione (Fasano Guarini 2006, 28; Bidussa 2010, 557-559). Negli anni cinquanta e sessanta fu animatore della rivista dell’Istituto Gramsci «Studi storici», diventandone condirettore nel 1971 insieme a Ragionieri, e dell’Istituto Feltrinelli, di cui dal 1956 al 1962 fu responsabile dell’attività scientifica (e poi dal 1981 al 1984 presidente della Fondazione che aveva assunto l’eredità), assumendo negli anni un ruolo di promotore di un rinnovamento delle discipline storiche nel senso di una maggiore apertura negli indirizzi metodologici e nella scelta dei tempi e dei luoghi storici.
Durante la direzione di Procacci la «Biblioteca di storia» degli Editori Riuniti fu rinnovata nella grafica, inizialmente curata da Bruno Munari e poi da Tito Scalbi, e in parte negli interessi di ricerca, soprattutto per quel che riguarda una maggiore attenzione verso la storia sociale e culturale e verso la realtà americana, aspetto che nella gestione di Ragionieri era stato completamente assente. Nel 1981, infatti, uscirono Storia sociale degli Stati Uniti di Peter N. Carroll e David W. Noble (traduzione di Ugo Rubeo), e Inquisizione a Hollywood. Storia politica del cinema americano, 1930-1960 di Larry Ceplair e Steven Englund, tradotto da Riccardo Duranti.
Tra il 1977 e il 1983, anno in cui uscì il catalogo storico degli Editori Riuniti in occasione del trentesimo anniversario della casa editrice, nella collana furono pubblicati 23 titoli stranieri su un totale di 42 volumi. Come racconta Roberto Bonchio nelle sue memorie inedite, anche grazie alla partecipazione degli Editori Riuniti alla Fiera del libro di Francoforte a partire dai primi anni settanta, si crearono rapporti stabili con Fayard, Larousse, Édition du Seuil e con molte case editrici universitarie europee (Presses universitaires de France, Oxford University Press, Cambridge University Press) e statunitensi (Stanford University Press e Columbia University Press), mentre si allargarono i contatti con consulenti esterni stranieri per la segnalazione di libri, come accadde con Eric Hobsbawm, Maurice Dobb, Brus Wlodzimierz, Nicos Poulantzas e Christine Buci-Glucksmann (Bonchio s.d., 177-178).
Sotto la guida di Procacci, che nel 1979 fu anche eletto senatore del Pci, la linea editoriale della collana rispecchiò i temi di ricerca e la concezione che degli studi storici aveva il suo nuovo direttore. A partire da quel momento, ad esempio, si rileva una forte prevalenza di opere sulla Russia sovietica, tradotte dal russo o dall’inglese, nel solco tracciato dagli studi intrapresi da Procacci negli anni sessanta e settanta, che diedero avvio a una storiografia italiana sull’Urss in un momento di forte ritardo del nostro paese rispetto alle ricerche che erano state impostate a partire dagli anni cinquanta soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito (Salomoni 2004, 370-371). Con Procacci la «Biblioteca di storia» assunse un indirizzo pionieristico per ciò che riguardava il disvelamento e l’approfondimento delle matrici politiche, economiche, sociali e culturali dello Stato e del partito sovietico. Ad esempio, fu anche grazie alle traduzioni apparse nella collana che l’indagine sulle origini dello stalinismo assunse una fisionomia meno provvisoria, più duratura.
Come è noto, Procacci è stato il capostipite della sovietologia italiana (Venturi 2010, 589). Nel 1963 aveva curato il volume La “rivoluzione permanente” e il socialismo in un solo paese, che raccoglieva i testi del dibattito tra Bucharin, Stalin, Zinov’ev e Trockij tra il 1924 e il 1926, uscito nella collana «Pensiero e azione socialista» degli Editori Riuniti, con l’intenzione di farne il primo volume di una serie dedicata agli studi di storia sovietica. Quel proposito non si concretizzò e il volume rimase l’unica pubblicazione sull’Urss della collezione, che chiuse i battenti nel giro di qualche anno (Vacca 2006, 101). Un decennio dopo, nel 1974, Procacci pubblicò con Laterza Il partito nell’Unione Sovietica 1917-1945, volto a indagare le strutture del Pcus dalla Rivoluzione d’Ottobre alla seconda guerra mondiale, e con esse quelle dello Stato sovietico e delle categorie ideologiche e mentali che lo reggevano, sostenendo che il processo di burocratizzazione, centralizzazione e militarizzazione che si sviluppò dopo la guerra civile fu il punto di arrivo e non di partenza di questa evoluzione. Un’accelerazione degli studi sulla realtà sovietica si deve anche alla costituzione, nel 1971 presso l’Istituto Gramsci, del Centro di studi sulle società socialiste diretto da Adriano Guerra, nato in seguito della Conferenza internazionale dei partiti comunisti che si era tenuta a Mosca nel giugno 1969, durante la quale gli italiani avevano ribadito le loro critiche all’intervento armato sovietico in Cecoslovacchia dell’anno precedente.
Nel 1976 fu pubblicato su proposta dello storico Rosario Villari, che collaborava con gli Editori Riuniti, La Rivoluzione d’ottobre era ineluttabile? di Roy Medvedev, saggio tradotto da Gianna Carullo che riconfermava la linea di dissenso politico e culturale dell’autore rispetto alla storiografia ufficiale sovietica, e che suggeriva l’idea della possibilità di strade alternative alla rivoluzione. Dopo l’uscita, nel 1972 con Mondadori, della traduzione di Raffaello Uboldi della sua celebre opera Lo stalinismo, pubblicata l’anno prima dall’editrice inglese MacMillan (Let History judge), gli Editori Riuniti e la «Biblioteca di storia» fecero conoscere al pubblico italiano le ricerche del dissidente sovietico che si interrogava sulla recente storia russa in maniera spregiudicata e lontana dall’ideologia ufficiale, tanto che i suoi libri circolarono in Occidente ma non nel paese natale, dove furono vietati fino all’era Gorbaciov. Dello stesso autore, nel 1978, la collana accolse Dopo la rivoluzione. Primavera 1918, traduzione di Gianna Carullo, e l’anno successivo, tradotto da Claudio Terzi, Gli ultimi anni di Bucharin 1930-1938, che ricostruiva la figura del dirigente e teorico sovietico il cui nome in patria era ancora un tabù.
Nel 1976 la «Biblioteca di storia» ospitò Rivoluzione e cultura in Russia della studiosa australiana Sheila Fitzpatrick, appartenente alla cosiddetta scuola “revisionista” della sovietologia, che segnava una svolta importante nella collana, perché fino a quel momento si erano privilegiate le voci critiche innovative ma ancora interne al mondo comunista. Il volume ricostruisce i dibattiti e la politica culturale e educativa sovietica negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione d’Ottobre (1917-1921) attraverso la figura di Anatolij Lunačarskij e il ruolo del Commissariato dell’istruzione e delle arti.
Nel 1977 la collana pubblicò, nella traduzione di Fabrizio Grillenzoni, Economia e politica nella società sovietica. Il dibattito economico nell’Urss da Bucharin alle riforme degli anni Sessanta di Moshe Lewin, uno dei massimi esperti di storia sovietica. Il volume, edito nel 1974 dalla Princeton University Press, rendeva accessibile al pubblico italiano il dibattito sovietico sui problemi economici in un’ottica di lungo periodo, dagli anni venti agli anni sessanta. La sua importanza per il mercato editoriale nazionale risiedeva in primo luogo nella trattazione di aspetti economici, questione di solito trattata a margine nelle ricostruzioni storiche; in secondo luogo, nella rivalutazione della figura politica e teorica di Bucharin. Sempre su temi economici, nello stesso anno uscì Trockij e Stalin. Lo scontro sull’economia di Richard Day, pubblicato nel 1973 dalla Cambridge University Press e tradotto in italiano ancora da Grillenzoni. Sulla base di materiale inedito proveniente dall’archivio Trockij, l’autore analizzava le teorie economiche dei leader bolscevichi nel primo decennio successivo alla Rivoluzione d’Ottobre, sfidando le interpretazioni classiche sul programma di sviluppo economico e sui rapporti con l’Occidente di Trockij e dei suoi avversari politici. Per quanto riguarda gli studi italiani in materia, nel 1978 uscì il volume di Fabio Bettanin La collettivizzazione delle campagne dell’Urss. Stalin e la rivoluzione dall’alto. 1929-1933. Nel 1980, inoltre, fu pubblicato, tradotto da Alberto Ponsi, La nascita dello stalinismo di Michal Reiman, storico cecoslovacco sostenitore del “nuovo corso” dopo la Primavera di Praga del 1968, al quale era stato proibito di pubblicare nel proprio paese e di continuare l’attività accademica. Il libro analizza il fenomeno staliniano negli anni 1927-1929 attraverso l’uso di documentazione inedita proveniente dal ministero degli Esteri della Germania occidentale.
Allo stesso tempo rimase alta l’attenzione della collana verso la storiografia del movimento operaio, tema che Procacci coltivava dagli anni cinquanta nei suoi lavori e nel suo contributo scientifico presso l’Istituto Feltrinelli. Per Procacci, ha scritto Andrea Panaccione,
la vicenda della II Internazionale era anche un repertorio di questioni attraverso le quali veniva letto il mondo contemporaneo e che avrebbero accompagnato il socialismo per tutta la sua storia: dai rapporti con gli altri movimenti popolari a quello con il proprio Stato e insieme con una realtà che trascendeva l’appartenenza nazionale, la corrente storica internazionale di cui faceva parte; le grandi questioni che avevano segnato i congressi dell’Internazionale, quella coloniale, quella della partecipazione dei socialisti a governi di coalizione con forze borghesi, quella del revisionismo, quella della guerra e della pace, ecc. (Panaccione 2010, 574).
Proprio nella «Biblioteca di storia», nel 1978, apparve il suo Il socialismo internazionale e la guerra d’Etiopia, che indagava le posizioni assunte dall’Internazionale comunista e dall’Internazionale operaia e socialista di fronte all’aggressione italiana all’Etiopia. Tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, la collana accolse, oltre a La prima Internazionale. Storia documentaria di Gian Mario Bravo (1978), Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky di Hans-Josef Steinberg (1979), storico tedesco di fede socialista, nella traduzione di Liana Longinotti e Il papa rosso Karl Kautsky di Marek Waldenberg (1980), una biografia politica e intellettuale del politico tedesco che usufruiva di documentazione e carteggi in buona parte inediti, pubblicata in Polonia e tradotta dal polacco da Maria Di Salvo.
L’analisi di questo corpo di pubblicazioni mostra che fu mantenuta l’attenzione verso gli studi economici e la storia politica di impronta marxista, ma vi fu anche un crescente interesse per la storia sociale e culturale. Nel 1978, ad esempio, la collana accolse L’Inghilterra vittoriana. I personaggi e le città dello storico inglese Asa Briggs, che riuniva, tradotti da Pina Sergi, i primi due volumi della trilogia sull’età vittoriana pubblicati nel 1954 (Victorian People) e nel 1963 (Victorian Cities). L’ultimo volume, Victorian Things, uscì in lingua originale solo nel 1988.
L’impegno principale della collana in questo settore, però, fu indirizzato alla pubblicazione di alcuni storici d’Oltralpe, massime autorità in materia di studi sulla Rivoluzione francese e sulle mentalità. Questo nucleo di pubblicazioni faceva direttamente riferimento ai primi interessi storiografici di Procacci che, tra il 1949 e il 1952, aveva soggiornato in Francia, a Parigi presso il Centre national de la recherche scientifique, venendo a contatto con alcuni studiosi come Albert Soboul, Pierre Vilar e Georges Lefebvre (Fasano Guarini 2006, 29-30). Negli anni in cui Procacci lavorò alla collana apparvero: Riflessioni sulla storia (1976) e Folle rivoluzionarie (1988) di Lefebvre, tradotti entrambi da Giuseppe Cafiero; Le parole della storia. Introduzione al vocabolario dell’analisi storica di Vilar (1985, traduzione di Giuseppe Garritano) e Immagini e immaginario nella storia. Fantasmi e certezze nella mentalità dal Medioevo al Novecento di Michel Vovelle (1989, traduzione di Maria Teresa e Roberto Della Seta). Allo stesso tempo, grande enfasi fu posta sulla storia della Rivoluzione Francese e delle folle con la pubblicazione delle opere dello storico marxista britannico Georges Rudé, membro del Partito comunista inglese e promotore della “storia dal basso”, volta all’analisi dell’agire delle classi subalterne piuttosto che delle élite. Già durante la direzione di Ragionieri erano state pubblicate le opere di Rudé Dalla Bastiglia al Termidoro. Le masse nella Rivoluzione francese (1966, traduzione di Elsa Fubini) e la Rivoluzione industriale e rivolta nelle campagne (1973, traduzione e prefazione di Gabriele Turi), quest’ultima opera scritta insieme a Hobsbawm. Negli anni in cui Procacci guidò la «Biblioteca di storia» furono edite Robespierre. Ritratto di un democratico rivoluzionario (1979) e La folla nella storia (1984), tradotti entrambi da Maria Lucioni, e Ideologia e protesta popolare: dal Medioevo alla rivoluzione industriale (1988, traduzione di Luca Pavolini).
Non siamo riusciti a stabilire con esattezza quando Procacci lasciò la direzione della collana. Con tutta probabilità, dalla seconda metà degli anni ottanta la collana non ebbe più un vero e proprio direttore. Dal 1984 al 1989, anno in cui la collana subì un primo stop, fu mantenuta l’inclinazione verso le opere straniere, e su un totale di 24 titoli ben 18 furono opere tradotte dall’inglese (10) e dal francese (8).
Crisi del comunismo e crisi della collana: gli anni recenti
Alla fine degli anni ottanta, nonostante la grafica completamente rinnovata adottata nel 1987, la collana si arrestò dopo l’uscita del volume n. 130, L’eredità di Ipazia. Donne nella storia delle scienze dall’antichità all’Ottocento di Margaret Alic, curato da Daniela Minerva. Quello stop coincideva con una fase particolarmente difficile per il comunismo internazionale, dopo la caduta del muro di Berlino, a cui sarebbero seguiti due anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica e lo scioglimento del Pci.
Il mutamento epocale dell’universo comunista non poteva non avere effetti sugli Editori Riuniti, che già dai primi anni ottanta erano entrati in una fase di riflusso sia a seguito dell’incrinarsi del rapporto con i “nuovi lettori”, dopo l’emergere di gruppi extraparlamentari che si ponevano alla sinistra del Pci e l’inizio degli “anni di piombo” alla fine del decennio precedente, sia a seguito del cattivo andamento economico della casa editrice, che seguiva la congiuntura negativa di tutta l’editoria italiana in questo decennio. Così, a seguito della grave crisi finanziaria, nel 1989 gli Editori Riuniti videro l’ingresso di capitali privati e il progressivo allontanamento del suo storico proprietario.
L’inizio degli anni novanta significò per l’editrice e per il suo catalogo un periodo di discontinuità dopo il passaggio dal monopolio comunista al nuovo assetto societario, che ne modificò in parte il profilo editoriale. Nell’ambito della saggistica storica, ad esempio, nel 1990 furono avviate nuove collane come «Gli studi», che aveva una sottoserie «Storia» ma che era più interessata a temi e autori italiani, e «I testi», dove furono ripubblicati alcuni volumi usciti precedentemente nella «Biblioteca di storia».
Nel 1996, tuttavia, la collana fu ripresa dalla nuova direzione editoriale. Dopo l’acquisizione da parte di Adalberto Minucci (consigliere delegato) e Diego Novelli (presidente) – il primo parlamentare, membro della Direzione e della Segreteria del Pci e direttore di «Rinascita»; il secondo sindaco di Torino (1975-1985) e componente del Comitato centrale – gli Editori Riuniti iniziarono una nuova serie della collana. Come ci ha spiegato Andrea Minucci, collaboratore della casa editrice nella nuova gestione, non fu mai ufficializzata una direzione di collana, ma furono allacciati rapporti di consulenza gestiti direttamente dal direttore editoriale Roberto Bonchio, che era tornato al lavoro negli Editori Riuniti. Fu quindi Bonchio a occuparsi effettivamente della «Biblioteca di storia»: della scelta dei volumi e del mantenimento dei contatti che aveva allacciato nel corso della sua lunga esperienza editoriale (Minucci 2021).
Rispetto alla precedente gestione comunista non ci furono grandi cambiamenti, ma il focus della collana si spostò sulla storia del Novecento e uscirono alcune novità che riflettevano un’impostazione non del tutto usuale rispetto al passato, come la pubblicazione di volumi quali Storia delle cose banali. La nascita del consumo in Occidente di Daniel Roche, tradotto da Maddalena Cannarsa (1999) e Storia dell’ateismo di Georges Minois, traduzione di Oreste Trabucco e Lelio La Porta (2000). Secondo Minucci questo fu l’effetto di alcune contingenze – «il tipo di proposte che ricevevamo e gli autori con cui eravamo più in contatto» – piuttosto che di una «scelta editoriale deliberata» (Minucci 2021). A differenza della direzione imboccata nell’ambito della saggistica storica nei primi anni novanta, la nuova «Biblioteca di storia» riprese quella vocazione internazionale che ne aveva segnato la fisionomia: dal 1996 al 2002, su 38 titoli pubblicati 22 furono opere straniere, anche se 8 di queste erano nuove edizioni di testi usciti in precedenza. Oltre all’attenzione riservata a una storia del socialismo di lungo periodo, come nel caso del libro di Donald Sassoon, tradotto da Elio Venditti e Sergio Minucci, Cento anni di socialismo (1997), in quegli anni gli interessi della collezione si concentrarono soprattutto su nazismo e stalinismo, ospitando, insieme a diari e biografie come Stalin. Vita privata di Lily Marcou (1996, traduzione di Emanuela Stella), anche analisi comparative come la raccolta di saggi curata da Ian Kershaw e Moshe Lewin e tradotta da Flavia Buzza Stalinismo e nazismo. Dittature a confronto (2002).
Se l’intento principale rimase quello di recuperare e mantenere l’identità dei vecchi Editori Riuniti, ovvero un forte orientamento verso la storia e le scienze sociali, sia attraverso opere nuove sia rilanciando titoli già in catalogo, il forte ridimensionamento dell’organico rispetto a quello degli anni settanta e ottanta, che era formato da nuclei redazionali specializzati per aree tematiche, ebbe conseguenze sulla valutazione delle proposte, la progettazione e la realizzazione dei volumi, nonché sulla tessitura di contatti con studiosi e istituzioni. «La casa editrice nel 1995 – spiega Minucci – ripartiva di fatto quasi da zero, anche se la presenza di un direttore editoriale come Roberto Bonchio portava con sé un patrimonio importante di rapporti con collaboratori e autori della fase precedente» (Minucci 2021). La redazione, ristrettissima tra la fine degli anni novanta e l’inizio dei duemila, era composta da due redattori interni a cui spettava l’arduo compito di gestire decine di volumi l’anno.
Dopo l’arresto delle pubblicazioni nel 2002, la collana riprese nel 2007 con le sottoserie «La sinistra» e «Persone», ospitando 10 titoli in un anno, ma perse i suoi tratti originari, trattandosi esclusivamente di opere di autori italiani. Questo nuovo slancio, inoltre, ebbe vita breve, e la collana fu rapidamente abbandonata, anche perché nel frattempo la casa editrice varava nuove collane storiche come «Saggi. Storia e letterature». Dopo un’altra ristrutturazione societaria, nel 2013 la nuova proprietà ha ripreso le uscite della storica collana, affiancandole nuove serie tematiche come «Studi di storia contemporanea». Si tratta però di poche uscite, esclusivamente di autori italiani e tutte dedicate al Pci.
Il nucleo dei traduttori
Questo intenso lavoro di traduzione si avvalse di un nutrito corpo di collaboratori. Dagli esordi della collana fino alle sue fasi più recenti se ne contano una settantina. Ne fecero parte: Angelo Lomonaco, Sergio Cavaliere, Clara Valenziano Parlato, Aldo Vercellino, Adriano Marchi, Giuseppe Cafiero, Mario Damiotti, Alessandro Mazzone, Paola Rinaudo, Francesca Socrate, Clemente Ancona, Vilfredo Bacci, Francesca Detti, Giulia Calvi, Lisa Baruffi, Alberto Ponsi, Emira Berneri, Liana Linginotti, Agostino Bertoni, Otello Lottini, Maria Di Salvo, Paola Ludovici, Roger Meservey, Hana Kubistova Casadei, Alessandra Cremonese, Oreste Trabucco, Rosario Muratore, Savina Tessitore, Flavia Buzza, Elio Venditti, Paola Ludovici, Alfonso De Paz, Maddalena Cannarsa, Marco Marroni, Massimo Maraffa, Emanuela Sralla. È un gruppo eterogeneo che comprende figure diverse: storici collaboratori dell’editoria comunista, personalità legate al Pci e alla sinistra italiana, traduttori di professione, accademici o giovani studiosi che intraprenderanno la carriera universitaria a tempo pieno.
Giuseppe Garritano, Mazzino Montinari, Alberto Carpitella, Fausto Codino, Mario Alighiero Manacorda e Claudio Terzi, ad esempio, facevano parte del corpo originario dell’apparato editoriale comunista tra la fine degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta, alcuni impegnati nella traduzione dei «Classici del marxismo» delle Edizioni Rinascita o di altre collane, altri impegnati in veste di redattori.
Quella di Giuseppe Garritano fu una delle collaborazioni più durature e proficue. Traduttore dal tedesco, dal francese e dal russo, Garritano curò una ventina di opere per gli Editori Riuniti, tra cui testi di Marx, Engels, Lenin, Čechov, Turgenev e Tolstoj. Aveva partecipato alla Resistenza e si era laureato alla Normale di Pisa, insieme a Mazzino Montinari e a Fausto Codino (Garritano 2014, 45-54). Insieme a questi due ex compagni di università, fin dagli esordi dell’editoria comunista nel secondo dopoguerra partecipò attivamente alle sue strutture in qualità di traduttore e saggista. Nella «Biblioteca di storia» uscirono le sue traduzioni, effettuate in anni precedenti, della Storia dell’economia sovietica di Dobb, di Napoleone di Tarle e de Le parole della storia. Introduzione al vocabolario dell’analisi storica di Vilar. Nel 1955, insieme allo storico Roberto Battaglia, fu autore della Breve storia della Resistenza, pubblicato contemporaneamente da Einaudi nella «Piccola biblioteca scientifico letteraria» e dagli Editori Riuniti, che ristamparono più volte il volume in diverse collane.
Mazzino Montinari fu filosofo e germanista, uno dei massimi studiosi italiani di Nietzsche, di cui dal 1958 fu traduttore e curatore dell’opera completa prima presso Einaudi, poi presso Adelphi, che rilevò i diritti delle traduzioni fatte dopo il naufragio del progetto presso la casa editrice torinese (Campioni 2012). Per quanto riguarda la sua partecipazione all’editoria comunista, egli fu redattore delle Edizioni Rinascita dal 1950 e poi degli Editori Riuniti fino al 1957, e alla metà degli anni cinquanta (dal settembre 1955 al settembre 1956) fu anche direttore della Libreria Rinascita del Pci, a Roma. Per le edizioni comuniste tradusse testi di Kautsky e negli anni settanta collaborò all’edizione delle «Opere di Marx ed Engels» promossa dagli Editori Riuniti, sotto la direzione proprio di Garritano. E’ sua la traduzione dei due tomi della Storia della socialdemocrazia tedesca di Mehring.
Anche quella di Alberto Carpitella fu una collaborazione importante. Traduttore dal russo – nel 1959 pubblicò anche un Corso pratico di lingua russa e fu direttore del Centro nazionale di lingua e letteratura russa di Roma – negli anni quaranta e cinquanta fu incaricato di tradurre per le Edizioni Rinascita buona parte dei testi di Stalin, in particolare quelli inseriti nella collana delle «Opere complete» pubblicata tra il 1949 e il 1956. Negli anni sessanta e settanta, invece, collaborò attivamente all’edizione delle «Opere complete» di Lenin. Nella «Biblioteca di storia» uscì la sua traduzione della Storia d’Europa di Tarle.
Mario Alighiero Manacorda si occupò, insieme a Fausto Codino, di tradurre la Vita di Marx di Franz Mehring, uscito originariamente nel 1953. Fratello di Gastone Manacorda, storico e direttore delle Edizioni Rinascita dal 1947 al 1950, anch’egli fu responsabile della redazione della casa editrice dal 1954 al 1956, nella fase di fusione delle due vecchie sigle comuniste nel polo degli Editori Riuniti. Pedagogista e storico dell’educazione formatosi alla Normale di Pisa e docente presso diverse università italiane, egli ricoprì incarichi importanti nel quadro del lavoro culturale del Pci, organizzando e dirigendo il Convitto Scuola Rinascita presso l’Anpi di Roma, traducendo le opere di Marx ed Engels, e poi dirigendo le riviste «Voce della scuola democratica» (1957-1960) e «Riforma della scuola» (1964-1984), insieme a Dina Bertoni Jovine e Lucio Lombardo Radice (Laeng 2000).
A queste figure si affiancò un gruppo di traduttrici di professione che ebbero in comune legami sentimentali o di parentela con alcuni intellettuali di area. È il caso di Giuseppina (Pucci) Saija Panzieri, Pina Sergi Ragionieri, Maria Lucioni Diemoz, Maria Luisa (Nini) Agosti Castellani e Lia Bertini Pinna Pintor.
La prima, moglie di Raniero Panzieri, che conobbe nel dopoguerra all’Istituto di studi socialisti fondato da Rodolfo Morandi e che sposò nel 1947, fu una germanista. Collaborò con diverse case editrici italiane, tra cui Einaudi, il Mulino e Utet, e tradusse opere di Bertold Brecth e Eduard Mörike e gli Scritti politici di Lutero. Anche se non comparì ufficialmente nella lista dei traduttori, affiancò il marito nella traduzione del Libro secondo del Capitale di Marx per la collana dei «Classici del marxismo» delle Edizioni Rinascita (Giappiccoli 2005; Scotti 2015).
Pina Sergi Ragionieri, sposata con Ernesto, laureata in filologia moderna italiana all’Università di Firenze con Attilio Momigliano, collaborò nel dopoguerra con diverse testate quali «Il Ponte», «Belfagor», «Rinascita», «Nuovo Corriere», «Paese Sera» e «l’Unità», e dalla metà degli anni cinquanta alla metà degli anni settanta diresse le collane dei classici italiani e stranieri della casa editrice Sansoni. E’ stata inoltre traduttrice dall’inglese di Henry Fielding, Hermann Melville e Henry James. Dal 1984 fino alla morte nel 2019 ha diretto Casa Buonarroti, a Firenze, diventando una delle più importanti studiose e curatrici italiane del pittore, e un punto di riferimento dell’ambiente culturale fiorentino. Per la «Biblioteca di storia» ha tradotto Storia della corsa agli armamenti di Hallgarten, Gli Aztechi. Storia di un impero di Davies e L’Inghilterra vittoriana. I personaggi e le città di Briggs.
Maria Lucioni Diemoz, moglie di Luigi Diemoz, direttore della collana «Universale economica» della Cooperativa del libro popolare (Colip), casa editrice promossa dal Pci e da intellettuali di area dopo la Liberazione, e rilevata poi da Giangiacomo Feltrinelli come base per la propria, ha tradotto libri di Daniel Dafoe, Richard Yeats e collaborato con Bompiani, Garzanti, Edizioni di Comunità e Laterza. Per la «Biblioteca di storia» ha eseguito la traduzione dei volumi Robespierre. Ritratto di un democratico rivoluzionario e La folla nella storia di Rudé, Monaci santuari pellegrini. La religione nel Medioevo di Sumption e Nazioni e nazionalismi di Gellner.
Maria Luisa (Nini) Agosti Castellani e Lia Bertini Pinna Pintor, invece, si occuparono di tradurre, insieme a Giuliana Giudici, Pucci Saija, Marilla Boffitto, Valeria Borlone e Paola Rinaudo, i tre tomi de La Terza Internazionale. La prima, madre del curatore dell’opera Aldo Agosti e sorella di Emilio Castellani, autorevole traduttore di grandi autori tedeschi come Johann Wolfgang von Goethe, Thomas Mann, Franz Kafka e Bertolt Brecht, fu la traduttrice italiana (dall’inglese, dal francese e dal tedesco) di scrittrici quali Jane Austen, Luise Rinser, Rosamond Lehemann, Sylvie Florian Pouilloux e Edith Wharton per Mondadori, per la «Bur» di Rizzoli e per la casa editrice La Tartaruga di Milano. Dagli anni sessanta lavorò con Einaudi, traducendo opere di Henry James e Robert J. Stevenson (Agosti 2011). La seconda, germanista, traduttrice di Nietzsche per Einaudi, era cugina e collaboratrice di Giaime Pintor.
Un’altra parte rilevante di questo nucleo è rappresentata da studiosi già inseriti nelle strutture accademiche o che intraprenderanno la carriera universitaria a tempo pieno. Ad esempio, lo storico Gabriele Turi curò la prefazione e la traduzione di Rivoluzione industriale e rivolta nelle campagne di Hobsbawm e Rudé. Ugo Rubeo, professore di lingue e letteratura angloamericana, tradusse Storia sociale degli Stati Uniti di Caroll e Noble. Luigi Marcolungo, economista, all’epoca ricercatore alla Bocconi e collaboratore del gruppo dedicato all’Ungheria del Centro di studi sulle società socialiste dell’Istituto Gramsci, si occupò della Storia economica dell’Ungheria dal 1848 ad oggi di Berend e Ranki. Anna Foa, figlia del dirigente socialista e della Cgil Vittorio e docente di storia moderna, curò la prefazione e la traduzione de Le epidemie nella storia di Ruffié e Sournia. Lo storico Clemente Ancona, collaboratore tra il 1977 e il 1984 della Enciclopedia Einaudi curata da Ruggiero Romano, tradusse Storia dell’India indipendente di Bettelheim. Paolo Galluzzi, storico della scienza e direttore del Museo Galilei, si occupò della Rivoluzione industriale di Mantoux. Lo slavista Lionello Costantini, professore di lingue serbo-croate e collaboratore dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, fu incaricato di tradurre La storiografia contemporanea di Topolski, occupandosi inoltre per gli Editori Riuniti anche di alcune opere di Gor’kij.
Molti, naturalmente, furono i traduttori di professione, come la germanista Sabina De Wall (Dopo Hitler. Antinazismo e movimento operaio, di Peter Brandt), che per gli Editori Riuniti lavorò anche alla Storia dell’economia politica e alle Teorie sul plusvalore di Marx per i «Classici stranieri». Traduttrice di Ludwig Wittgenstein, numerose sono le sue collaborazioni con case editrici italiane come Adelphi, La Nuova Italia, Einaudi e Jaca Book. Riccardo Duranti, poeta e traduttore, docente di letteratura inglese e traduzione letteraria all’Università La Sapienza di Roma, si è occupato dell’opera omnia di Raymond Carver e di autori di lingua inglese tra cui Philip K. Dick, Cormac McCarthy, David Thoreau, Roald Dahl e John Berger. Per la «Biblioteca di storia» ha tradotto Inquisizione a Hollywood. Storia politica del cinema americano di Ceplair. Prolifico traduttore di saggistica fu anche Franco Salvatorelli, figlio dello storico e giornalista Luigi. Per la collana degli Editori Riuniti si è occupato de La guerra di Mussolini 1939-1941 di Knox e della Storia economica d’Europa. Lo sviluppo economico della civiltà occidentale di Clough. Fu anche traduttore di Togliatti e la via italiana al socialismo di Sassoon e dell’Età degli imperi di Hobsbawm per Laterza, collaborando stabilmente dalla seconda metà degli anni novanta con Einaudi e Adelphi.
Durature furono le collaborazioni con Fabrizio Grillenzoni, Luca Trevisani e Gianna Carullo. Sul primo, traduttore di diversi volumi della collana – Trockij e Stalin di Day, Storia dell’Urss di Elleinstein, insieme a Francesca Detti, Rivoluzione e cultura in Russia di Fitzpatrick, Economia e politica nella società sovietica di Lewin, Il mestiere di cittadino nell’antica Roma di Nicolet – si rimanda all’articolo pubblicato in questo numero della rivista. Luca Trevisani ha tradotto per la «Biblioteca di storia» , oltre al libro di Suchanov, solo Il laburismo. Storia di una politica di Miliband, ma ha collaborato ad altre collane della casa editrice. Per i «Classici della letteratura» si è occupato delle Lettere dalla terra di Mark Twain (1964) e dei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (1966); per la «Nuova biblioteca di cultura» ha tradotto Romanzo e società di Edwin Berry Burgum (1965); per «Orientamenti» La storia del dottor Sorge e di Ozaki Hotsumi di Chalmers Johnson (1965); mentre per la serie “Il punto” ha tradotto Lo spirito del Vietnam di Ho Chi Minh (1968). Gianna Carullo, invece, ha tradotto Il populismo russo da “Zemlja i volja” a “Narodnaja volja” di Tvardoskaja, La Rivoluzione d’ottobre era inevitabile? e Dopo la rivoluzione. Primavera 1918 di Medvedev, insieme a numerose altre opere pubblicate dagli Editori Riuniti.
Molti furono anche i funzionari del Pci che contribuirono alle traduzioni dei testi stranieri della «Biblioteca di storia». Ad esempio, Luca Pavolini tradusse Ideologia e protesta popolare. Dal Medioevo alla rivoluzione industriale di Rudé. Egli fu un personaggio di primo piano del Pci: direttore dell’«Unità» tra il 1965 e il 1970 e tra il 1975 e il 1977, vincitore nel 1965 del Premio Saint-Vincent per il giornalismo, membro del Comitato centrale e della Segreteria in qualità di responsabile della Sezione stampa e propaganda nel 1978-1979, nel 1980 divenne deputato. Tra il 1980 e il 1981 fu inoltre consigliere di amministrazione della Rai. Fu anche traduttore dall’inglese di autori quali Bertrand Russell, Ernst Cassirer, George Grosz e molti altri.
Bernardino (Dino) Bernardini tradusse dal russo la Storia della Russia di Pokrovskij e La formazione dello Stato sovietico di Gorodeckij. Fondatore e direttore della rivista «Slavia», ha diretto anche «Rassegna sovietica» (1972-1991) e «Nuova rivista internazionale» del Pci, ed è stato responsabile dagli anni settanta dei rapporti tra il partito italiano e i paesi socialisti presso la Sezione esteri. Figlio di Timoteo (Angelino) Bernardini, antifascista, condannato dal Tribunale speciale e confinato, che nel secondo dopoguerra divenne segretario della sezione del Pci Latino Metronio, a Roma, Dino aveva vissuto a lungo a Mosca, dove si era laureato alla Facoltà di filologia dell’Università Lomonosov. Tornato in Italia nel 1960, iniziò a fare traduzioni per alcuni giornali, tra cui «l’Unità» e «Il Contemporaneo». Dal 1961 al 1962, su proposta della Sezione esteri del Pci, lavorò a Praga presso la redazione italiana di «Problemi della pace e del socialismo», l’organo del Cominform. Fu Garritano a proporgli di tradurre per gli Editori Riuniti (Bernardini 2017, 95).
Un’altra figura rilevante fu quella di Luciano Antonetti, traduttore dal ceco della Storia dell’Internazionale comunista 1921-1935. La politica del fronte russo di Hajek. Antonetti aveva iniziato la sua carriera nel Pci prima come fattorino per la Libreria Rinascita per poi trasferirsi a Praga, all’inizio degli anni sessanta, come redattore del programma in italiano di Radio Praga e corrispondente dell’«Unità» e di «Paese Sera». Nella capitale cecoslovacca, dove visse per alcuni anni, Antonetti strinse amicizia con alcuni intellettuali che divennero delle figure chiavi della Primavera di Praga, come Hajek, Antonin Liehm, Josef Macek, Jiri Pelikan e Zdeněk Mlynář. Grazie alla sua ottima conoscenza della lingua e della cultura ceche e dei rapporti stretti negli anni della sua permanenza in Cecoslovacchia, una volta tornato in Italia Antonetti fu un fervido divulgatore delle idee del “nuovo corso” e sostenitore dei circoli dell’opposizione e dell’emigrazione cecoslovacchi. Oltre alla traduzione dell’opera di Hajek, nel maggio del 1968 uscì per gli Editori Riuniti Libertà e socialismo, un’intervista a Eduard Goldstucker da lui tradotta. Inoltre, per Laterza Antonetti tradusse l’opera di Reiman Le rivoluzioni russe del 1917, che uscì nel 1970. Dopo l’iniziale condanna dell’invasione sovietica e la risonanza che venne data dal Pci ai fatti cecoslovacchi, con l’emergere di una linea più prudente nel vertice italiano di fronte alla Primavera di Praga a seguito del processo di normalizzazione successivo, molte delle iniziative proposte da Antonetti agli Editori Riuniti furono lasciate cadere, e la sua figura fu emarginata all’interno dell’apparato comunista fino alla riabilitazione di Alexander Dubček, il leader del rinnovamento del partito cecloslovacco, di cui Antonetti fu il tramite con gli italiani, coronato dal conferimento al politico slovacco della laurea honoris causa da parte dell’Università di Bologna (Bianchini, Gambetta, Mirabella 2011).
Nel nucleo dei traduttori si ritrovano anche figure diverse come Alfredo Salsano e Ugo Bartesaghi. Il primo, storico e sociologo, è stato un personaggio di spicco dell’editoria italiana. Coordinatore editoriale di Bollati Boringhieri, aveva lavorato alla Laterza accanto al direttore Enrico Mistretta e per la casa editrice aveva curato l’Antologia del pensiero socialista (1979-1983). Salsano ha collaborato inoltre alla Storia d’Italia e alla Enciclopedia dell’editore Einaudi e agli «Annali» dell’Istituto Feltrinelli, e ha tradotto inoltre numerosi saggi di autori francesi collocabili nel filone della critica del determinismo economico liberista e del suo modello di sviluppo. Bartesaghi, invece, fu sindaco di Lecco dal 1948 al 1955 e parlamentare. Antifascista, fu eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati nel 1953 nelle file della Democrazia Cristiana, ma nel 1955 fu espulso dal partito per aver votato contro gli accordi di Parigi, che prevedevano la costituzione dell’Unione europea occidentale, alleanza militare in base alla quale la Germania avrebbe potuto procedere a un riarmo vietatole dal trattato di pace. Dopo l’allontanamento dalla Dc entrò nel gruppo misto e successivamente fu eletto in Parlamento come indipendente nelle liste del Pci. Per la «Biblioteca di storia» ha tradotto La rivolta dei T’ai-p’ing 1851-1864. Prologo della rivoluzione cinese di Reclus.
Negli anni più recenti il corpo dei traduttori fu rinnovato, anche se rispetto alla stagione precedente il numero delle traduzioni non fu più così elevato da creare un flusso costante di lavoro e un gruppo di collaboratori più o meno stabile, anche perché alcuni servizi furono appaltati ad agenzie esterne (Minucci 2021).
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