La poesia straniera in Italia, «un dono di libertà»

TRADUZIONI E TESTI A FRONTE, DALL’OTTOCENTO A IERI

di Giulia Iannuzzi

Una premessa

1_Poesia tradottaPer raccontare la storia dell’editoria di poesia tradotta in Italia, uno studio esauriente potrebbe e dovrebbe prendere in esame non solo il suo oggetto specifico, ma le relazioni che esso necessariamente ha intrattenuto con la storia dell’editoria tutta, la storia del libro e della lettura, la storia della letteratura e cultura italiana e della traduzione letteraria in Italia. E le vicende dei loro protagonisti e protagoniste. Con i suoi aspetti emblematici e peculiari, lo spazio e il trattamento della poesia straniera nei cataloghi degli editori italiani è un eccellente osservatorio attraverso cui seguire lo sviluppo, in epoca contemporanea, di un’editoria pienamente industriale (nei suoi mezzi tecnici e progetti culturali, che fanno i conti con il ridisegnarsi del mercato dei libro e dei suoi segmenti in seguito ad alfabetizzazione e scolarizzazione di massa), i mutamenti nella repubblica delle lettere nazionale, e nel posizionamento dell’Italia in ottica trans-nazionale.

Il più modesto obiettivo dei paragrafi che seguono è offrire una prima ricognizione di questa storia, a partire da alcune esperienze tardo-ottocentesche significative che prepararono le pratiche del secolo successivo; passando quindi a comparsa, codificazione editoriale, uso del testo a fronte, e alle esperienze editoriali che hanno segnato il passo nella traduzione e proposta di poesia straniera in Italia nel Novecento e sino agli anni duemila. Queste ultime sono trattate con particolare riguardo a collane specializzate (riservando cioè più brevi cenni a collane che hanno offerto poesia a fianco di altri generi), alla presenza di autori contemporanei, e all’individuazione di editori, direttori, curatori, traduttori, dei loro ruoli e iniziative in termini di progetto e mediazione culturale. Un progetto che si può rintracciare guardando alla costruzione dei cataloghi e, in qualche caso, a documenti e/o studi cui si rimanderà nella bibliografia, evitando la tentazione centrifuga di approfondire singole figure di curatori e traduttori o traduzioni notevoli, in favore della costruzione di un panorama generale. Si tratterà necessariamente di una selezione di casi, non esauriente – come si è detto già – ma, speriamo, sufficientemente ampia e delimitata in modo da suggerire una prima ipotesi di periodizzazione.

È fuor di dubbio che le particolari criticità della traduzione poetica, che hanno ritagliato al tema spazi precipui nei dibattiti teorici e tecnici sulla traduzione letteraria (es. Boase-Beier 2008; Palumbo 2009, 5, 29, 83, 165), abbiano una ricaduta diretta sul posizionamento professionale del traduttore anche in relazione a progettualità e lavoro editoriale. Non solo l’editore è più incline ad accordare un riconoscimento istituzionale al traduttore poetico, alle soglie del testo (il nome in copertina ad esempio, un rispetto per i traduttori sconosciuto – tranne risapute eccezioni – in altri settori della produzione libraria), ma spesso il traduttore è coinvolto in maniera estensiva nella produzione dell’edizione: dalla scelta dei testi per una silloge alla scrittura di introduzioni e apparati critici in cui trovano spazio spesso, accanto a notizie su testi, autore, sfondo culturale, notazioni sul proprio approccio traduttivo (anche questo un elemento sconosciuto in altri casi) (Jones 2011, 120-21; Jones 2012). Infine, più che in altri settori, la traduzione poetica è opaca al momento della ricezione: viene spesso presa in considerazione e commentata da critici e recensori della lingua d’arrivo. L’Italia, come si vedrà, non ha fatto in questi usi eccezione: i traduttori, consulenti, curatori, prefatori che sfileranno in questa storia sono protagonisti degli scambi interculturali che hanno costruito e continuano a costruire la nostra visione di un panorama letterario globale (Ceserani, Benvenuti 2012), ma troppo spesso ancora «protagonisti nell’ombra» (Ferretti 2012) della storia culturale ed editoriale.

Poesia tradotta e prolegomeni a un’editoria industriale nel tardo Ottocento

Il milanese Edoardo Sonzogno, tra i principali editori italiani nella seconda metà dell’Ottocento, nella sua «Biblioteca universale», «ideata nel 1882 con lo scopo di rendere popolari i capolavori della letteratura universale» (Tranfaglia, Vittoria 2007, 79), al prezzo molto contenuto di 25 centesimi a volume ospitava autori italiani e molti stranieri, questi ultimi soprattutto di narrativa e tragedie. Meritano una menzione però anche alcuni titoli di poesia straniera tradotta. La prima traduzione italiana integrale dei Les fleurs du mal di Charles Baudelaire, versione in prosa di Riccardo Sonzogno, nipote dell’editore Edoardo, uscì nel 1893 in veste lussuosa e in versione economica nell’Universale l’anno seguente. Non c’era testo a fronte, come comune nel periodo, mentre d’altronde l’opera di Baudelaire era già conosciuta nei circoli intellettuali italiani in lingua originale; ma la versione di Riccardo Sonzogno, è notevole per il programmatico rispetto dell’architettura originale, rivendicato nella prefazione (Sonzogno lavora sull’edizione francese del 1861 con integrazioni da quella del 1868) (Comunian 2008; v. anche Bertolucci 1996). Notevole è anche la presenza, nel 1887, di una raccolta di quarantotto Canti scelti di Walt Whitman, nella versione e con prefazione di Luigi Gamberale: Gamberale curò poi successive edizioni del poeta americano (inclusa, come si vedrà, la prima versione integrale di Leaves of Grass), influenzando tra l’altro, già con la raccolta del 1887, la versione in lingua spagnola di Álvaro Armando Vasseur (Cohen, Price 2008).

Anni dieci: aperture e collezioni miste

2_Anni dieciiNei primi anni del Novecento le traduzioni di poesia straniera rivolte a un pubblico più ampio si connotano per l’assenza di testo a fronte e per la collocazione in collane non specializzate. Un caso esemplare sono le raccolte poetiche ospitate nella collana «Scrittori italiani e stranieri» di Carabba di Lanciano. Nata nel 1912, nell’alveo della casa autonoma fondata dal figlio di Rocco Carabba, Gino, la collana è composta di volumi economici ma eleganti, con rilegatura in tela e fregi dorati, e si presenta come una universale che aggiorna il gusto delle vecchie collane popolari della Sonzogno. Il pubblico ideale a cui la serie si rivolge è ampio, non specialistico ma colto, come indicano scelte raffinate che allineano testi di diversa epoca e provenienza e diverso genere (narrativi, poetici e saggistici) accomunati dalla qualità letteraria, oltre che da una misura tendenzialmente breve. Anche grazie al prezzo contenuto dei volumi, gli «Scrittori italiani e stranieri» vanno incontro a una certa fortuna, con quasi trent’anni di pubblicazioni e più di quattrocento titoli usciti. La collana allinea romanzi, opere filosofiche e poetiche di autori dell’Ottocento italiano, un filone comico raffinato, e una notevole apertura alle letterature extra-europee, soprattutto indiana, con l’importante presenza di Rabindrānāth Tagore e con antologie di poesia cinese e giapponese tra le prime comparse in Italia (rispettivamente le Note di Samisen nel 1915 e Nuvole bianche. Variazioni su motivi cinesi nel 1919, tradotte entrambe da Mario Chini: Dragosei 1980). Le traduzioni sono condotte sui testi in lingua originale, non sono di seconda mano (Tranfaglia, Vittoria 2007, 168). Le Poesie in prosa di Ivan Sergeevič Turgenev escono ad esempio nel 1923 nella traduzione dal russo di Enrico Damiani (mentre non era raro nel periodo, ad esempio per molte delle numerose traduzioni di opere russe di Sonzogno, che si traducesse dalle versioni francesi). Il filone russo di Carabba vede la collaborazione di Damiani, Renato Poggioli, Nicola Festa e altri. Le distruzioni materiali portate dalla guerra agli stabilimenti mettono in crisi l’attività della casa editrice, che chiude definitivamente nel 1949.

Senza testo a fronte escono negli anni dieci importanti raccolte poetiche edite da altri editori. La prima edizione integrale di Leaves of Grass curata da Gamberale esce nel 1907 per i tipi di Sandron di Palermo, nella «Biblioteca dei popoli» diretta da Giovanni Pascoli, accanto ai due volumi di poesie del magiaro Sándor Petőfi, tradotte da Umberto Norsa (1912; qui la «versione interlineare» menzionata nel frontespizio indica una traduzione letterale specialmente volta a conservare la disposizione delle righe e delle strofe). Così anche alcune raccolte edite dalla napoletana Ricciardi, tra cui i Poemi di John Keats tradotti in prosa ritmica da Fulvia Faruffini nel 1911 (una scelta che la traduttrice giustifica nella sua premessa, oltre a rimarcare come la raccolta includa diversi testi inediti in Italia), opere russe suggerite da Ettore Lo Gatto (il quale, sorprendendoci, traduce invece dal tedesco le Poesie del “cantore di Norimberga” Hans Sachs nel 1916) e tradotte da Virgilio Narducci: Mzyri ed altri poemetti di Lermontov nel1922; Il cavaliere di bronzo di Puškin e Prose e poesie di Alessio N. Apuchtin, entrambe del 1923; oltre a varie opere di tradizioni orientali (non sempre dai testi originali: Faruffini traduce dalla versione inglese di Edward Fitzgerald I Rubaiyat di Omar Khayyam nel 1914).

Mentre al centro dei programmi di Laterza stanno le collane di letteratura italiana e saggistica ispirate da Benedetto Croce, merita una segnalazione la collana di «Scrittori stranieri» diretta da Guido Manacorda. Durata solo due anni, 1912 e 1913, include testi poco noti tra i classici di altre tradizioni linguistiche (come le Novelle di Cervantes tradotte da Alfredo Gianni nel 1912 e il Cantare del Cid tradotto da Giulio Bertoni nello stesso anno), nonché un’edizione delle Opere poetiche complete di Edgar Allan Poe tradotte dall’anglista e filosofo torinese Federico Olivero, sempre nel 1912 (versione in prosa, su cui esprimeva riserve Giuseppe Antonio Borgese: cfr. Melani 2006, 167) e una dei Sonetti di Luis De Camões condotta da Tommaso Cannizzaro nel 1913 (Morabito 1995, 147).

Codificazione del testo a fronte contemporaneo

È difficile fissare un punto di inizio preciso dei fenomeni e paradigmi che si avvicendano nella storia dell’editoria: esiste sempre un precedente, uno stadio anteriore a cui le nuove forme tendono a legarsi senza soluzione di continuità, o, se non altro, per contrasto e volontaria differenziazione. Il testo a fronte nelle edizioni di poesia non fa eccezione, e la sua evoluzione sino agli usi che oggi conosciamo è intrecciata all’alba e alla storia del sistema editoriale industriale di epoca contemporanea.

Edizioni con testo latino e greco incolonnati a fronte non erano mancate già nel Seicento (per non tornare – come si potrebbe – ad antenati illustri ancor più lontani nel tempo: si veda per esempio Montella, Marchesini 2007, 33-34), e lungo tutto l’Ottocento italiano versioni con testo a fronte erano state frequenti per autori della classicità greco-latina, e usate anche per testi religiosi (salmi e altre sezioni di Antico e Nuovo Testamento). Ciò che avviene all’inizio del Novecento è il passaggio da un testo a fronte motivato da interessi eminentemente filologici e accademici, a uno proposto come strumento di accesso al testo per lettori e lettrici ignoranti o scarsamente esperti della lingua d’origine del testo. Si comincia così a individuare un nuovo pubblico, e l’evoluzione del testo a fronte si inquadra insomma, pienamente, all’interno di processi di industrializzazione culturale di più ampia portata.

La codificazione del testo a fronte contemporaneo in questo senso si può forse rintracciare nella «Loeb Classical Library» edita dalla Harvard University Press a partire dal 1912: la Loeb offre classici della letteratura (poesia e prosa) greca e latina con testo originale sulle pagine di sinistra e traduzione inglese a destra. Se da una parte la matrice della collana è evidentemente accademica e “canonica” (il direttore di collana, Jeffrey Henderson, è infatti professore universitario a Boston), dall’altra l’iniziativa rivela un’attenzione precipua anche a un pubblico non-accademico, estimatore dei classici della “civiltà occidentale”, che possono essere conosciuti e approfonditi senza una conoscenza diretta e/o puntuale delle lingue originali (un’attenzione emblematizzata ad esempio, a livello di confezione editoriale, nel contenimento del prezzo e nella scelta per un formato hard cover ma tascabile: Horsley 2011). La Loeb nasce a sua volta sul modello di precedenti francesi di fine Ottocento, come le opere pubblicate da Panckoucke, che riportavano la traduzione francese nella parte principale della pagina e il testo originale in corpo minore in nota, nella parte inferiore dello specchio.

Non è un caso che la formula maturi in una capitale della rivoluzione industriale europea come Parigi e si sviluppi quindi negli Stati Uniti, dove l’editoria comincia a guardare a una nuova borghesia protagonista della nascente cultura industriale, all’alba del “secolo breve”. Il testo a fronte si configura insomma come strumento offerto a un lettore benestante e preparato, ma non accademico di professione, desideroso di migliorare il proprio acculturamento. La traduzione e il testo a fronte fanno parte di un programma di aurorale popolarizzazione della conoscenza: To make the beauty and learning, the philosophy and wit of the great writers of ancient Greece and Rome once more accessible by means of translations that are in themselves real pieces of literature (Loeb 1912: rendere ancora più accessibili la bellezza e la dottrina, la filosofia e lo spirito dei grandi autori dell’antica Grecia e di Roma tramite traduzioni che sono in se stesse vere opere letterarie), e per questo salutate da Virginia Woolf come a gift of freedom (Woolf 1917, 114), un dono di libertà per i non conoscitori di greco e latino.

In Italia Sansoni pubblica a partire dal 1921 la «Biblioteca sansoniana straniera», diretta da Guido Manacorda fino al 1927 (quindi negli anni trenta da Paolo Emilio Pavolini: Marchetti 2014, par. 1). Qui escono, tutti con testo a fronte, Shakespeare (il King Lear viene proposto nella traduzione di Cino Chiarini con testo a fronte già nel 1910), la raccolta L’ elegia pagana anglosassone per la cura di Aldo Ricci (1921), Le elegie, le epistole e gli epigrammi veneziani di J.W. von Goethe (1921) e diverse opere di Richard Wagner, tradotte e commentate da Guido Manacorda, Caino di George Gordon Byron annotato da Giuseppe De Lorenzo e tradotto da Ferdinando Milone (1922), seguito dai Canti (1923) e altre opere curate da Ricci, mentre Chiarini cura Liriche e frammenti di Percy Bysshe Shelley (1923) e Raffaello Piccoli Iperione, odi e sonetti di John Keats (1925). Durante i decenni venti-quaranta la collana, in piena attività, continua a proporre traduzioni di classici contemporanei allineando titoli di prosa, teatro, poesia (e più raramente epistolografia) che restano a catalogo con nuove tirature e edizioni rivedute.

Benché la «Biblioteca sansoniana straniera» si inquadri pienamente nel profilo scolastico-istituzionale di casa Sansoni che, fondata nel 1874, era specializzata in manualistica, libri di testo e studi, e si era fatta espressione di istituti e accademie fiorentine, è significativo che presenti sistematicamente l’uso del testo a fronte per testi poetici e teatrali (tradotti da inglese, tedesco, francese, spagnolo, con più rare aperture ad altri idiomi), in una veste pensata non solo in funzione filologico-specialistica. In questa direzione si esprimeva programmaticamente Ricci, nella Prefazione all’Elegia pagana:

non ho inteso fare un lavoro né prettamente scientifico né meramente popolare. Ho voluto piuttosto che potesse servire tanto agli studiosi, fornendo loro, oltre ad una trattazione critica ed alle traduzioni di queste poesie, anche i testi […], quanto in generale ai lettori colti e non specialisti che vogliono formarsi un giusto concetto di una delle forme più interessanti della poesia anglosassone (Ricci 1921, viii-ix).

Il testo a fronte è qui inteso, insomma, ancora come strumento messo a disposizione degli studiosi (come indicano d’altronde le preoccupazioni filologiche nelle note relative alle tradizioni manoscritte e alle lectio adottate), ma il rivolgersi a un pubblico più ampio e variegato costituisce nondimeno un passo importante (di questa opinione Manitta 2015, 58, a proposito delle poesie di Eminescu curate per Sansoni da Ramiro Ortiz nel 1929). La collana proseguirà fino a metà degli anni cinquanta (dopo un’interruzione legata a più generali vicissitudini amministrative e culturali della casa, escono alcune ristampe e edizioni rivedute nel 1968, 1974 e 1983-86).

Traduzioni e nuove sensibilità in Italia tra anni venti e trenta

Negli anni di avvento e governo della dittatura fascista, nonostante la crescente ostilità e controllo del regime, le pratiche traduttive sono ben lontane dal fermarsi, e, anzi, si assiste a un’impennata di traduzioni dalla seconda metà degli anni venti (Tranfaglia Vittoria 2007, 229-406; e soprattutto Rundle 2000 e Rundle, Sturge 2010). Le traduzioni sono protagoniste, in questi decenni, dei processi di sviluppo di un’editoria pienamente industriale: si pensi al caso delle collane popolari di narrativa di Mondadori o Rizzoli (Albonetti 1994; Ferretti, Iannuzzi 2014, 37-43, 44-70).

Le traduzioni sono anche al centro di un mutamento di sensibilità. Tra ultimi anni venti e primi anni trenta un corpus notevole di testi integrali e di versioni svolte sugli originali è composto dai cataloghi delle piccole case editrici torinesi Slavia e Frassinelli (per le lingue russa e cecoslovacca, polacca e altre lingue slave in prosa), che raccolgono l’eredità ideale di Piero Gobetti, perseguendo uno svecchiamento della cultura italiana e anticipando i programmi della Einaudi. La Slavia con collezioni come «Il genio russo» (1926-1934) propone traduzioni contraddistinte da una fedeltà e una cura del tutto nuove, opera del direttore e traduttore Alfredo Polledro e di collaboratori come Leone Ginzburg. Tra il 1923 e il 1925 Polledro aveva presentato diverse traduzioni poetiche sulla rivista gobettiana «Il Baretti» (Adamo 2000, 63-65), ma l’opera della Slavia è concentrata su raccolte di racconti, novelle, romanzi. Altrettanto vale, relativamente a un più ampio arco di lingue-fonte, per la «Biblioteca europea» avviata da Franco Antonicelli per Frassinelli nel 1932 (e chiusa nel 1935 con la sua condanna al confino) (Bobbio 1977). Si tratta di collezioni che, pur non ospitando opere poetiche, hanno un ruolo nella formazione di una nuova sensibilità per l’approccio traduttivo in contesto non accademico. Un altro esempio ancora: la collana «Scrittori di tutto il mondo», ideata nel 1928 e diretta da Gian Dàuli prima per Modernissima, quindi (1932) per Corbaccio di Enrico Dall’Oglio. Questa collana nasce con l’intento preciso e dichiarato di proporre in Italia la migliore letteratura europea e americana contemporanea e superando l’uso di proporre traduzioni di autori stranieri tratte dalle versioni francesi (Marchetti 2000). Consulenti per case come Frassinelli e Modernissima, intellettuali e grandi “traduttori-mediatori culturali” come, per quanto riguarda la letteratura tedesca, Alberto Spaini (Galinetto 1995) o Lavinia Mazzucchetti (per Sperling & Kupfer e Mondadori).

Se è vero che case editrici e collane più rilevanti dal punto di vista quantitativo (numero di uscite e tirature) e/o oggetto di maggiori attenzioni critiche vedono al centro dei loro interessi la narrativa e il romanzo in particolar modo, non mancano nel periodo esperienze interessanti in campo poetico. Si pensi ai sei volumi di Opere di Rainer Maria Rilke curati da Vincenzo Errante per la Alpes (1929-30), all’attività della Sansoni che prosegue anche nel settore dei classici stranieri (una nuova collana di «Grandi classici stranieri» viene varata nel 1943 e durerà fino agli anni settanta) (Tranfaglia, Vittoria 2007, 252, e 279).

Sorge la «Fenice»

3_Sorge la FeniceIl primo editore a proporre un uso sistematico del testo a fronte per traduzioni di poesia contemporanea pienamente rivolte a un pubblico non accademico, è Guanda, con la collana «Fenice», a partire dai primi anni quaranta. La «Fenice» di poesia viene fondata a Parma nel 1939 e per vari decenni fissa il ruolo e l’immagine della casa editrice Guanda (nata a Modena nel 1932), blasonata casa editrice di provincia. Sarà denominata ora come «Collana» o «Collezione Fenice», ora come «Poeti della Fenice», continuando fino a oggi, quando ormai da anni il marchio è stato assorbito in un grande gruppo industriale con sede a Milano.

Ponendosi al centro di una rete di relazioni tra Parma e Firenze, l’editore Ugo Guandalini raccoglie intorno a sé intellettuali come Attilio Bertolucci, che dirige la collana, e Carlo Bo, che la apre con la cura delle Poesie di Federico García Lorca (edite con testo a fronte). Il marchio, disegnato dal pittore Carlo Mattioli, si ispira alla fenice tracciata con dei sassolini sulla tomba di David Herbert Lawrence per suo desiderio. Nella «Fenice» escono fino al 1946 opere poetiche di Katherine Mansfield (i Poemetti tradotti da Gilberto Altichieri nel 1940), Aleksandr Blok (i Poemetti e liriche tradotti e prefati da Renato Poggioli nel 1941), Luis de Góngora (Poesie nella versione di Mario Socrate con testo a fronte nel 1942), T.S. Eliot (Poesie con testo a fronte tradotte da Luigi Berti: una primizia assoluta, nel 1942), John Donne (Poesie con testo a fronte tradotte da Franco Giovanelli nel 1944), Sergej Esenin (curato da Olga Resnevic e Franco Matacotta nel 1946), secondo una linea che continua e si accentua tra gli ultimi anni quaranta e i cinquanta. Quasi tutti con successive edizioni rivedute e/o accresciute negli anni.

Mentre altre collane di Guanda ospitano autori italiani minori e minimi, nella «Fenice» si susseguiranno negli anni quaranta e cinquanta Ezra Pound (Rizzardi 1953), Dylan Thomas (Sanesi 1954), Wystan Hugh Auden (Izzo 1952), Muhammad Iqbāl (Bausani 1956), Pablo Neruda (Puccini 1955), Guillaume Apollinaire (Pasi 1960), Jacques Prévert (Giagni 1960). Viene anche aperto un ricco filone di antologie di poesia contemporanea italiana e, soprattutto, di poesia europea e americana contemporanee (per esempio, Izzo 1949, 1950 e 1953; Macrì 1952; Ripellino 1954; Paoli 1954). A queste si affiancano meno frequenti antologie di poesia latina medievale e dell’età imperiale e delle più antiche e lontane civiltà, sempre con traduttori e curatori di prim’ordine e in confezioni raffinate (in brossura), e per lo più con testo originale a fronte. Nella scelta di includere o meno il testo a fronte sembra influire il fatto che la lingua originale venga ritenuta dall’editore più o meno conosciuta in Italia: si presume forse che un lettore mediamente colto possa assaporare o quantomeno avvicinare inglese, francese, spagnolo, tedesco, mentre lo si esclude nel caso del russo (Catalogo 1955; cfr. Ferretti, Iannuzzi 2014, 81-84).

Intermezzo sulla “traduzione d’autore”

4_ IntermezzoIl discorso sui poeti tradotti da poeti, e sul ruolo della traduzione nell’elaborazione della poetica dei poeti-traduttori in tutte le sue numerose, affascinanti sfaccettature, potrebbe esser ripercorso, come un filo rosso, all’interno di tutta la storia che stiamo ricostruendo qui, e meritare una trattazione a sé, per i temi e problemi peculiari che presenta alla critica.

Si pensi alle iniziative di Giovanni Scheiwiller a partire dagli anni venti e soprattutto del figlio Vanni dal 1951, con la sigla «All’insegna del pesce d’oro» a partire dal 1936 e con la fondazione della «Libri Scheiwiller» nel 1977 (nel 2006 assorbita dal gruppo 24 ore – Motta Cultura). In un catalogo di raffinate edizioni in sedicesimo e ventiquattresimo, caratterizzato dalle presenze di artisti presentati da letterati e di poeti illustrati da artisti, non mancano gli stranieri, tra cui – presenza cospicua e al tempo stesso scomoda – Ezra Pound (con vari titoli tradotti dalla figlia Mary de Rachelwitz, prima che potesse presentare tutti i Cantos nella collana «Poeti europei» di Lerici e Scheiwiller nel 1961), Apollinaire tradotto da Ferdinando Giannessi (1948), André Frénaud tradotto da Bertolucci, Vittorini e altri (1964, parte di una collezione di «Poeti stranieri tradotti da poeti italiani» con testo a fronte). Per i poeti italiani maggiori e celebrati Scheiwiller, per ragioni sia di gusto che di necessità (dovuta ai contratti e alle opzioni che li legano alle grandi case) punta con finezza su rarità e curiosità, come i quaderni di traduzioni: ad esempio un’antologia di Poeti stranieri del ‘900 tradotti da poeti italiani curata nel 1956 da Sergio Solmi, le traduzioni montaliane di Jorge Guillén edite nel 1958, un quaderno di traduzioni di Luciano Erba nel 1987 (cfr. almeno Ferretti 2009; Ferretti, Iannuzzi 2014, 139-145; Novati 2013).

Un altro caso è quello delle «Edizioni della Meridiana», con la loro collana omonima, fondate a Milano nel 1947 da Giuseppe Eugenio Luraghi – una singolare figura di letterato e manager industriale – e attive fino al 1956. «Edizioni della Meridiana» è composta da volumi dalla veste sobria e preziosa, con tirature contenute, ed è alimentata da Luraghi ricorrendo a una rete di amici e sodali, con risultati importanti soprattutto sul fronte poetico novecentesco, e con particolare spazio dato a un filone ermetico.

Luraghi, già artefice di iniziative editoriali come le riviste «Pirelli» (avanzata esperienza di integrazione tra cultura tecnico-scientifica e umanistico-letteraria), fondata con Leonardo Sinisgalli nel 1948, e quindi «Civiltà delle macchine», edita negli anni cinquanta dalla Finmeccanica, ossia dall’associazione delle industrie metalmeccaniche a partecipazione statale, e diretta da Sinisgalli, fonda le Edizioni della Meridiana coadiuvato nella direzione dalla sorella Teresa e dagli amici Angelo e Aldo Guazzoni. La piccola casa opera nella Milano del dopoguerra e vede la collaborazione di un cenacolo di amici tra cui Sergio Solmi, Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli, Arturo Tofanelli. In particolare Solmi dirige la collana di critica che si affianca alla collana principale nel 1952, e Sereni «I Quaderni di poesia» nati nel 1954. La grafica dei volumi della collana, caratterizzata da copertine sobrie, quasi spoglie, è curata da Gabriele Mucchi. Ciascuna edizione è numerata (da 300 a 1.500 copie per titolo), alcuni volumi sono illustrati e tutti sono impreziositi dai ritratti degli autori, firmati da pittori diversi. Nella collana principale prevalgono gli autori italiani (tra i poeti Luraghi stesso, Sinisgalli con le poesie e prose di Quadernetto alla polvere, L’esperienza di Nelo Risi), mentre tra gli stranieri il Góngora dei Sonetti e frammenti tradotti con testo a fronte da Gabriele Mucchi è seguito da Rafael Alberti, a cui Luraghi è legato da un’amicizia che si consoliderà negli anni (Luraghi stesso traduce la sua raccolta Poesie ’44-’48 pubblicata nel 1949) e Jean Paulhan (tradotto nel 1952 da Gianni Manzini con prefazione di Luciano Anceschi), a cui si affiancano gli inediti del Quaderno di traduzioni di Eugenio Montale (1948). La collana termina quando la casa chiude, nel 1956, a causa di problemi legati alla distribuzione (Ferretti, Iannuzzi 2014, 115-118).

Un decennio più tardi, sullo scorcio degli anni cinquanta e lungo tutti i sessanta, un’esperienza editoriale di spicco relativamente alle traduzioni d’autore (ma non solo) saranno i «Poeti europei» di Lerici e Scheiwiller. La casa editrice Lerici, dopo una prima stagione di attività iniziata negli ultimi anni venti, viene rifondata a Milano nel 1956 da Aldo Rosselli – figlio dello storico e martire antifascista Nello – quale condirettore e consulente e da Roberto Lerici, editore, direttore editoriale e traduttore di Orazio (nonché nipote del primo fondatore, Carlo Maurilio, un ingegnere e industriale dell’acciaio). Lerici pubblica saggistica e narrativa, ma è sul fronte della traduzione poetica che la programmazione assume una fisionomia e un livello qualitativo eccezionalmente costanti e riconoscibili. «Poeti europei» propone una formula particolare: curatele specialistiche – testo a fronte, edizioni critiche dei testi, ampi apparati – e veste di lusso – rilegatura in tela con cofanetto, illustrazioni fuori testo (Ferretti 2004, 127-130). Fra i traduttori e collaboratori compaiono nomi quali Oreste Macrì (che traduce e cura il volume dedicato ad Antonio Machado nel 1959), Angelo Maria Ripellino (Aleksàndr Blok, 1960), Joyce Lussu (Nazim Hikmet, 1961 e 1965), Roberto Sanesi (William Butler Yeats, 1961), Stefano Piselli (Stéphane Mallarmé, 1963, con prefazione di Mario Luzi), Renato Poggioli (I lirici russi, 1890-1930. Panorama storico-critico, 1964, postumo), Luciana Frezza (Jules Laforgue, 1964). Raffinata la cura della confezione: le copertine sono progettate da Giulio Confalonieri e Ilio Negri (vedi Associazione italiana design della comunicazione visiva, Milano, Archivio Storico del Progetto Grafico), adottando lo scritto come unico segno grafico caratterizzante, precorrendo l’idea grafica adottata pochi anni dopo da Bruno Munari e Giulio Einaudi per la «bianca».

I quaderni di traduzioni di poeti come Montale, Caproni, Sereni, Sanguineti, Giudici, e via via fino a oggi, Franco Buffoni, Roberto Deidier, Edoardo Zuccato, configurano una vera e propria produzione specifica, dotata di un precipuo interesse artistico-letterario e quindi critico (Buffoni 2004; Cascio 2014), offerta soprattutto da editori piccoli e medi (oltre ai già citati si pensi anche alla collana «Assonanze» della milanese SE). Più raramente essa viene ripresa con consapevolezza critica dall’editoria maggiore: esempio ne sono singoli titoli usciti per Garzanti nel periodo di consulenza di Bertolucci, o il «Meridiano» Mondadori di Traduzioni poetiche ungarettiane uscito nel 2010 (su Ungaretti traduttore cfr. Cattaneo 2014 e Fochi 2012). Per una storia provvisoria delle traduzioni d’autore in Italia si vedano Buffoni 2004; Copioli 1983 (in particolare Anceschi 1983; cfr. Nasi 2015, 21); Albanese, Nasi 2015 (in particolare le riflessioni di Quasimodo, Anceschi, Solmi, Valeri e passim). In generale, sul ruolo culturale delle piccole case editrici di poesia negli anni del dopoguerra – Scheiwiller, Neri Pozza, Rebellato, Galleria e altri – vedi Ferretti 2004, 114-124.

«Lo Specchio»: poesia in casa Mondadori

5_Lo_SpecchioLa presenza di traduzioni poetiche nella longeva collana mondadoriana «Lo Specchio», nata nel 1940 per iniziativa di Alberto Mondadori e dello scrittore e giornalista Arturo Tofanelli, e arrivata sino a oggi dopo vari mutamenti nell’impostazione generale, riflette non solo i mutamenti interni nell’organizzazione del catalogo mondadoriano, ma anche la (diversa) lungimiranza culturale dei curatori che si succedono alla sua direzione.

Inizialmente la collana è dedicata in prevalenza alla narrativa (anche se negli anni quaranta escono importanti raccolte di poeti italiani tra cui Giuseppe Ungaretti, Leonardo Sinisgalli e Umberto Saba con presenze prolungate nei decenni successivi, Eugenio Montale con una seconda edizione degli Ossi di seppia nel 1948; nel 1951 vi esordisce Andrea Zanzotto). Tra gli ultimi anni quaranta e gli anni cinquanta la presenza della poesia nella collana cresce di importanza (anche in seguito alla nascita di nuove collane mondadoriane dedicate alla narrativa – «La Medusa degli italiani» nel 1947, i «Narratori italiani» nel 1952). Sotto la direzione di Giuseppe Ravegnani, dal 1952 al 1958, si nota la presenza di nomi di prima grandezza, ma anche di molti autori e titoli di minore rilievo, e soprattutto una certa mancanza di ricambio, tant’è vero che Sereni più tardi parlerà dell’epurazione da lui operata, a partire dalla fine del 1958, «nei confronti dello “Specchio” di Ravegnani» (Ferretti 1999, 123).

Il periodo è segnato dalla netta prevalenza di una linea istituzionale nelle scelte di autori italiani: Ungaretti e Montale, a cui si aggiunge Salvatore Quasimodo, con varie opere tra gli anni quaranta e cinquanta, e con traduzioni e curatele di classici. La traduzione d’autore è ospitata ampiamente anche con le traduzioni di Ungaretti (sempre con testo a fronte): 40 sonetti di Shakespeare (1946), Da Góngora e da Mallarmé (1948), Fedra di Jean Racine (1950) e Visioni di William Blake (1966) (Cattaneo 2014).

Ma, nonostante le eccellenze, il livello medio della collana risente di una carenza di nuova iniziativa e di assenze vistose. La sostanziale assenza della poesia straniera in questo periodo (salvo poche eccezioni, tra cui le Poesie di Emily Dickinson uscite con testo a fronte nel 1956 per la cura di Guido Errante), può essere letta come sintomo di scarsa lungimiranza culturale, di carenza d’interesse per una produzione meno lucrativa economicamente e poco utile nella tessitura di relazioni all’interno del mondo letterario italiano. Pendant di tali limiti è la tempestiva presentazione, nello stesso anno 1957 dell’uscita in Francia, della bambina prodigio Minou Drouet (Ferretti, Iannuzzi 2014, 85-92).

Dal boom agli anni settanta: flussi e riflussi a cavallo della contestazione

Tra gli anni cinquanta e settanta, nel quadro di uno sviluppo del settore librario collegato a una nuova scolarizzazione di massa e a una supremazia del settore letterario (narrativa, poesia, teatro) all’interno del mercato (di vecchia data ma che va ora accentuandosi), le percentuali di crescita della poesia, sia in termini di tirature che di titoli pubblicati (guardando soprattutto alla poesia contemporanea più che ai classici), sono certo più contenute di quelle della narrativa e del grande protagonista di questa stagione, il romanzo, ma presentano nondimeno alcuni dati significativi. Dai 163 titoli di poesia (edizioni non scolastiche) usciti nel 1954, contro gli 80 di teatro e i 1.642 di romanzi e racconti, si passa ai 427 nel 1966 (contro i 158 di teatro e i 1.376 di romanzi e racconti), con una crescita particolare negli anni a ridosso del 1966. Dal 1967 l’ISTAT cumula i dati su poesia e teatro: 267 titoli nel 1976 (contro i 2.169 di romanzi e racconti). Le tirature dei titoli poetici vanno, attraverso alti e bassi, dalle 1.344 copie in media del 1967 alle 1.128 del 1976 (contro le 19.033 per romanzi e racconti nel 1967 alle 26.978 del 1976).

Un significativo aumento dei titoli poetici tra 1963 e 1966 va collegato, secondo Piersanti (1980) alla stagione che precede il 1968, in cui la contestazione, prima di approdare a una dimensione politico-economica, guarda alla percezione della vita e dei suoi valori alla ricerca di maggiore autenticità, intensità: «in questo senso la poesia riesce a dare una serie di stimoli e di punti di riferimento. È questo il momento di Lorca, di Neruda, di Prévert […]. In Prévert e nello Spoon River (realistico e mitico allo stesso tempo) si ricercano i momenti dell’amore e dell’autenticità rispetto a una quotidianità avvertita come svilimento» (Piersanti 1980, 117).

Mentre infuria la polemica sull’avanguardia del Gruppo ’63, nel 1965 esce da Mondadori Juke box all’idrogeno di Allen Ginzberg curato da Fernanda Pivano, che riscuote un grande successo di pubblico:

ben più consistente l’apporto, a livello di massa, della Beat Generation […]: mentre l’avanguardia italiana si misura solo su ricerche di tipo tecnico-stilistico che, al limite, riescono a coinvolgere solo gli addetti ai lavori, gli americani propongono il loro grido e la loro rabbia, la loro tenerezza e la loro sofferenza, esprimendo il malessere di un’intera generazione. Ed è proprio in questo periodo che molti, giovani o no, trovano nell’esercizio della poesia una forma non solo di espressione personale, ma anche di comunicazione sociale (Piersanti 1980, 117).

Segue un brusco calo negli anni 1967-1970, quando la priorità di una progettualità culturale legata all’impegno sociale, politico, ideologico, rivoluzionario, gioca a sfavore di un genere visto come legato a una dimensione personale non impegnata.

È notevole però, in questo quadro, il divario tra andamento della produzione italiana e poesia tradotta: se nel 1954 si parte da meno di 50 titoli all’anno di poesia (e teatro) italiana per superare, con una lenta ma costante e regolare crescita, di poco i 100 nel 1974, la poesia (e teatro) straniera nello stesso periodo parte da 200 titoli all’anno, tocca bruscamente un picco di più di 300 titoli nel 1960 e quasi 500 nel biennio 1964-66 per assestarsi vicino ai 250 titoli all’anno nel 1974 (anche qui con una complessiva e leggermente maggiore crescita). Nello stesso arco di tempo (1954-74), mentre le traduzioni di narrativa calano leggermente (gli anni sessanta sono quelli del boom del romanzo italiano: Ferretti 1983) passando da più del 50% della narrativa pubblicata nel complesso a circa il 40%, quelle di poesia continuano a crescere (da meno di 20% a quasi 30% di tutta la poesia contemporanea pubblicata).

Un’indagine sulla lettura di poesia pubblicata nel 1980 indica presenze straniere molto significative in una graduatoria delle preferenze ottenute da poeti in Italia a seconda dell’area geografica: su 16 nomi 6 sono stranieri al Nord (Neruda, Prévert, Lorca, Baudelaire, Brecht, Maiakovski); su 12 nomi 6 sono stranieri al Centro (Neruda, Lorca, Prévert, Brecht, Baudelaire, Ginzberg); 4 su 15 al Sud e nelle isole (Prévert, Neruda, Lorca, Masters).

Alla fine degli anni settanta la poesia occupa una posizione decisamente minoritaria nei programmi di tutte le case editrici di maggiori dimensioni e distribuzione nazionale: Mondadori ha una sola collana esclusivamente poetica (su 46 collane attive), una sola anche Einaudi (su 35), Garzanti (su 58), Feltrinelli (su 61), Mursia (su 45); due collane ha Rizzoli (su 66), mentre spiccano le 4 collane poetiche (su 14) di Guanda, le 4 (su 24) di Sciascia, una casa editrice di Caltanissetta, le 7 di Scheiwiller (su 65).

All’interno della programmazione poetica si privilegiano autori italiani (come numero di autori a catalogo; diverso, come si è visto, il discorso delle tirature): Mondadori conta ad esempio circa il 64% di autori italiani, Garzanti (con la serie «Poesia», l’importante consulenza di Attilio Bertolucci e la collaborazione di Pier Paolo Pasolini) più dell’82%, Feltrinelli poco meno del 71% (pochi titoli in termini assoluti, con forte caratterizzazione contemporanea e sperimentale), Mursia quasi il 94%, Sciascia il 95% circa, Scheiwiller circa il 73%. Fa eccezione anche in questo Guanda, con più dell’88% di autori stranieri, seguita a distanza da Einaudi (59%). Senza contare le antologie, settore in cui Guanda e Scheiwiller prevalgono (Piersanti 1980, 48, 86-87, 114, 125, 131 e passim; sull’editoria letteraria del periodo si veda Ferretti 2004, 61-302).

Nuove vite della «Fenice»

Nel corso degli anni Sessanta la «Fenice» di Guanda passa alla cura prima di Giacinto Spagnoletti (direttore editoriale già presente da tempo con altri ruoli in casa editrice) e poi di Giancarlo Vigorelli, con nuove articolazioni di collana, continuando soprattutto con Spagnoletti la sua miglior tradizione: Stéphane Mallarmé curato da Luigi De Nardis nel 1961 e il Rimbaud di Cesare Vivaldi nel 1963; Rabindrānāth Tagore a cura di Augusto Guidi ed Elasa Soletta nel 1961; Anna Achmatova di Bruno Carnevali nel 1962; Raymond Queneau (Franco De Poli, 1963) e Paul Verlaine (Mario Pasi, 1967), Walt Whitman (ancora Franco De Poli, nel 1967) e Ghiannis Ritsos, tradotto da Crocetti nel 1967, prima che si mettesse in proprio, con la collaborazione di Dimitri Makris; e poi narratori beat (Bianciardi 1961), nuovi poeti ungheresi (Santarcangeli 1962) e jugoslavi (Zlobec 1966) eccetera. Fino agli anni che vedono la malattia e il progressivo distacco di Ugo Guanda, la sua morte nel 1971, e l’inizio di un’altra storia.

La casa editrice si trasferisce da Parma a Milano, passando tra il 1972 e il 1985 a Livio Garzanti prima e a Giancarlo Paolini poi, ed entrando dal 1986 nel gruppo Longanesi (dal 2005 GEMS, Gruppo editoriale Mauri Spagnol). Fino agli anni duemila, mentre la «Fenice» storica propone o ripropone opere di Prévert, Pound, Blok, Tagore, Ritsos, Jiménez, e una serie di titoli di Charles Bukowski (per la produzione in versi, Bocchiola 1998; Bagnoli 2003 – in realtà una ripresa da SugarCo edizioni del 1977; Viciani 2008, 2009 e 2010), nascono numerose collane nuove, aperte anche ad altri generi, che riprendono in vario modo lo stesso nome. Due di queste meritano attenzione. I «Quaderni della Fenice», iniziati nel 1974 e diretti da Giovanni Raboni, si articolano in varie direzioni: di particolare interesse le riproposte e gli inediti di importanti o classici poeti stranieri dell’Otto-Novecento, curati da specialisti: Osip Mandel’štam (Vitale 1976), Guillaume Apollinaire (Raboni 1977), Paul Verlaine (Viviani 1979), Sergej Esenin (Matacotta 1977 e Vitale 1982), Allen Ginsberg (Corsi 1978), García Lorca (con la ripresa delle vecchie traduzioni di Carlo Bo), Lawrence Ferlinghetti (Sanesi, Giachetti, Marcer 1978). Ad essi si affiancano poeti italiani contemporanei. La «Biblioteca della Fenice» presenta dal 1977 classici e contemporanei particolarmente significativi, ma soprattutto narratori: Arthur Rimbaud (Ortesta 1986). La serie antologica Poesia 1, Poesia 2, Poesia 3 tra 1980-1981 manifesta una programmatica doppia apertura al versante italiano e a quello straniero (Esposito 2002, 39).

Prezioso è il contributo complessivo che viene dalla casa editrice Guanda per la conoscenza di importanti autori e testi della poesia moderna non ancora tradotti e diffusi in Italia, e sia pure in un’area circoscritta di lettura (Catalogo 1955; Ferretti, Iannuzzi 2014, 81-84).

«Lo Specchio» di Vittorio Sereni

Un cambiamento fondamentale nella linea dello «Specchio» mondadoriano avviene con la direzione letteraria di Vittorio Sereni, a partire dal 1° novembre 1958 fino al suo passaggio a consulente nel 1976. Sereni è affiancato da Marco Forti, che rimane solo alla cura della collana dopo quella data. Sotto la guida di Sereni, «Lo Specchio» si consolida come collezione dedicata alla poesia e viene aperto ad autori stranieri di livello internazionale. La direzione sereniana gode, in Mondadori, di una certa autonomia: l’interesse commerciale della casa per il settore della poesia può passare in secondo piano rispetto a quello dell’immagine e del prestigio. La linea di Sereni si distingue per l’antiprogrammaticità, la lontananza da ogni atteggiamento di scuola e da ogni schematismo. Nonostante ciò i poeti da lui pubblicati (gli italiani spesso in fase di consolidamento del proprio percorso) disegnano una rete di assonanze e affinità, di consonanze intellettuali e di gusto, all’insegna di una poesia sliricata e alla ricerca di un rapporto con l’altro, ricca di fermenti critici.

Determinanti, sotto la direzione di Sereni, sono appunto le scelte nel campo della poesia straniera contemporanea, con un cambiamento significativo rispetto alle fasi precedenti. Molti gli autori celebri, da quelli di lingua inglese come Ezra Pound (Rizzardi 1960), Sylvia Plath (Giudici 1976), Ted Hughes (Pennati 1973) e William Dewitt Snodgrass (Binni 1975), ai greci Konstantinos Kavafis (Pontani 1961) e Giorgio (Giorgos) Seferis (Pontani 1963), dagli spagnoli Rafael Alberti (Bodini 1964) e Gabriel Celaya (Di Pinto 1967) al turco Nazim Hikmet (Lussu 1963).

Accanto a Kavafis e Seferis, un altro poeta emblematico della linea sereniana è René Char. È Sereni stesso a curare la traduzione di Ritorno sopramonte e altre poesie, pubblicato nel 1974 (cfr. Amadori 2007). Nasce in questo periodo l’Almanacco dello Specchio, dapprima volume antologico curato da Marco Forti nel 1962, quindi annuale a partire dal 1972: vi collabora Giuseppe Pontiggia e il comitato di lettura è composto da Sereni, Giansiro Ferrata e Sergio Solmi. All’«Almanacco» annuale è affidata esplicitamente una funzione di ricerca e sperimentazione: autori stranieri contemporanei pubblicati con testo a fronte, riproposta di testi del passato recente in nuove traduzioni (oltre a scoperta di nuove voci della poesia in Italia come Franco Loi e Milo De Angelis).

Nel 1969 Sereni vara inoltre i «Meridiani» (di cui propone anche il nome), che avranno lunga vita fino a oggi. Li dirige prima Giansiro Ferrata, poi Luciano De Maria e altri, e dal 1996 Renata Colorni. La collana riprende almeno in parte gli accostamenti tra classici e contemporanei e tra italiani e stranieri tipici degli «Oscar» (nati nel 1965), e ne rappresenta per così dire il pendant editorialmente alto, evidenziato anche dalla confezione pregiata, rilevando e ampliando il ruolo e la funzione che erano stati propri di altre due collane mondadoriane, «I classici contemporanei italiani» e «I classici contemporanei stranieri». Rispetto alle due storiche collane in particolare, i «Meridiani» hanno una fisionomia complessivamente meno specialistica e più editoriale. Di qui una più aperta destinazione alla lettura e all’uso, ma anche, in seguito, il rischio di criteri troppo diseguali e non sempre rigorosi nelle scelte e nelle cure (Ferretti, Iannuzzi 2014, 238-242). Nel quadro di una prevalenza di italiani e, fra i tradotti, di narratori, in questi primi anni escono anche alcuni volumi poetici, tutti con testo a fronte: le Opere scelte di Ezra Pound a cura di Mary de Rachewiltz e introduzione di Aldo Tagliaferri, del 1970; le Opere di François Villon tradotte da Attilio Carminati e Emma Stojkovic Mazzariol, con prefazione di Mario Luzi, del 1971; e le Narrazioni e poesie di Hugo von Hofmannsthal curate da Giorgio Zampa (1972).

Dopo il 1968, con il cambiamento dell’assetto direttivo della Mondadori e il crescente peso delle logiche di mercato e di successo rispetto a quelle culturali, si apre per Sereni un periodo di difficoltà sempre maggiori, scandite da vari rifiuti opposti alle sue proposte (tra cui le opere di William Carlos Williams per gli «Oscar» o «Lo specchio»). Matura così la sua decisione di passare al ruolo di consulente esterno, presa appunto nel 1976 (Ferretti 1993, 119-129; Ferretti, Iannuzzi 2014, 85-92).

Una “elitaria universale” di poesia: la «bianca» Einaudi

6_Una elitariaNata nel 1964 in casa Einaudi, la «Collezione di poesia» mostra una predilezione per la varietà di scelte e la rinuncia a una linea di tendenza, che la distinguono dalle altre collane della casa: nomi italiani di prima importanza senza legami di scuola si trovano affiancati ad autori classici e moderni delle letterature mondiali, facendo della collana una elitaria universale – per così dire – di poesia che arriva ai giorni nostri in buona salute.

Gli anni sessanta in Einaudi sono segnati da una serie di iniziative che proseguono l’evoluzione e il consolidamento avviati dal dopoguerra. Nascono ad esempio collane importanti nel campo della saggistica, da quella politica e d’intervento alle scienze umane, dalla filosofia alle rinnovate discipline letterarie. D’altronde nel decennio sessanta, casa Einaudi è anche una protagonista nel campo della narrativa, e del romanzo italiano in particolare, con una forte politica d’autore – italiano e straniero – e di collana, con le fortune dei «Coralli» e dei «Supercoralli».

La «Collezione di poesia» è dunque lontana da scuole e tendenze, con accostamenti tra autori antichi e moderni, italiani e stranieri e con una certa prevalenza, nei primi anni, di traduzioni da tedesco, inglese, russo e francese. L’attenzione al valore di durata non viene mai meno, come testimoniano le ristampe di quasi tutti i titoli nel decenni successivi, anche nel caso delle scelte meno scontate (ad esempio il quarto titolo della collana, nel 1964, è il Quaderno di traduzioni, a cura di Iginio De Luca, di un autore tipicamente trascurato nel canone nazionale come Ippolito Nievo). La programmazione si assesta, sin dal primo periodo, attorno alla decina di titoli all’anno.

Sul fronte degli italiani contemporanei molti degli autori presenti nella collezione con novità o riedizioni sono tipicamente einaudiani o collaboratori importanti (Franco Fortini, Sergio Solmi, Cesare Pavese, Giorgio Caproni e Angelo Maria Ripellino anche traduttori e curatori). La presenza di autori stranieri, importante sin dai primi anni, vede allineati contemporanei e classici moderni di statura mondiale, tutti offerti con il testo originale a fronte: Samuel Beckett (Wilcock 1964), Bertolt Brecht (Fertonani 1964), Thomas Stearns Eliot (Praz 1963), Pablo Neruda (Quasimodo 1969, ripresa di una edizione 1952), Rafael Alberti (Bodini 1966). Importante e costante anche nei decenni seguenti la presenza russa, con autori come Fëdor Tjutčev (Landolfi 1964), Eduard Bagrickij (Strada 1965), Anna Achmatova (Riccio 1966), Vladimir Majakovskij (Ripellino 1967), Sergej Esenin (De Luca 1968). Soprattutto tra gli autori di lingua inglese non mancano inoltre alcuni classici: Samuel Taylor Coleridge (Fenoglio 1964), William Butler Yeats (Melchiori 1965), seguiti negli anni settanta da John Donne (Campo 1971), Emily Brontë (Bompiani 1971) e così via.

Senza perdere il carattere universale, negli anni settanta la serie mostra una maggiore propensione alla sperimentazione, con le antologie collettive di Giovani poeti tedeschi (a cura di Roberto Fertonani, 1969),Giovani poeti sudamericani e Giovani poeti dell’America Centrale, del Messico, delle Antille (entrambi a cura di Hugo Garcia Robles e Umberto Bonetti, 1972 e 1977), Giovani poeti americani (a cura di Gianni Menarini, 1973), Giovani poeti spagnoli (a cura di Jose Maria Castellet; traduzione di Rosa Rossi, 1975), e così via per altre espressioni linguistiche, che si affiancano ad alcune antologie di nuovi poeti italiani, segnale di un’attenzione alle voci emergenti nazionali che crescerà negli anni. Si segnalano inoltre traduzioni di Beppe Fenoglio (Coleridge nel 1964, seguito da un Quaderno di traduzioni nel 2000), mentre il Baudelaire di Giovanni Raboni approda ai «Supercoralli» nel 1987 (dopo una lunga frequentazione e diverse edizioni riviste negli anni), e una sua traduzione di poesie di Jean-Charles Vegliante sarà ospitata nella «Collezione» 2004.

Anni ottanta: assestamenti e nuove iniziative

7_Anni ottantaGli anni ottanta rappresentano un periodo di assestamento e ridimensionamento delle iniziative maggiori. Significativa la chiusura della collana sperimentale di Feltrinelli («Poesia», 1958-1982), e soprattutto le difficoltà di Guanda, che esce da una fase di crisi dopo una sostanziale revisione della sua immagine come editore principalmente di poesia: le uscite nella «Fenice contemporanea» (inizialmente curata da Giuseppe Conte e Valerio Magrelli: Deidier 1995, 50) – tra cui il siriano Adonis tradotto da Valentina Colombo nel 1998, la cilena Carmen Yáñez curata da Roberta Bovaia, e Seamus Heaney curato in un caso da Roberto Mussapi (1996) e in un altro da Francesca Romana Paci (1999) – ripiegheranno ad esempio su cadenza circa annuale, a fronte delle uscite mensili delle serie che avevano contraddistinto gli anni precedenti (Esposito 2002, 40).

D’altronde nascono nel 1981 due piccoli editori i cui programmi si caratterizzano fortemente per la presenza di poesia straniera tradotta: Crocetti e Marcos y Marcos.

Giunta oggi a una cinquantina di titoli, la collana «Lekythos» della casa milanese Crocetti esprime un’apertura alla poesia contemporanea e una linea editoriale costruita attraverso scelte non scontate, allineando traduzioni da letterature poco frequentate dall’editoria italiana di maggiori dimensioni. La poesia greca contemporanea rappresenta l’interesse principale che guida Nicola Crocetti al momento della fondazione della casa nel 1981 e della collana stessa: interesse testimoniato anche dalla kylix, una coppa da banchetto della Grecia antica che ne costituisce il logo, e dai titoli delle collane quasi tutti presi da tipologie di vasi della Grecia antica.

Crocetti, greco di origine e fiorentino di formazione, si trasferisce a Milano negli anni sessanta, dove si dedica al giornalismo e dai primi anni settanta collabora con varie sigle editoriali come traduttore e consulente. Importante la collaborazione con Guanda, sin dal 1973. Giunge quindi a inaugurare la sua produzione, ed è inizialmente solo nella sua impresa: sceglie, traduce e cura lui stesso i primi volumi. Solo in seguito faranno la loro comparsa altri collaboratori.

La veste della collana «Lekythos» si caratterizza, come le altre dell’editore, per un aspetto pulito e raffinato: copertine sempre bianche con il titolo in rosso, carta pregiata e in generale un’attenta cura nella confezione dei volumi, spesso anche corredati di alcune illustrazioni interne. Tutti i testi sono pubblicati con versione originale a fronte. I primi volumi usciti sono due raccolte di Giannis Ritsos (Crocetti 1981) e Costantino Kavafis. Entrambi gli autori saranno nuovamente presenti nella collana, in particolare Ritsos, tradotto sempre da Crocetti (1984, 1993, 2004 e 2012). L’ultimo ha un’introduzione di Moni Ovadia, il quale ne trae nello stesso anno uno spettacolo teatrale, basato proprio sulla traduzione di Crocetti. Tutte le raccolte rimangono in catalogo con nuove edizioni negli anni duemila. Il nome di Ritsos ritorna nel catalogo dell’editore in varie collane, mentre in «Lekythos» spicca anche la presenza di un suo scritto inedito e sette sue incisioni nel volume di Poesie d’amore di Aragon pubblicato nel 1984 come terzo titolo della collana a cura di Francesco Bruno.

Kavafis ricompare con Poesie segrete (1985), raccolta tradotta da Crocetti, con varie riedizioni negli anni, mentre le Poesie erotiche contano otto riedizioni al 2000.

Dopo le prime uscite, dominate dalla triade Ritsos-Kavafis-Aragon, si cominciano a esplorare autori, aree geografiche e tradizioni anche distanti tra loro: escono Il giardino del profeta del libanese Kahlil Gibran nel 1986 (tradotto dall’inglese sempre da Crocetti), Sotto l’azzurro del tuo cielo. Poesie d’ispirazione sufi del francese Jean Josipovici (che si autotraduce) nel 1987, e Geometrie dell’estasi. Bollettini dall’immortalità di Emily Dickinson, curata Silvio Raffo l’anno seguente. Prende forma un insieme variegato, che guarda al canone della poesia mondiale contemporanea, con scelte però non scontate, che mantengono «Lekythos» lontana dalla formula di una universale di poesia, facendone piuttosto una collana con un altro valore di proposta in Italia (magari di autori già consacrati nei loro paesi di origine), in grado di costruire un proprio percorso della poesia novecentesca, senza tentazioni per le scelte più facili. Si allineano così, col tempo, anche raccolte di autori già classici, come le Poesie francesi di Rainer Maria Rilke a cura di Roberto Carifi (1989), le Solitudini di Antonio Machado, curate da Francesco Tentori Montalto (1989), O capitano mio capitano di Walt Withman, a cura di Antonio Troiano (1990), gli Charmes di Paul Valéry, a cura di Alfredo Tassoni (1992). Accanto alle quali si trovano opere di autori e autrici meno conosciuti in Italia, come Edna St. Vincent Millay, americana, premio Pulitzer nel 1923 (di cui in Italia prima della raccolta crocettiana L’amore non è cieco, pubblicata nel 1991 a cura di Silvio Raffo, erano usciti solo due titoli per piccole sigle); l’israeliano Yehuda Amichai, di cui Poesie costituisce la prima raccolta dell’autore israeliano tradotta in Italia, uscita nel 1993 per le cure di Ariel Rathaus con un’introduzione di Ted Hughes (mentre i pochi titoli proposti da altri editori seguiranno solo negli anni Duemila); l’olandese Cees Nooteboom, di cui Autoritratto di un altro. Sogni dell’isola e delle città d’un tempo è tradotto nel 1998 da Fulvio Ferrari (già curatore di diverse raccolte dell’autore pubblicate da Iperborea); lo svizzero Kurt Marti, con le Orazioni funebri (2001) tradotte dal tedesco da Annarosa Zweifel Azzone; dello svedese Tomas Tranströmer, di cui la Poesia dal silenzio è tradotta nel 2001 da Maria Cristina Lombardi; e altri in seguito. Il filone greco, per il quale la collana continua a mantenere una particolare attenzione, prosegue con opere di Odisseas Elitis (tradotto da Paola Maria Minucci nel 1990), Nasos Vaghenàs (Caterina Carpinato, 1997), Kiki Dimoula (Paola Maria Minucci 2000), Kostas Kariotakis (con la ripresa, nel 2004, di una vecchia traduzione di Filippo Maria Pontani) e altri, sino a oggi.

La programmazione mantiene un numero di uscite oculato (mediamente, dal 1981 a oggi, uno o due nuovi titoli all’anno, oltre alle varie riedizioni), restando fedele al proprio progetto.

Nel frattempo, dal 1988, la produzione libraria di Crocetti viene affiancata dalle uscite mensili della rivista «Poesia», caso, afferma l’editore, unico in Italia di rivista poetica distribuita in edicola su tutto il territorio nazionale, con una tiratura attorno alle 20.000 copie a numero. Crocetti si riconferma capace, con «Poesia», di intercettare una nicchia di domanda normalmente trascurata dall’editoria di maggiori dimensioni, ma la rivista funziona anche da volano per le edizioni librarie della casa, che si assestano su tirature di circa 1.000 copie a titolo, e si articolano via via in nuove collane. Le pubblicazioni di Crocetti sembrano aver conquistato e consolidato un proprio pubblico fedele (e non sempre specialistico né necessariamente accademico).

Verso il presente: vivacità delle “piccole”

Gli anni tra novanta e duemila sono segnati nel complesso dalla «“inventività” dei piccoli editori» dalla «loro ricerca del nuovo e del diverso». Anche se «questa ricerca è stata spesso “rapsodica” o al coraggio del lavoro di scandaglio non ha sempre corrisposto un’adeguata cura dei testi e delle traduzioni, può essere comunque apprezzato il clima di curiosità che si è stabilito, e la fecondità di un confronto fattosi ormai continuo» (Esposito 2002, 42). Nella sintesi di Esposito, dopo il fervore traduttivo degli anni trenta, l’esplosione di interesse per le letterature straniere nel dopoguerra giunto a compimento negli anni sessanta, e dopo,

il disinteresse, addirittura i rifiuto dell’estetico che si era manifestato presso il pubblico giovanile negli anni della contestazione, il fallimento o almeno il ridimensionamento di quelle istanze spinge altrove la ricerca di libertà e il bisogno d’espressione dei giovani. L’immaginazione non conquista il potere e rifluisce come da tradizione sul terreno dell’arte, ma si fa spazio nel costume, occupa nuovi ambiti della vita civile e, insofferente di limiti e confini usati, si proietta soprattutto verso l’esterno, verso il mondo che, prima e più che in Italia, ha accusato gli stessi sintomi di insofferenza e lo stesso bisogno di revisione dei valori usati (Esposito 2002, 38).

La collana «Poesia» viene varata nel 1996 da Donzelli, e ospita traduzioni, nella gran parte dei casi, di autori importanti spesso del tutto o largamente sconosciuti in Italia: dal Nobel greco Odisseas Elitis (Minucci 2000 e 2006) al danese Henrik Nordbrandt (Berni 2000), agli americani Stevie Smith (Sacerdoti 1996), Mark Strand (Abeni 1999), Tess Gallagher (Duranti 1999), ai tedeschi Peter Waterhouse (Miglio 1998) ed Ernst Meister, premio Büchner nel 1979 (Mecacci 2000) all’israeliano Natan Zach (Rathaus 1996) e allo statunitense di origine serba Charles Simic (Abeni 2001) (cfr. Esposito 2002, 35-36). L’iniziativa di Donzelli è a suo modo emblematica dell’apertura verso aree linguistico-culturali prima meno considerate, che a partire dagli anni settanta fino ai duemila non cessa di crescere, soprattutto ad opera di case medio-piccole, o di particolare orientamento culturale. Si pensi al caso della polacca Wislawa Szymborska – Nobel nel 1996 – tradotta da Pietro Marchesani: due raccolte per Scheiwiller, da cui Mondadori trae nel 1998, dopo il Nobel, una silloge per «I Miti»; e una scelta ampia in volume per Adelphi.

Marcos y Marcos, nella collana «Le Foglie», pubblica negli anni novanta la prima traduzione italiana di Kenneth Rexroth (Santi 1999), Philippe Jaccottet (Pusterla 1997 e 2006, Crovetto 2000). Ma è soprattutto sul fronte critico-teorico che Marcos y Marcos lascia un segno di rilievo, con la rivista «Testo a fronte» curata da Franco Buffoni (nata nel 1989 e transitata prima da Guerini e da Crocetti) e la collegata collana «I testi di Testo a fronte», nella quale rientrano le antologie succitate.

Dal 1995 si segnala l’annuario «Poesia» pubblicato da Castelvecchi e diretto da Giorgio Manacorda: la rubrica dedicata alle recensioni (pur all’interno di una rivista che guarda soprattutto alla poesia italiana) costituisce un buono spaccato del panorama editoriale e del suo vivacizzarsi negli anni seguenti (sull’attività delle piccole case di poesia in questi anni – Crocetti, assieme a Campanotto, Empiria, Book e altre – si veda Ferretti 2004, 411- 415; su Donzelli e Castelvecchi si veda ivi, 424-425).

Un’altra iniziativa criticamente accorta è, a partire dal 2004, la collana «Rhythmós» diretta da Franco Nasi per l’editore Medusa di Milano, dedicata a poesia contemporanea in traduzione con testo a fronte e nota del traduttore. Contributi critico-teorici di tema traduttologico sono ospitati in altre collane dell’editore.

In casa Mondadori: dallo «Specchio» agli «Oscar» ai «Miti»

Negli anni ottanta e novanta restano nello «Specchio» mondadoriano autori entrati durante il periodo sereniano e di ormai prima importanza nel panorama nazionale contemporaneo (per esempio, Maurizio Cucchi, Giovanni Giudici, Giovanni Raboni) con poche nuove voci (per esempio, Antonio Porta, Patrizia Valduga), mentre si indebolisce il fronte internazionale, del tutto assente in molte annate, nel quadro di un calo generale dei titoli pubblicati e di una politica editoriale meno attenta all’identità di collana e all’equilibrio nella programmazione, tanto che la collana resta, in alcuni anni, priva o quasi di nuove uscite.

Negli anni novanta, poco alimentato, lo «Specchio» è affiancato dalle serie derivate «Il nuovo Specchio» e «I classici dello Specchio». Una ripresa della serie poetica («Lo Specchio. I poeti del nostro tempo») avviene negli anni duemila, con largo spazio dato a nomi italiani e (pochi) stranieri già largamente affermati (come Pound e Seamus Heaney).

L’«Almanacco», la cui uscita non è più regolare, in molti casi «si limita ad anticipare ciò che i volumi dello Specchio offriranno poi in forma più organica, la posizione mondadoriana di leader nel campo della poesia gli consente di offrire materiali di grande interesse e qualità», da Yves Bonnefoy a Ted Hugues da Josif Brodskij a Jorge Luis Borges, da Sylvia Plath fino alle «cronache più “militanti”» sulla Scuola di New York, i poeti messicani, cubani e polacchi (rispettivamente 1973, 1976, 1978, 1979) (Esposito 2002, 40). Negli ultimi anni ottanta l’«Almanacco» conta nel comitato di lettura, tra gli altri, Cucchi e Giudici. Nel 2005 Cucchi ne diviene curatore assieme ad Antonio Riccardi, fino alla cessazione delle pubblicazioni nel 2011 (ne raccoglieranno l’eredità il «Quadernario» curato da Cucchi per Lietocolle nel 2013 e l’«Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea» curato da Gianfranco Lauretano e Francesco Napoli per Raffaelli a partire dal 2013).

Negli anni novanta Mondadori vara la serie «Poesia del ‘900» all’interno degli «Oscar». In «Poesia del ‘900» vengono ripresi alcuni titoli dello «Specchio», talvolta con nuove traduzioni: Valéry curato da Patrizia Valduga, Pasternàk curato da Nadia Cicognini (ripreso nel 1999 dalle Edizioni Leonardo 1996), Cvetaeva, Williams, Hemingway, Frénaud, Alberti, Plath, e molti altri ancora, «tutti con testo a fronte e a un prezzo più che accettabile» (Esposito 2002, 43).

Mondadori vara nel 1996 anche «I Miti Poesia», collana con intento eminentemente divulgativo: favorire il «primo incontro fra il lettore e la poesia. Per questo motivo non abbiamo appesantito il testo con note e apparati critici» (Gianni Ferrari in Pasti 1996; cfr. Basilio 1996, 22). «I Miti» hanno una tiratura di 100.000 copie a titolo al prezzo di 3.900 lire a volume. Si tratta di volumetti antologici (i criteri di compilazione, in mancanza di apparati, non sono esplicitati), le traduzioni sono prive di testo a fronte; viene omesso in un caso, il volume dedicato a Saffo (1996), persino il nome del traduttore.

La «bianca» Einaudi e i contemporanei

Negli anni tra novanta e duemila, nella «Collezione di poesia» Einaudi diminuiscono gli autori della classicità, mentre cresce la presenza di altre lingue e culture moderne e contemporanee. Negli anni novanta e duemila, a recuperi come quelli di Mandel’štam, di Baratynskij, degli inediti di Celan tradotti da Michele Ranchetti (Ranchetti, Leskien 1998), si affiancano contemporanei come Tony Harrison (Bacigalupo 1996) e Yves Bonnefoy (Grange Fiori 1990). Si incontrano in seguito anche Federico García Lorca (Felici 2008), Osip Mandel’štam (Faccani 1998), Paul Celan (Bevilacqua 1996), Walter Benjamin (Tiedemann 2010). Tra le nuove voci spiccano quelle dell’israeliano Natan Zach, del russo Sergej Stratanovskij, del bosniaco Izet Sarajlic (ma con una raccolta postuma: Ferrari S. 2012). Alcuni nomi nuovi mostrano percorsi di promozione: Jacqueline Risset, già curatrice con Alfredo Giuliani dell’antologia di «Tel Quel» nel 1968, è presente ora con una raccolta personale autotradotta (Risset 2011), mentre il tedesco Durs Grünbein, già incluso in un’antologia tedesca collettiva del 1994, diviene presenza frequente della collana in traduzioni di Anna Maria Carpi (1999, 2005, 2011).

Proseguono con una certa vivacità negli anni Novanta e Duemila le antologie dedicate alle generazioni di poeti emergenti in vari paesi con i Nuovi poeti tedeschi nel 1994 (curata da Anna Chiarloni, che porta avanti il lavoro della precedente Giovani poeti tedeschi, di Fertonani, giunta – si ricorderà – al 1969), e raccolte via via dedicate ai nuovi poeti cinesi (Pozzana, Russo 1996), americani (Biagini 2006), russi (Martini, Ferraro 2005), israeliani (Rathaus 2007), francesi (Scotto, Pusterla 2011).

Anche se non si può dare un giudizio complessivo su una serie ancora in piena attività, nell’ultimo decennio la tendenza sembra aver privilegiato l’inclusione di nuovi autori soprattutto italiani contemporanei, rispetto alla presenza di autori classici greci e latini, stranieri o nostrani.

La buona salute della collezione è testimoniata per altro dall’alimentazione costante (sempre attorno alla decina di titoli all’anno) e dalla permanenza in catalogo di larga parte dei titoli pubblicati dall’inizio della serie. Sono significativi i numeri delle ristampe: le Poesie in inglese di Samuel Beckett, secondo titolo della collana nel 1964, nel 2000 arriva alla dodicesima ristampa, il Libro di devozioni domestiche di Bertolt Brecht, terzo titolo, è a otto ristampe nel 1997, le Poesie di Neruda (diciassettesimo, 1965) arrivano a trentuno ristampe nel 2010. All’inizio del 2016 la collezione supera i quattrocentotrenta titoli pubblicati; più di duecentocinquanta sono tuttora disponibili a catalogo.

La grafica, ideata da Bruno Munari e Giulio Einaudi e immutata negli anni,fornisce alla continuità della programmazione un pendant visivo in cui la sobrietà e l’eleganza tipicamente einaudiane si adeguano con naturalezza al prestigio dell’oggetto letterario poetico: su fondo bianco, una sottile linea nera separa autore, titolo e stemma dell’editore nella fascia superiore, da un assaggio del testo riportato nella parte inferiore. La poesia stessa costituisce così l’unico elemento grafico di spicco, assieme, certamente, allo storico struzzo.

Cenni conclusivi

Concludiamo questo percorso in modo programmaticamente aperto: mentre le iniziative di traduttori e editori continueranno ad ampliare il perimetro di una possibile prosecuzione di questo studio, e mentre possiamo aspettarci che nuove tecnologie nella creazione, distribuzione, socializzazione del libro abbiano un impatto di rilievo sulla segmentazione del pubblico e le possibilità dei lettori, i notevoli sviluppi che gli studi di storia dell’editoria e storia e teoria della traduzione stanno vivendo anche in Italia da qualche decennio a questa parte, permetteranno senz’altro che il racconto di questa storia possa essere proseguito con sempre migliori strumenti documentari e critici a disposizione.

Bibliografia

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– 1960: Ezra Pound, Le poesie scelte, traduzione di Alfredo Rizzardi, Mondadori

Rundle 2010: Christopher Rundle, Publishing Translations in Fascist Italy, Peter Lang, Bern 2010

Rundle, Sturge 2010: Christopher Rundle, Kate Sturge (eds.), Translation under Fascism, Palgrave, Houndmills-New York 2010

Sacerdoti 1996: Stevie Smith, Il cinico bebè e altre poesie, scelta e traduzione di Gilberto Sacerdoti, Donzelli

Sanesi 1954: Poesie di Dylan Thomas, traduzione introduzione e note di Roberto Sanesi, Guanda

Santarcangeli 1962: Lirica ungherese del ‘900, introduzione e traduzione di Paolo Santarcangeli, Guanda

Santi 1999: Kenneth Rexroth, Su quale pianeta, traduzione e cura di Flavio Santi, Marcos y Marcos

Scotto, Pusterla 2011: Nuovi poeti francesi, a cura di Fabio Scotto; traduzioni di Fabio Scotto e Fabio Pusterla, Einaudi

Strada 1965: Eduard Bagrickij, L’ultima notte, prefazione e traduzione di Vittorio Strada, Einaudi

Tiedemann 2010: Walter Benjamin, Sonetti e poesie sparse, a cura di Rolf Tiedemann, Einaudi

Tranfaglia, Vittoria 2007: Nicola Tranfaglia, Albertina Vittoria, Storia degli editori italiani. Dall’Unità alla fine degli anni Sessanta, Laterza, Roma-Bari, seconda ed., 2007

Viciani 2008: Charles Bukowski, Una notte niente male, traduzione di Simona Viciani, Guanda

– 2009: Charles Bukowski, Cena a sbafo, traduzione di Simona Viciani, Guanda

– 2010: Charles Bukowski, Tutti gli anni buttati via, traduzione di Simona Viciani, Guanda

Vitale 1976: Osip Mandel’štam, Poesie 1921-1925 , a cura di Serena Vitale, Guanda

– 1982: Sergej Esenin, Poemi rivoluzionari, a cura di Serena Vitale, Guanda

Viviani 1979: Paul Verlaine, Feste galanti, a cura di Cesare Viviani, Guanda

Wilcok 1964: Samuel Beckett, Poesie in inglese, prefazione e traduzione di Rodolfo J. Wilcock, Einaudi

Woolf 1917: Virginia Woolf, The Perfect Language, in «The Times Literary Supplement» 1917, ora in Essays, edited by Andrew McNeillie, Harcourt Brace Jovanovich, London-New York 1986-88, vol II, pp. 114-119.

Zlobec 1966: Nuova poesia jugoslava, con testo a fronte a cura di Ciril Zlobec (con la collaborazione di S. Mihalić e A. Spasov), Guanda

Zuccato 1997: Sotto la pioggia e il gin. Antologia della poesia inglese contemporanea, a cura di Edoardo Zuccato, Marcos y Marcos