EDITORIA ANTIFASCISTA «ALLA LUCE DEL SOLE» NEGLI ANNI TRENTA
di Carlo Carotti
«Collaborazionisti», «obiettori», «intransigenti»: un rapporto sotterraneo e non organizzato
Rodolfo Morandi (1902-1955) è figura, non eccezionale ma rara, di politico e, nello stesso tempo, di studioso di alto livello. Da giovane intellettuale, dopo aver pubblicato nel 1931 da Laterza, col beneplacito di Benedetto Croce, la sua Storia della grande industria in Italia, considerava dimezzata la sua umanità se si fosse limitata allo studio. Era per lui necessaria una attività pratica che, nelle condizioni di allora, poteva essere solo di natura culturale, ma che divenne, nello stesso periodo, azione cospirativa, e lo portò a passare un periodo abbastanza lungo in carcere, che ne minò la salute. Fu in seguito un alto dirigente del partito socialista, di cui fu segretario generale nel 1945-6; fu quindi ministro della neonata Repubblica nel 1946-1947, e riorganizzatore del partito dopo la grave sconfitta elettorale del 1948, impegnato nella lotta per conferirgli quella linearità e stabilità che esso non ebbe mai. Ma non disgiunse mai questo impegno politico diretto da iniziative di respiro intellettuale e scientifico come la creazione dell’Istituto di studi socialisti e, insieme con l’illuminato tecnocrate democristiano Pasquale Saraceno, dell’Istituto per lo sviluppo del Mezzogiorno (Svimez). Non solo. Questa attitudine Morandi la trasmise ad alcuni giovani della generazione successiva, fra i quali spicca Raniero Panzieri (1921-1964), funzionario del Psi, direttore negli anni cinquanta del periodico del partito «Mondoperaio», traduttore del secondo libro de Il capitale di Marx per gli Editori Riuniti (il primo era stato tradotto da Emma Mezzomonti insieme con il marito Delio Cantimori), redattore della casa editrice Einaudi e infine fondatore, insieme ad altri, dei «Quaderni rossi», una rivista che contribuì a rifondare nei primi anni sessanta gli studi economico-sociali in chiave neomarxista e ispirò la sinistra operaista.
Se si colloca la collana «Storica» dell’editore Alberto Corticelli, diretta dall’allora socio Rodolfo Morandi, nel contesto delle iniziative antifasciste «alla luce del sole»- come lo storico Giovanni De Luna ha definito quella contemporanea del gruppo di Giustizia e libertà operante a Torino – che hanno caratterizzato Milano nel primo quinquennio degli anni trenta, essa assume un rilievo più ampio e significativo. I socialisti sono allora portatori di proposte, solo apparentemente innocue, che provengono da gruppi su posizioni diverse: i «collaborazionisti» di Rinaldo Rigola, ex dirigente della disciolta Confederazione generale del lavoro, con l’associazione culturale «Problemi del lavoro» e la relativa rivista; gli «obiettori» del Gar (Gruppo amici della razionalizzazione), con annessa rivista «L’Ufficio moderno» diretta da Guido Mazzali, che fu dopo la Liberazione il direttore della edizione milanese dell’«Avanti!» (Carotti 2001); la casa editrice Aracne dei fratelli Roberto e Attilio Tremelloni, anche loro, soprattutto il primo, impegnati nel Gar (Carotti 2014b); e gli «intransigenti» come appunto Rodolfo Morandi, che collaborò alla fine degli anni venti o dai primi mesi del 1931 al comitato clandestino di Giustizia e libertà e, tra il 1933 e il 1934, proprio mentre era impegnato nella iniziativa editoriale con Corticelli, alla costituzione del Centro interno socialista (Carotti 2014b,137-191). Va aggiunto il suo rapporto, da indagare più approfonditamente, con il riformista Fernando Santi (1902-1969), che, come Morandi, collaborò con il gruppo di Giustizia e libertà (Musso 2017) e al quale il più giovane fece omaggio di una copia della Storia della grande industria fresca di stampa (Morandi 1967, 340) Si tratta di una rete di rapporti sotterranei e scarsamente organizzati che fornirono la base della rinascita del socialismo milanese, contribuendo a fare di quel partito, ancora alle elezioni del 1946, il primo in città.
Dalla Storia della grande industria in Italia alla collana «Storica»
Dopo la laurea in giurisprudenza, Morandi si reca a Berlino dove frequenta, all’inizio del 1927, i corsi di economia politica tenuti da Werner Sombart, e in quella sede ritrova l’amico siciliano Pietro Ernandez che aveva conosciuto l’anno prima, quando entrambi prestavano servizio militare come ufficiali di complemento nello stesso reggimento di artiglieria. Con lui, rientrati entrambi in Italia, intesse una fitta corrispondenza. Il 20 agosto 1928 Morandi scrive: «Mi tormenta il bisogno di una attività pratica quasi come una necessità di completare la mia umanità, perché nella speculazione non si è uomini che a mezzo». E’ infatti nelle lettere inviate all’amico siciliano, e riprese nella biografia intellettuale e politica che di Morandi ha steso Aldo Agosti (1971), che sono contenute le notizie, qui riportate, riguardanti la sua attività dal 1928 al 1935.
Mentre è impegnato nell’attività clandestina di Giustizia e libertà e prepara la pubblicazione della Storia della grande industria presso Laterza, Morandi «vagheggi[a] – scrive a Ernandez l’11 dicembre 1930 – una impresa editoriale [che] potrebbe forse in questo quadro attuarsi nel suo vero carattere adeguandosi senza troppi lunghi giri alla necessità del tempo» (Morandi 1969, 453). Tuttavia solo nel maggio del 1932 può comunicare all’amico che il desiderio di accingersi a una impresa «di più largo stile» , varabile autonomamente se potesse disporre di mezzi finanziari bastevoli, lo ha indotto a esaminare «sotto i suoi vari aspetti» la questione (Morandi 1969, 463-464). Ritenuta praticamente ardua da realizzare una «intrapresa autonoma», decide di abbandonare l’idea dopo essere entrato in contatto con l’editore Alberto Corticelli e aver guardato «un po’ addentro in questa attività, che come una sirena ingannatrice ci attira un po’ tutti». Per questo motivo l’obiettivo viene spostato «su un terreno più sicuro», data l’esistenza di questa «piccola casa a conduzione famigliare di cui io ben conosco i componenti, la loro serietà e l’onestà ineccepibile». Viene pertanto accettata da Morandi la proposta di Corticelli di «entrare a far parte dell’azienda con un certo apporto di capitale, che dovrebbe permettere di svilupparne l’attività», scrive il 16 novembre 1932 all’amico (Morandi 1969, 468). La somma che il giovane studioso milanese può conferire non supera le 50 mila lire, ritenuta insufficiente, per cui chiede a Ernandez di sostenere l’impresa con un contributo per «intraprendere le pubblicazioni che ci stanno a cuore». Corticelli valuta l’ammontare del patrimonio aziendale in 150 mila lire, valutazione «abbastanza discreta». L’editore si impegna a pubblicare una decina di volumi l’anno della loro collezione, che avrebbe avuto bisogno di «un notevole lavoro di traduzione, di studio e adattazione». Da parte sua Morandi, che non intende fare una speculazione, si adatterebbe, per guadagnarsi uno stipendio, all’attività minuta e materiale dell’amministrazione, poiché «per il momento non ci sarebbe consentito di retribuire […] altre persone» (Morandi 1969, 470). Il 24 novembre, al ritorno dal viaggio di nozze, avvenute il 17 di quel mese, Morandi riprende la corrispondenza con Ernandez rammaricandosi che questi non voglia accettare la sua proposta (Morandi 1969, 471). Solo nel febbraio del 1933 Morandi inizia a dare notizie sulla sua nuova attività unitamente alle «cose mie» (1969, 471). A causa della crisi dei rapporti con Giustizia e libertà, si attiva per la creazione a Milano e in altri centri dei gruppi di militanti socialisti (Merli 1961, XIII), che ha come sbocco la costituzione del Centro socialista interno nell’estate del 1934 (Agosti 1971, 230).
Pur restando ancora l’attività editoriale nella fase preparatoria, Corticelli e Morandi decidono di costituire una società in «forma d’accomandita in luogo di quella anonima» (Morandi 1969, 471) per essere meno colpiti fiscalmente e per rendere più agevole l’amministrazione. Ernandez accetta ora di essere il rappresentante editoriale per la Sicilia con le incombenze conseguenti. Successivamente il suo contributo si trasforma in cospicue rimesse economiche (Morandi 1969, 474).
In precedenza, Morandi aveva calcolato che la spina dorsale dell’attività da intraprendere non poteva essere una collana di classici dell’economia, come gli sarebbe piaciuto. Invece una collana di opere storiche «sotto specie standard» viene ritenuta possibile. I conteggi da lui effettuati sono precisi e puntigliosi:
Volumi di 300 pagine al prezzo di lire 10.50 – aveva scritto all’amico Ernandez il 22 maggio 1932 –, si tratterebbe di tradurre molte opere recenti. Così ho portato nel preventivo a 2000 l[ire] i diritti d’autore e di traduzione. L’iniziativa su queste basi risulterebbe viabile, già con una produzione annua di 10 vol[umi], potendo collocare almeno 1.500 copie per vol[ume] come media. Bisognerebbe naturalmente pubblicare opere di generale interesse. Gli scopi culturali non muterebbero pur venendo ristretti a questo campo. Si tratterebbe di pubblicare le opere più serie, non scolastiche, che possono promuovere un progresso nella cultura storica (politica-sociale-economica) (Morandi 1969, 464).
Diventato il 1° gennaio 1933 socio di fatto della Corticelli con partecipazione agli utili e assunta in particolare la responsabilità di due nuove collane, la «Storica» e le «Inchieste», in fase di pubblicazione del primo volume Morandi esclude la rilegatura, che avrebbe aumentato il prezzo di 4 o 5 lire: i volumi sarebbero usciti in brochure con una copertina azzurra (fu poi in realtà color mattone) e sovraccoperta réclame.
Rallegrandosi l’anno dopo per le vendite effettuate in Sicilia, Morandi precisa a Ernandez che «i risultati, per quanto buoni, sono limitati e insufficienti ad alimentare l’azienda». Le copie vendute di ogni opera ammontano a 700-800, «quel tanto che può coprire le spese vive di allestimento. Il margine necessario a coprire le spese generali – che non sono poche – lo dobbiamo cercare altrove». Dall’anno successivo i volumi editi porteranno «solo» guadagno «ma […] noi dobbiamo puntare su numeri di gettito più pronto per sostenerci» (Morandi 1969, 475). L’handicap era un insufficiente investimento di capitale iniziale. Per ovviare a tale mancanza, Morandi propone l’apertura di una libreria a Milano, oppure un giornale di informazioni bibliografiche, proposte impossibili da realizzare anche per la grave situazione economica generale del paese che crea difficoltà anche alla normale conduzione della casa editrice, riducendo il volume delle vendite.
«Storica», la collana di Morandi
La collana «Storica» vuole «soddisfare con modernità di criteri alle esigenze del più recente orientamento della cultura, volgendosi verso gli studi di carattere storico […]. Per quanto informata a criteri rigorosamente scientifici, essa si propone di arrivare oltre la cerchia degli studiosi, al più vasto pubblico della persona colta», annuncia il «Giornale della Libreria» (1933, p. 99). La rubrica «Notizie» della «Nuova rivista storica» (1933, 544-545) augura alla coraggiosa iniziativa, che si annuncia sotto i migliori auspici, tutta la fortuna che merita. Assai lusinghiera la presentazione delle prime tre opere pubblicate stesa dal giovane storico Carlo Morandi (1904-1950; si tratta di pura omonimia) sulla «Rivista storica italiana»:
La pubblicazione […] in bella veste editoriale, segna l’inizio di una nuova collana storica con intenti di alta divulgazione. La collana, pur essendo costituita da volumi non collegati da un vincolo esteriore, vuole offrire un complesso organico di studi, e rispondere alle esigenze seriamente intese d’una cultura storica moderna. In tal senso si giustifica anche la versione di opere dal francese che, altrimenti, potrebbe apparire superflua [era convinzione corrente che le persone di cultura italiane leggessero le opere francesi in originale – n.d.a.]; gli ordinatori della collezione hanno di mira un piano logico che richiede ampia libertà di scelta. In questi primi volumi è manifesto un prevalente interesse storico-economico […] Ottime le versioni dovute a A. Maffi, A. Levi, M. Bonfantini. Soprattutto per il Mathiez l’opera del traduttore non era facile; ma il Bonfantini, letterato e critico dal gusto squisito, ha superato le difficoltà offrendo ai lettori una versione finissima sotto ogni aspetto, degna dell’originale («Rivista storica italiana» 1934, 511-512).
In quella sede, della collana di Morandi non si scriverà più, forse anche in seguito al passaggio della direzione della rivista a Gioacchino Volpe. Anche «i Problemi del lavoro», la rivista di Rinaldo Rigola, loda la serietà d’intenti e di propositi dell’iniziativa («i Problemi del lavoro» 1933, 18).
Il primo titolo della collana è la Storia economica dell’Europa occidentale (1760-1933) di ArthurBirnie (1900-1962), che era stato pubblicato a Londra nel 1930 presso Methuen col titolo An Economic History of Europe, 1760-1930. La traduzione viene eseguita sulla seconda edizione inglese, apparsa nel 1931, tenendo conto di alcune variazioni che servivano ad aggiornare l’opera, apportate dall’autore nel manoscritto.
La Nota dell’editore che accompagna il libro di Birnie, anonima ma certamente di mano di Morandi come tutti gli analoghi paratesti della collana, precisa:
Noi abbiamo ritenuto necessario apportare al titolo di quest’opera, col consenso dell’autore, una limitazione che non appare nell’originale come neanche nella traduzione francese, dove suona semplicemente “Storia economica dell’Europa” [ed è giustificato che] si restringa [la trattazione] quasi esclusivamente ai tre paesi economicamente più progrediti dell’Occidente: l’Inghilterra, la Francia e la Germania. Avverte l’autore che suo scopo non fu di fare un’esposizione cronologica completa dei progressi economici delle varie nazioni, ma piuttosto di recar in luce i tratti caratteristici dell’evoluzione economica della società europea nel suo insieme.
«Se si trattasse – aggiungeva la Nota – di una storia politica l’assenza dell’Italia dal panorama sarebbe un assurdo, ma trattandosi di una storia economica si deve ammettere che lo sviluppo economico del nostro paese fu tardo e assai povero di elementi originali». E concludeva:
L’editore italiano può presentare un libro come questo, benché non tratti in alcuna parte del nostro Paese, con la sicura coscienza di guadagnarsi merito non piccolo nel progresso della nostra cultura. Sarebbe certamente stato facile all’Autore compilare, a nostra richiesta, qualche paginetta sull’Italia, o a noi stessi di aggiungerne all’originale. Ma quale valore sarebbe stato da attribuire a tale superficiale integrazione, che avrebbe solo servito ad alterare l’equilibrio naturale dell’opera? Ben vorremmo piuttosto che, aperta questa via, ne venisse incitata la produzione di nuove opere d’ampia sintesi e di vasto interesse che riguardino l’Italia, o le riservino particolare considerazione (Morandi 1933a, V-VI).
Questa precisazione servì a ben poco. Nel 1935 «Bibliografia fascista» segnala non l’edizione italiana, ma la traduzione francese del 1934. Il recensore scrive sarcasticamente che benché nell’opera non si faccia alcun cenno al corporativismo e all’Italia ma venga ampiamente trattata l’egemonia socialista sul movimento operaio, essa aveva trovato nel nostro paese un editore e un traduttore. Non menziona però né date né nomi poiché, in questo modo, si sarebbe vanificata anche tutta la prima parte della recensione incentrata sulla inesattezza del titolo originale che, «peccato di presunzione», non indica la limitazione della trattazione alle sole Inghilterra, Francia e Germania («Bibliografia fascista» 1935, 41-43), appunto ciò che con la Nota dell’editore Morandi si era così preoccupato di giustificare. Completamente favorevole il giudizio di «i Problemi del lavoro»: secondo l’anonimo recensore erano state prospettate «con acutezza critica» tutte le innovazioni «che si sono prodotte nelle istituzioni economiche e sociali:
Dalla formazione del “salariato” (che nella dominazione del capitale sul lavoro rappresenta la servitù economica dell’uomo giuridicamente libero) sorge la questione moderna ed il Birnie, dopo aver accennato alle principali teorie degli economisti, degli utopisti e dei socialisti di ogni tendenza, descrive ampiamente le manifestazioni del movimento politico sindacale e cooperativo del proletariato inglese, francese e tedesco nella battaglia ingaggiata contro le irrompenti forze del capitalismo («i Problemi del lavoro» 1933, 18).
Il volume viene segnalato anche su «L’Italia che scrive» nel numero 6 del 1934 (p. 174).
Lo stesso Morandi aveva previsto, scrivendo a Ernandez nel maggio del 1932, che «La Révol.[ution] française del Mathiez […] rappresenterebbe, ad es., un’opera tipica» in ordine ai criteri ispiratori della collana (Morandi 1969, 464). La rivoluzione francese di Albert Mathiez (1874-1932), nella traduzione di Mario Bonfantini esce nel 1933. Un’Avvertenza premette che l’autore
ha tenuto a evitare in questo libro, che si rivolge a un pubblico non di specialisti, qualsiasi apparato d’erudizione; ciò non vuol dire ch’egli non si sia preoccupato di metterlo al corrente dei più recenti risultati scientifici […] esso riposa su una documentazione scrupolosa, talvolta persino inedita, interpretata con originalità di critica […] Ci siamo preoccupati anzitutto di mettere in luce il concatenarsi dei fatti, spiegandoli con la mentalità dell’epoca e col gioco degli interessi e delle forze attive senza trascurare il fattore individuo, tutte le volte che ci è riuscito di coglierne l’influenza. Il disegno da noi adottato non ci permetteva di dire tutto: siamo stati obbligati a fare una scelta tra gli avvenimenti; speriamo egualmente di non aver trascurato nulla di essenziale (Mathiez 1933, 5-6).
Albert Mathiez è stato uno dei più notevoli storici della rivoluzione francese, in particolare di Robespierre. Discepolo di Alphonse Aluard, professore all’Università di Besançon, di Digione e di Parigi, ha fondato nel 1907 la Societé des études Robespierristes e nel 1909 «Les Annales révolutionaires», diventati nel 1924 «Annales historiques de la Révolution française».
Unanimi sono le valutazioni positive sulla stampa. Ovviamente la solita «Bibliografia fascista», più che a «cogliere in fallo» l’autore, si diletta, in relazione al venir meno «nel cuore del popolo», dopo la decapitazione di Luigi XVI, del «prestigio mistico tradizionale» dei re, a prodursi in una lunga «sviolinata» sull’«uomo gigante» Benito Mussolini («Bibliografia fascista» 1934, 81).
Carlo Morandi giudica l’opera un’«indagine acuta e precisa sugli aspetti sociali della rivoluzione; [l’autore ha] colto nei contrasti e nell’urto politico il riflesso immediato di quei fatti economici (carovita, inflazione, trapassi di proprietà) che agirono profondamente su lo stato d’animo del ceto borghese» («Rivista storica italiana» 1934, 511).
A sua volta, nella stessa nota che presenta l’avvio della collana, sulla «Nuova rivista storica» si legge che:
Accade troppo spesso di sentire ripetere sulla Rivoluzione concetti e giudizi diffusi da una storiografia stereotipata, perciò riteniamo opportunissima l’iniziativa della casa Corticelli di dare maggiore diffusione anche in Italia ad un’opera fondamentale, la quale non si limita ad offrire una interpretazione nuova di fatti già noti, ma, in generale, lasciando parlare i fatti, mette in evidenza, senza assumere alcuna intonazione polemica, in qual misura essi fossero stati falsati o taciuti per scopi partigiani («Nuova rivista storica» 1933, 544-545).
Nel 1934 compare la Storia della Germania di Hermann Pinnow (1884-1973) che in Germania era stata pubblicata nel 1929 col titolo Deutsche Geschichte – Volk und Staat in Tausend Jahren a Lipsia e Berlino presso B.G. Teubner.
Nella Nota di introduzione, che come al solito compare anonima, Morandi spiega:
l’edizione originale dell’opera che presentiamo al lettore italiano, […] è da ritenere, in relazione alla sua mole limitata, uno dei più completi e vivi disegni storici della nazione tedesca dalle origini dell’Impero ai nostri giorni […] La presente versione è stata condotta su una nuova redazione appositamente curata per nostro incarico dall’Autore informandosi ai criteri direttivi della Collezione. Le notevoli varianti apportate al testo primitivo sono state dirette generalmente a snellirlo nei suoi sviluppi, ed a meglio adeguarlo all’interesse che ad un’opera del genere può portare il pubblico di un paese la cui storia si intreccia così intimamente, per lungo corso di tempo, con quella dello Stato germanico. Per questa edizione italiana, che sotto più di un aspetto si presenta come un’opera nuova, l’Autore ha anche atteso a recare la narrazione fino agli eventi più recenti» (Morandi 1934, III).
Nel primo fascicolo della «Nuova rivista storica» del 1935, quando il fascismo teneva ancora a distanza il nazismo, a pp. 110-111 una breve segnalazione siglata g.l. rileva che
la bella collezione “Storica” del Corticelli si è arricchita di un altro volume di gran pregio […] Sebbene nella edizione italiana sia stato continuato dall’A. fino all’avvento di Hitler al potere, non rivela in nessun punto la mentalità oggi dominante in Germania, ma è anzi ispirato da una grande larghezza di idee, si legge con vivissimo interesse e riesce come pochi altri ad offrire, in breve, un quadro completo e proficuo dello sviluppo della civiltà germanica dalle sue origini fino al crollo del 1918.
Ne «i Problemi del lavoro» l’opera di Pinnow viene definita precisa e sobria nei commenti: «Nella citazione dei fatti politici ed economici, nessun elemento è trascurato. Né è trascurata la evoluzione dell’arte e della letteratura e della poesia popolare. Pochi e vigorosi tocchi incidono nella mente del lettore le diverse fasi della vita privata, civile e religiosa della Germania nella sua evoluzione storica» («i Problemi del lavoro» 1934, 18).
Origini ed evoluzione del capitalismo moderno (1760-1933). Schizzo storico di Henri Sée (1864-1936), edizione accresciuta dall’autore, viene pubblicato alla fine di febbraio del 1933 (Morandi 1969, 471).La traduzione è eseguita sull’originale Les origines du capitalisme moderne (Esquisse historique) edito a Parigi nel 1926 presso Armand Colin e ristampato, con l’aggiornamento della parte bibliografica, nel 1930.
Il Sée, storico, economista, professore universitario, uno dei fondatori della Lega dei diritti dell’uomo e dirigente del partito radicalsocialista, oltre a curare per questa edizione italiana l’aggiornamento al 1933 della parte bibliografica, ha introdotte – informa una Nota dell’editore – alcune variazioni nel testo e l’ha considerevolmente accresciuto con una serie di aggiunte integrative.
Un’Avvertenza, apparentemente dello stesso Sée ma in realtà quasi certamente di Morandi, premette:
Non ci siamo proposti con questo nostro scritto di scrivere una storia generale del capitalismo né, tantomeno, di tentare un saggio sociologico. [Non si intende cioè rivaleggiare con Der moderne Kapitalismus del Sombart]. Il nostro intento è stato soltanto quello di riunire, in modo sintetico, un certo numero di dati storici, veramente sicuri e particolarmente elaborati in vista dell’interesse che possono avere per la sociologia e per l’economia politica. Si tratta insomma di un saggio di sintesi e di storia comparata, scritto senza alcun presupposto politico e sociale […] Il metodo che ci è parso più legittimo e più proficuo, nell’ordine di studi che ci siamo proposti è il metodo comparativo […] Ci siamo preoccupati di attenerci rigorosamente a fatti concreti [ma] non abbiamo potuto evitare ogni astrazione. Un altro inconveniente […] è che ci trova obbligati a lasciare nell’ombra fatti di altro ordine, politici, religiosi, intellettuali, ecc. […] Anche le personalità passano completamente in secondo piano (Morandi 1933b).
Si tratta di fatto di una dichiarazione di intenti riguardante pressoché tutta la collana, controcorrente rispetto alla priorità data per solito allora nella storiografia italiana alla storia delle idee.
Il volume viene giudicato da «Bibliografia fascista» modesto: «Naturalmente molte cose, anche di primo piano sono sfuggite; altre sono state esposte tenendo presenti interpretazioni scientifiche non sempre accettabili» («Bibliografia fascista» 1934, 402).
Al contrario «i Problemi del lavoro», pur ammettendo che il testo è certamente divulgativo, sostiene che esso «può essere di grande utilità» (questa era infatti l’intenzione dell’editore). Inoltre:
Nel dare poi un giudizio sulla società capitalistica, il nostro Autore riconosce il merito grandissimo che spetta a Carlo Marx, per aver additate le ripercussioni sociali dell’evoluzione capitalistica e per averne messo in luce l’aspetto più caratteristico, cioè la formazione del plusvalore e la distinzione delle classi sociali basata, non più sulle differenze giuridiche, ma sulle differenze economiche («i Problemi del lavoro» 1933, 18).
Penultimo volume della collana è la Storia moderna della Russia (1934), tratta dall’edizione del 1922 della Geschichte Russlands (1878-1918) di Alfred Hedenström (1869-1927). L’autore, uno storico e politico svedese, aveva trascorso la vita nell’impero russo e nei paesi baltici studiandone le condizioni economiche e politiche. Docente al politecnico di Riga, scriveva in tedesco.
Ancora G.L. sulla «Nuova rivista storica» (1934, 461) afferma che la Storia moderna della Russia «presenta in alcuni punti una netta superiorità sull’opera degli scrittori russi, specialmente dove parla dei movimenti di classe e dei capi rivoluzionari, che dovevano assumere, dopo il 1917, una posizione di così decisiva importanza», anche se per tal motivo«si può lamentare la forma troppo sommaria con cui sono esposte le vicende della politica estera». Per «L’Italia che scrive»(1934, 272) l’opera è «un libro di rapida e sicura informazione», narrato stringatamente, «niente affatto pesante».
L’ultimo volume della collana, nel 1935, è una Storia della civiltà spagnola, che entro pochi mesi doveva rivelarsi quanto mai tempestiva. Questa edizione italiana era interamente rifatta e riveduta dall’autore e tradotta dall’originale da Antonio Radames Ferrarin. Nella prefazione lo stesso autore Rafael Altamira (1866-1951) afferma:
la presente traduzione (quasi si potrebbe meglio dire “edizione”) italiana differisce in qualche particolare dalla edizione completa spagnola del 1929 [Historia de la civilización española] e dalla traduzione inglese del 1930, fatta sul testo del 1929. La differenza consiste nell’aver ampliato l’esposizione fino al momento attuale, invece di arrestarla al 1914; ho poi aggiunto in vari punti materia nuova e ho ritoccato quasi tutti i capitoli per correggervi notizie e valutazioni che non mi sembrano più esatte, e per includervi fatti e riferimenti che non figurano nelle edizioni sopra menzionate […]. Pertanto esso è, nella maggior parte del suo contenuto, un libro nuovo. […] D’altra parte, mi sono mantenuto entro i limiti che ho sempre voluto assegnare a questo libro, in armonia col suo carattere di compendio o libro elementare (Altamira 1935, 5-6).
Altamira insegnava a Oviedo e a Madrid, ma allo scoppio della guerra civile si rifugiò in Olanda, dove era giudice permanente al tribunale internazionale dell’Aja, e nel 1940, in seguito all’invasione tedesca, si trasferì in Messico, dove era già stato per qualche anno all’inizio del secolo e dove fu docente alla Universidad Nacional. Fu per due volte candidato al Premio Nobel per la pace nel 1933 e nel 1951.
Nella collezione compaiono anche tre testi italiani, che sono invece di storia delle idee ma su cui è bene soffermarsi per comprendere il ruolo che Morandi intendeva darle complessivamente. Uno era un Giovanni Calvino (1934), in due tomi, di Renato Freschi, docente di storia moderna a Firenze, che intendeva evidentemente inserirsi nel dibattito che in quegli anni impegnava diversi intellettuali italiani, compreso Benedetto Croce, intorno al ruolo che il riformatore ginevrino aveva svolto nel costituirsi della civiltà moderna.
Per questo volume l’autore, uno studioso di storia della Chiesa oggi pressoché totalmente dimenticato, nel 1937 sarebbe stato premiato dalla Regia Accademia d’Italia, ma viene stroncato in Francia dallo storico Louis Villat sulla «Revue d’histoire de l’église de France» e in Italia in una recensione dell’esperto Manlio Mario Rossi, molto ampia, sulla «Nuova rivista storica» (1937, pp. 57-64): non originale nel pensiero, confusionario nell’argomentazione, insufficiente nella critica, difettoso nell’apparato critico, inesatto e primitivo nelle questioni generali riguardante l’argomento. Questa opinione non è condivisa da «L’Italia che scrive» (1936, n. 10, p. 246), che la giudica «un’opera di indiscutibile valore storico e critico», né da «Bibliografia fascista» (1935, VII, p. 632) che la considera «la prima opera italiana, vasta ed organica che – attraverso un attento e sistematico esame dell’imponente mole delle fonti storiche ed un felice vaglio critico di quanto si è pubblicato all’estero – tratti in modo esauriente tutti i complessi problemi di ordine storico-religioso che si riferiscono a questa grande figura».
Di Renato Freschi è anche L’azione politica di Gioberti, che compare, nel 1935, come secondo e ultimo titolo di una effimera «Serie critica» della stessa collana «Storica», di cui il primo era un’altra opera di autore italiano, Jean Bodin. Politica e diritto nel Rinascimento francese (1934) di Aldo Garosci. Il lavoro viene apprezzato da Edmondo Cione poiché in Italia mancava una monografia sul Bodin, anche se il recensore rileva i difetti letterari ,«che non sono solo stilistici ma investono la trama stessa del lavoro, il modo stesso col quale la materia è dominata nell’esposizione»; ma tali difetti «non riescono ad infirmare ed a attenuare il giudizio complessivamente favorevole» («Nuova rivista storica» 1934, 617).
Ma quell’opera è rilevante per la personalità dell’autore. Aldo Garosci (1907-2000) è uno dei primi seguaci del movimento antifascista di Giustizia e libertà – al quale aveva aderito per un certo tempo anche Morandi – e si trovava allora esule in Francia, dove era stato costretto a fuggire fin dal 1932 per sfuggire all’arresto e dove era uno dei principali esponenti di quel movimento di fuorusciti. In seguito partecipò per breve tempo nel 1936 alla difesa della Repubblica spagnola contro la sedizione franchista. Partecipò poi alla Resistenza aderendo al partito d’azione; dopo la Liberazione fu giornalista prolifico schierato su posizioni di “terza forza” e approdò a una cattedra universitaria di storia del Risorgimento.
Se al nome di Garosci si affiancano quelli di coloro che hanno svolto le traduzioni, il quadro della complessiva operazione politico-culturale tentata arditamente da Rodolfo Morandi con la collana «Storica» si delinea nettamente.
S’è vista l’importanza del libro di Mathiez. Il traduttore è Mario Bonfantini (1904-1978), nome ben noto ai francesisti, in quanto si tratta di uno dei massimi esperti italiani di letteratura francese dei decenni centrali del Novecento, autore, tra l’altro, della traduzione di Gargantua e Pantagruel di Rabelais e dei Guermantes di Proust per Einaudi. Quella del Mathiez, poi ripubblicata da Einaudi, è la sua unica traduzione non letteraria. Ma gli interessi letterari non gli impedivano di essere un attivo antifascista. Durante la Resistenza, nel giugno del 1944, catturato dai tedeschi, si buttò giù dal treno che lo portava in campo di concentramento in Germania e si rifugiò in Svizzera, donde in agosto raggiunse la repubblica partigiana dell’Ossola, dove fu membro della Giunta provvisoria di governo (Bonfantini 1959). Fu in seguito cattedratico di letteratura francese, prima a Napoli poi a Torino, e sceneggiatore di alcuni film di Mario Soldati, suo grande amico. Suo fratello Corrado (1909-1989) era appena stato condannato al confino e durante la Resistenza fu comandante delle Brigate Matteotti, organizzate dal partito socialista, veste nella quale ebbe, alla vigilia della Liberazione, un ruolo controverso nei rapporti con la repubblichetta mussoliniana (Bermani 1995). Fu poi anche deputato del partito socialdemocratico.
Anche Bruno Maffi (1909-2003), il traduttore del libro di Pinnow, come Morandi, era impegnato in quegli anni in Giustizia e libertà. Nel 1935 finì in carcere, dove conobbe i comunisti e da allora si impegnò per tutta il resto della vita in una rigorosa disciplina internazionalista, dando vita, con altri, nel 1943 al Partito comunista internazionalista, da cui si allontanò nel 1952 per dar vita a Il Programma comunista, di cui da allora in poi fu il principale esponente. Nella sua sterminata produzione di traduttore di saggistica spicca l’edizione filologicamente scrupolosa del Capitale di Marx curata per la Utet insieme con Aurelio Macchioro nel dopoguerra (ma i loro nomi compaiono solo nelle riedizioni molto più tarde). Ha lasciato incompiuta una Storia della sinistra comunista (Maffi s.d.).
Il padre di Bruno Maffi, Fabio (1863-1955), era il fratello maggiore di Fabrizio Maffi (1868-1955), noto nei primi decenni del secolo scorso come “il medico dei poveri”, il quale fu un campione della lotta alla tubercolosi, prima in Svizzera, dove fu esule dopo i sanguinosi fatti del 1898 a Milano, poi in Italia, e deputato socialista dal 1913 al 1925 (Detti 1987), quindi senatore di diritto nella prima legislatura repubblicana. Non è un caso quindi se Morandi scelse in Fabio Maffi un altro convinto antifascista per la traduzione del libro di Sée.
Delle idee politiche del traduttore del libro di Altamira non si può affermare nulla. Mentre però i più noti traduttori dallo spagnolo negli anni trenta, come Mario Puccini e Gilberto Beccari, erano fascisti dichiarati (Petrillo 2020), Antonio Radames Ferrarin (n. 1901), professionista molto prolifico, era molto più defilato e figura fra i traduttori scelti con attenzione da Elio Vittorini per l’antologia di Teatro spagnolo da lui personalmente curata per Bompiani, come omaggio alla Repubblica da poco sconfitta, nel 1941, quando era già impegnato nell’attività clandestina del partito comunista.
Non sappiamo pressoché nulla né della traduttrice del libro di Birnie, Adele Levi, né di Maria Ettlinger Fano, che tradusse quello di Hedenström, tranne che entrambe furono traduttrici molto prolifiche. Della prima, escluso che fosse la omonima sorella minore di Carlo Levi, come ipotizzato in un primo tempo, conosciamo i numerosi titoli di traduzioni dal francese e dall’inglese, quasi esclusivamente di narrativa per ragazzi, in particolare di Kipling e di London (questa è la sua unica traduzione di saggistica), soprattutto per lo stesso Corticelli.
Quanto a Maria Ettlinger Fano (1871-1966), attivissima fin dagli anni dieci del Novecento, traduceva, oltre che da tedesco inglese e russo, da diverse lingue nord europee e collaborava spesso con Corticelli, per il quale tradusse anche lei Kipling. Certo, prima della svolta razzista del regime, nel 1938, non mancarono gli ebrei aderenti al fascismo. Ma erano rari. E’ improbabile che Adele Levi ed Ettlinger Fano fossero tra costoro. D’altronde, Morandi si era dichiaratamente proposto di avere «traduzioni ineccepibili, curate da una cerchia di amici» (Morandi 1969, 467).
Fine della collaborazione con Corticelli
Alla fine del 1935 si concluse il rapporto di Morandi con la Corticelli (Morandi 1969, 483), in quanto la difficile situazione del mercato librario lo avrebbe costretto a iniettare nuovo capitale, di cui non disponeva (Gigli Marchetti 1986, 122). E anche la collana «Storica» cessò. Ma non cessò l’influenza culturale del giovane socialista sulla casa editrice. Vi restò infatti con suoi suggerimenti, che portarono fra l’altro alla pubblicazione di L’epopea dell’America (1937), traduzione, condotta da Tito Diambra, di The Epic of America (1931) del grande divulgatore James T. Adams (1878-1949), che in quel libro coniò la fortunata formula dell’American dream (Morandi 1959, 49). E’ probabile che sia stato Morandi anche a suggerire a Corticelli altre opere storiche come il Napoleone (1938) di Evgenij Tarle, tradotto «dall’originale russo da Fidia Sassano e Giuseppe Taboga» (a quanto recita il frontespizio), e l’Augusto (1939) del poligrafo e politico inglese John Buchan (1875-1940), nella traduzione di Bruno Maffi.
Morandi era ormai tutto assorbito dall’attività cospirativa, che due anni dopo lo fece finire nelle mani della polizia fascista (Agosti 1971, 211-295; Luzzatto 1982, 83-118; Venanzi, 1982, 15-37). Ma non per questo cessava la sua intensa attività intellettuale e di ricerca. Iniziò allora a raccogliere materiale statistico e documentario sull’agricoltura italiana, probabilmente nell’intento di far seguire alla Storia della grande industria una storia dell’agricoltura, che le drammatiche vicende successive non gli permisero mai di scrivere.
Bibliografia
Agosti 1971: Aldo Agosti, Rodolfo Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Laterza, Bari, 1971
Altamira 1935: Rafael Altamira, Storia della civiltà spagnola, trad. di Antonio Radames Ferrarin, 1935 (ed. or. Historia de la civilización española, 1900), pp. 5-6
Bermani 1995: Cesare Bermani, Il “rosso libero”. Corrado Bonfantini organizzatore delle brigate “Matteotti”, Milano, Fondazione Anna Kuliscioff
Bonfantini 1959: Mario Bonfantini, Un salto nel buio, Milano, Feltrinelli, 1959
Carotti 2001: Carlo Carotti, L’Ufficio Moderno e il GAR. Una presenza democratico-socialista nella Milano degli anni trenta, in Storia in Lombardia, a.21, n. 2, 2001, pp. 67-91 (ora in Carlo Carotti, Saggi, sguardi e testimonianze sui socialisti a Milano dal 1891 al 2000, a cura di Carlo Carotti, Milano, Lampi di Stampa, pp. 157-191
– 2014a: Carlo Carotti, Roberto Tremelloni: l’attività giornalistica ed editoriale negli anni Venti e Trenta del Novecento in Saggi, sguardi e testimonianze sui socialisti a Milano dal 1891 al 2000, Lampi di Stampa, Milano, pp 137-145
– 2014b: Carlo Carotti, L’attività “alla luce del sole” di Rodolfo Morandi dalla fine degli anni Venti sino alla collaborazione con Alberto Corticelli, in Saggi, sguardi e testimonianze sui socialisti a Milano dal 1891 al 2000, Lampi di Stampa, Milano, pp 147-155
Detti 1987: Tommaso Detti, Fabrizio Maffi. Vita di un medico socialista, Milano, FrancoAngeli
Gigli Marchetti 1986: Ada Gigli Marchetti, L’industria grafica e l’editoria nella Lombardia degli anni Trenta, in «Storia in Lombardia» 1986, n. 1
Luzzatto 1982: Lucio Luzzatto, Rodolfo Morandi (1934-1937). Il Centro interno socialista e l’unità d’azione di classe, in Rodolfo Morandi nel suo tempo, a cura di Francesco De Martino, Firenze, La Nuova Italia, pp. 83-118
Maffi s.d.: Maffi Bruno, in «n+1. Rivista del movimento che abolisce lo stato di cose presente» (https://www.quinterna.org/biografie/maffi_bruno.htm, ultima visita 5 marzo 2021)
Mathiez 1933: Albert Mathiez, La rivoluzione francese, t. I, La fine della monarchia , Corticelli, Milano
Merli 1961: Cronologia, in Rodolfo Morandi, La democrazia del socialismo, a cura di Stefano Merli, Einaudi, pp. VII-LXXXIV
Morandi 1931: Rodolfo Morandi, Storia della grande industria in Italia, Laterza, Bari
– 1933a: [Rodolfo Morandi], Nota dell’editore, in Arturo Birnie, Storia economica dell’Europa occidentale (1760-1933), Milano, Corticelli, pp. V-VI
– 1933b: [Rodolfo Morandi], Avvertenza, in Henri Sée, Origini ed evoluzione del capitalismo moderno (1760-1933), Corticelli, Milano, pp. V-VIII
– 1934: [Rodolfo Morandi], Avvertenza, in Hermann Pinnow, Storia della Germania, Milano, Corticelli
– 1959: Rodolfo Morandi, Lettere al fratello (1937-1943), Torino, Einaudi
– 1967: Rodolfo Morandi, Lettere a Oliviero Zuccarini, Piero Gobetti, Giovanni Laterza (1923-1933), a cura di Aldo Agosti, in «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», Torino, vol. I
– 1969: Rodolfo Morandi, Lettere a Pietro Ernandez, a cura di Aldo Agosti, in «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», Torino, vol. III, 1969, pp. 402-495
Musso 2017: Stefano Musso, Santi, Fernando, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XC, Roma, Istituto per l’Enciclopedia italiana (https://www.treccani.it/enciclopedia/fernando-santi_%28Dizionario-Biografico%29/)
Petrillo 2020: Gianfranco Petrillo, Che ti dice la patria? / 4 (e fine), in «tradurre. pratiche teorie strumenti», n. 19 (autunno 2020) (https://rivistatradurre.it/che-ti-dice-la-patria-4-e-fine/)
Pipitone 2017: Daniele Pipitone, Garosci, Aldo, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto per l’Enciclopedia italiana (https://www.treccani.it/enciclopedia/aldo-garosci_%28Dizionario-Biografico%29/)
Venanzi 1982, 15-37: Mario Venanzi, Rodolfo Morandi e gli anni del carcere, in Rodolfo Morandi nel suo tempo, a cura di Francesco De Martino, Firenze, La Nuova Italia, pp. 15-37