Renato Poggioli. An Intellectual Biography, a cura di Roberto Ludovico, Lino Pertile, Massimo Riva, Olschki Editore, Firenze 2012, pp.277, € 34,00
di Giulia Baselica
Nell’ottobre del 2007, presso tre prestigiose Università del New England (University of Massachusetts Amherst, Brown University e Harvard University) ebbe luogo un importante convegno internazionale intitolato Renato Poggioli International Symposium, dedicato all’eminente intellettuale fiorentino, nato nel 1907 e scomparso in California nel 1963.
Le relazioni presentate dai diciassette studiosi partecipanti – storici, italianisti, slavisti, comparatisti, studiosi di teoria della traduzione – riunite in questo pregevole volume pubblicato da Olschki, colmano, almeno in parte . precisa Roberto Ludovico nell’Introduction – un inspiegabile vuoto culturale determinato dalla scarsa attenzione rivolta al nome e all’opera di Poggioli. Nei decenni seguiti alla morte, infatti, su questa multanime figura di intellettuale, mente tra le più acute e influenti del secolo scorso, parrebbe essere calata una cortina di silenzio.
Il volume è caratterizzato da una complessa articolazione, in quanto i saggi raccolti mettono in luce, in maniera sincronica e dinamica, i vari aspetti dell’impegno culturale, sociale e politico profuso da Renato Poggioli. Data la natura della rivista in cui compaiono queste righe verrà qui dato conto essenzialmente dei contributi – tutti interessantissimi per la profondità di analisi e per l’originalità delle prospettive di studio – inerenti al Poggioli traduttore.
Con Renato Poggioli and the Slavic Literatures Laurent Béghin, che in altra sede si è soffermato anche sulla attività di traduttore di Poggioli (Uno slavista comparatista sotto il fascismo: gli anni di formazione di Renato Poggioli, in «Archivio russo-italiano IV», collana di «Europa Orientalis, 2005, pp. 395-432), ne percorre la biografia ponendo in risalto, tra l’altro, le sue straordinarie doti di autodidatta, che gli consentirono di apprendere il russo con eccezionale rapidità. Béghin riporta in proposito la testimonianza di un altro celebre traduttore (e scrittore), Tommaso Landolfi: «Un bel giorno [Poggioli] decise di dedicarsi alla disciplina nella quale doveva in seguito primeggiare; si chiuse in casa e ne uscì due mesi dopo ricco di una nuova e a quel tempo inusitata dottrina». L’attività traduttiva, che si fa particolarmente intensa negli anni trenta e quaranta, costituisce una sorta di filo rosso che attraversa l’esistenza dell’intellettuale fiorentino. Dalla prima traduzione, nel 1930, del romanzo Sorelle in Cristo di Aleksej Remizov, pubblicata in volume dalla casa editrice Slavia, alla raccolta Poemetti e liriche di Aleksandr Blok, edita nel 1941 da Guanda, Renato Poggioli offre un essenziale contributo all’intento, condiviso da altri intellettuali e prolifici traduttori del tempo (oltre ai sempre citati Pavese e Vittorini, si ricordino almeno Tommaso Landolfi, Carlo Bo, Leone Traverso e Luigi Berti) di sprovincializzare la cultura italiana.
Poggioli avviò un’intensissima collaborazione, prevalentemente di carattere traduttivo, con numerosi periodici: «Solaria», «Il Convegno», «Nuova Antologia», «Circoli», «Pan», «Pegaso», «Vigilie letterarie». Sull’argomento si diffonde il saggio di Andrea Cristiani, Renato Poggioli and the Italian Periodicals between 1928 and 1938, che ricorda i suoi pionieristici saggi di traduzione da opere di Blok, Gumilëv, Esenin e Anna Achmatova. E la sua anima di traduttore non fu ridotta al silenzio neppure dalla circostanza dell’esilio (volontario) negli Stati Uniti, dove si stabilì (come ricorda Charles Killinger, Renato Poggioli and Antifascism in the United States) nel 1938 abbandonando l’Italia e un clima culturale e politico ostile al suo spirito libero e dove seguitò a svolgere, appunto in qualità di traduttore – osserva Giuseppe Ghini, che si diffonde su The Metric Equivalent in Poggioli’s «Rhytmic Versions» from Pushkin, Tjutchev, Pasternak, and Achmatova – «un ruolo non soltanto di “artigianato” e “traduttore creativo”, ma anche di “autore aggiunto”».
All’opera di Poggioli più nota in Italia è dedicato il contributo di Carlo Testa (Aleksandr Blok Translated into Italian: in the Beginning Was Poggioli’s Word). L’antologia di poeti russi Il fiore del verso russo, pubblicata da Einaudi nel 1949, rivelò al pubblico italiano le meraviglie di una tradizione poetica all’epoca ancora poco nota. L’analisi condotta da Testa è orientata a far emergere il valore e l’utilità dell’operazione culturale compiuta da Poggioli, soffermandosi soprattutto sul capitolo dedicato alle liriche di Blok. Le versioni di Poggioli sono qui esaminate in base a tre fattori essenziali: selezione; versificazione, nelle sue componenti di ritmo e rima; valore semantico.
L’intervento già citato di Ghini affronta i problemi e le questioni inerenti alla metrica, motivo di studio e di riflessioni per il Poggioli traduttore di grandi poeti russi dell’Ottocento e del Novecento. L’autore (al quale si deve un ampio e dettagliato profilo bio-bibliografico di Poggioli reperibile al sito http://www.uniurb.it/lingue/docenti/ghini/bibliografia.pdf) pone in evidenza l’audace scelta nell’adottare l’endecasillabo libero italiano per rendere il tetrametro giambico russo, accogliendo la nozione, a quel tempo non ancora formulata, di «equivalente funzionale» e, soprattutto, rileva il fruttuoso tentativo di tradurre il senso dell’originale russo mantenendone il carattere formale più peculiare: il ritmo. Ghini evoca inoltre il contributo di Poggioli alla riflessione sulla traduzione, quindi alla teoria, originata da una pratica intensiva ed espressa nel saggio The Added Artificer, contenuto nella raccolta The Spirit of the Letter: Essays in European Literature, pubblicato nel 1965 da Harvard University Press e ancora in attesa di traduzione italiana.
A questo stesso scritto fa riferimento anche Mattia Acetoso (Renato Poggioli’s Intellectual Project and the Psichology of Exile) richiamando la teoria, espressa da Poggioli, del traduttore visto come poeta: la scelta del testo da tradurre, qualunque esso sia, è di per sé un atto creativo indotto da una preferenza o piuttosto da ciò che egli definisce «affinità elettiva». Acetoso vede l’esperienza dell’esilio come una sorta di lente attraverso la quale è possibile distinguere le radici psicologiche che sottostanno all’intera, vasta opera dello slavista fiorentino. La condizione di esilio forzato col tempo diviene una situazione scelta volontariamente e feconda di ispirazioni.
Forse la storia di Renato Poggioli ci permette di cogliere nello status di esule e nel ruolo di traduttore alcuni elementi comuni. Entrambi si trovano, il traduttore metaforicamente, l’esule realisticamente, in un territorio e in un contesto diversi dai propri e originari; entrambi finiscono con l’appartenere a due culture, e a nessuna delle due completamente; in una situazione di in-between, indefinita, e tuttavia aperta e dinamica: l’una è quella delle origini, o di partenza, ma anche di arrivo, in quanto il suo dialogo interiore è sempre rivolto ad essa; l’altra è quella cui è approdato, quindi di arrivo, ma anche di partenza, in quanto rappresenta la nuova realtà che gli ispira sempre nuove letture di sé e del mondo.