BIANCA UGO DALLA TRADUZIONE ALL’ARTE DIVINATORIA
di Patrizia Caccia
Fra i tanti traduttori che, fra gli anni trenta e settanta del secolo scorso, hanno accompagnato l’ondata di importazioni di letteratura e cultura straniera in Italia, un posto particolare va riconosciuto a Bianca Ugo che, fin dal famigerato “decennio delle traduzioni”, ha prodotto apprezzabili versioni dal tedesco e dall’inglese.
Bianca (all’anagrafe Bianca Enrica Luisa Maria Teresa) Ugo nacque a Genova l’11 febbraio 1910 da Nice Castellani – un’appassionata apicultrice morta il 21 giugno 1974 – e da Ernesto, agente di cambio. Oltre a Bianca, gli Ugo ebbero Franco e Bruna, storica dell’arte.
Ugo studiò nel prestigioso collegio svizzero delle suore della Santa Croce a Menzingen, nel Cantone Zug, frequentato da ragazze provenienti da tutta Europa. Lì ebbe l’opportunità di imparare il tedesco e altre lingue straniere. A diciotto anni, terminato il collegio che, come scrisse all’amica Alba de Céspedes l’8 luglio 1979 (FAdC, Busta 30, fasc. 4), per lei fu un incubo, iniziò a lavorare per poter sopravvivere. Tra le diverse occupazioni che svolse vi fu anche un impiego alla Montecatini, mi ha riferito in una intervista concessami nell’estate del 2020 Anna Maria Terrè, la figlia avuta da Ugo come frutto di un legame giovanile.
L’esordio di Bianca sulla carta stampata di respiro nazionale forse avvenne il 15 aprile 1933 quando firmò, come titolare, la sezione di recensioni librarie di «Eva», un settimanale femminile avviato proprio in quella data da Ottavia Vitagliano, editrice e direttrice, con l’appoggio redazionale di Rosa Menni Giolli e di Rina Simonetta (Caccia, Mingardo 2020, 193-213). La collaborazione alla rubrica, che non aveva periodicità regolare, proseguì fino al 1935. Il percorso professionale di Bianca, però, si indirizzò principalmente verso le traduzioni. E così il 10 ottobre 1933 uscì Inchiesta sulla gioventù tedesca, versione italiana di Die Jugend in Sowjet-Russland di Klaus Mehnert (1906-1984), saggio con cui la casa editrice di Alberto Corticelli varò la collana «Inchieste» diretta dal socio Rodolfo Morandi, molto attento alla qualità delle traduzioni proposte. Il lavoro, allora giudicato lodevole da molti, è considerato uno dei testi che misero in evidenza la Corticelli nel mondo degli intellettuali italiani, soprattutto antifascisti (Carotti 2000 e 2021).
Nonostante questo felice inizio, il nome di Ugo stentò a comparire sui frontespizi. Non è escluso, comunque, che abbia operato in modo anonimo, sebbene proprio in quel periodo il ruolo del traduttore andasse assumendo un peso sempre maggiore. Nel 1936 tradusse dal tedesco Der junge Goedeschal di Hans Fallada (1893-1947), che la casa editrice Elettra pubblicò con il titolo Il giovane Goedeschal. Tra il 1939 e il 1940 Bianca firmò per la Corbaccio di Enrico dall’Oglio la prima versione dall’inglese di Vanessa di Hugh Walpole (1884-1941), riproposta poi nel 1946; seguì, nel 1940, la traduzione dall’ungherese, condotta insieme a Giorgio Savietti, di Egyedül vagyunk (Un popolo solo) di Miklós Surány (1882-1936) e dall’inglese di East of the Giants, in italiano La bianca dama della California, dell’americano George Rippey Stewart (1895-1980), pubblicato nel 1940 e ristampato fino al 1964. Questi romanzi comparvero tutti nella collana «Scrittori di tutto il mondo».
Nel 1941 Ugo si occupò per Mondadori della traduzione dal tedesco di Haus des Lebens (La casa della vita) di Käthe Lambert, pseudonimo di Käthe Saile (1899-1955). L’opera, stampata con altre novelle, ebbe il viatico della responsabile della sezione di letteratura tedesca della casa editrice di Arnoldo, Lavinia Mazzucchetti, che nella sua scheda di lettura non perse l’occasione per una frecciata antifascista: «A me parrebbe un’ottima Palma – cioè la collana «I romanzi della palma», dove in effetti il romanzo venne collocato – [anche se il] libro è… demografico fino all’eccesso poiché si svolge in una clinica privata di maternità […] Non fanno che nascere bambini» (Giudizi Lambert). Per Ugo questo fu per molti lustri l’unico contatto con il “grande Arnoldo”.
Nel 1934, con L’eminenza grigia. La vita di Fritz von Holstein, versione di Die graue Eminenz di Joachim von Kürenberg (1892-1954), inserito nella collana «Primi piani», per Bianca era però iniziata una fondamentale collaborazione professionale con Valentino Bompiani che si andò rafforzando verso la fine del decennio. Per la Bompiani, nata nel 1929, erano tempi di intenso impegno per la costruzione di un percorso volto alla ricerca di nuove firme. Tra queste figurava quella del professor Ugo Dèttore (1905-1992), che iniziò a contribuirvi stabilmente nel 1931 con la pubblicazione del romanzo L’aureola grigia. Il rapporto tra lui e Bompiani si consolidò quando, nella seconda metà degli anni trenta, venne nominato direttore di redazione del nascente Dizionario letterario delle opere e dei personaggi (Crovi 1998) che fu nel dopoguerra uno strumento imprescindibile di conoscenza della letteratura universale.
Fu plausibilmente in tale sede che Ugo e Dèttore si conobbero. La coppia si sposò a Castiglione Olona il 4 giugno 1938. I testimoni furono Bompiani e il giornalista Emilio Radius; tra i partecipanti alla cerimonia figuravano gli scrittori Giuseppe Lanza e Cesare Zavattini (Archivio Parrocchia di San Vittore Olona). Nel 1958 Zavattini, anch’egli membro del comitato editoriale del Dizionario, in Straparole menzionerà Ugo come «una cara amica dei dieci annissimi milanesi» (Zavattini 1974, 707).
Bianca, estroversa persino nell’abbigliamento – ricorda Terré – al contrario di Dèttore misurato nei modi, non adottò mai – tranne ovviamente nei documenti ufficiali per i quali ne vigeva l’obbligo – il cognome del marito né lo aggiunse al suo, forse per orgoglio, forse per non disorientare con l’ambigua omonimia (nome di lui, cognome di lei) chi la leggeva.
I due furono una coppia anche nel lavoro. Lei coadiuvò il compagno per diverso tempo e insieme condivisero la passione per la lingua e la letteratura tedesche. «Mi dice Bianca – scrive Dèttore a Bompiani nella primavera del 1940 – che ha trovato parecchio materiale per le illustrazioni. In questi due o tre giorni che rimarrà qui la istruirò anche meglio» (Bompiani 113aceb). E la ricerca di materiale iconografico divenne per Bianca un’ulteriore attività.
Nel 1939 da Firenze approdava a Milano Elio Vittorini per contribuire in modo più organico alla Bompiani per la quale divenne, oltre che traduttore e specialista di letteratura americana, l’artefice di tutte le collane letterarie di maggior prestigio (Braida 2003,10). Al conseguimento di tale reputazione contribuì l’intenso impegno corale tra scrittori e intellettuali che gravitavano intorno all’editrice, come nel caso di Dèttore, il «professor Dèttore» come lo chiameranno sempre. Una delle iniziative del periodo fu la collana «Pantheon», che proponeva antologie volte a presentare a un largo pubblico un panorama di ciascuna grande letteratura occidentale. Famosa è divenuta per le sue vicissitudini Americana, curata dallo stesso Vittorini, uscita nel 1941 in prima edizione e, sottoposta a censura, nel 1942 in seconda. In «Pantheon» uscì altresì Teatro spagnolo. Raccolta di drammi e commedie dalle origini ai nostri giorni a cura dello stesso Vittorini. Bianca si occupò della traduzione di Un drama nuevo scritto nel 1867 da Manuel Tamayo y Baus (1829-1898). Il testo fu molto criticato da Silvio D’Amico che lo liquidò come «teatraccio del peggiore Ottocento», al contrario di Vittorini che lo aveva scelto (Ferrando 2019, 120). Ugo condivise l’avventura di Teatro spagnolo con Corrado Alvaro, Carlo Bo, Antonio Radames Ferrarin, Cesare Giardini, Eugenio Montale e Sergio Solmi. Collaborò anche a Germanica Raccolta di narratori dalle origini ai nostri giorni, uscita l’anno dopo a cura di Leone Traverso, per la quale tradusse Die Geschichte von der abgehauenen Hand (Storia della mano tagliata) di Wilhelm Hauff (1802-1827), Die Zauberei im Herbste (Sortilegio d’autunno) di Joseph von Eichendorff (1788-1857) e il quarto e quinto capitolo del quarto libro di Münchhausen nella versione di Karl Lebrecht Immermann (1796-1840), che comparvero col titolo unitario Nozze e destino d’amore.
Come lascia intendere Vittorini in una lettera del 29 marzo 1941 a Traverso, a Ugo venne proposto di rendere nella nostra lingua anche l’ultimo capitolo di Grete Minde di Theodor Fontane (1819-1898), a completamento di un incarico affidato in precedenza a un altro collaboratore. Nella raccolta, però, tale titolo non appare, così come non vi è traccia neppure della traduzione, già in bozza, di uno scritto non identificato di Annette von Droste-Hülshoff (1797-1848) che, sempre secondo lo stesso messaggio, le sarebbe stata affidata (Vittorini 1985, 124 e 162). Tra coloro che, sempre sotto l’egida di Vittorini, contribuirono alla realizzazione di Germanica vi furono Emma Sola, Giansiro Ferrata, Alberto Spaini, Giaime Pintor e Tommaso Landolfi.
Tra lo scrittore siciliano e Ugo si era instaurato da tempo un legame di stima e affetto.
Sono a Milano – le annuncia Vittorini il 7 agosto 1941– e ho subito trovato la tua lettera, tanto simpatica che mi è parso, a leggerla, di sentirti parlare […] Spero di rifarmi [del mancato riposo] venendo a Varigotti [in Liguria, dove i Dèttore trascorrevano le vacanze.] Verrò [con] Bubi [ovvero Demetrio, il figlio maggiore.] E se non mi tratterrò per tutti i quindici giorni che conto di restar fuori, mi fermerò almeno un giorno o due. Di lavoro non ho voglia di scriverne, tuttavia ti esorto a finire presto quello che hai in corso per Germanica e portare avanti il più possibile qualcos’altro (Vittorini 1985, 151).
La progettata visita rischiò di non andare in porto per un improvviso malessere di Demetrio. «Questo significa che non posso portarlo da te, tra le tue bambine – le comunica qualche giorno dopo la prima lettera –, e che io stesso non posso venire a Varigotti.» (Vittorini 1985,152). Alla fine però Vittorini riuscì comunque a trascorrere qualche giorno dai Dèttore, cosa che gli fece dire «sono stati a Varigotti, i giorni per me più belli di tutta quest’estate, anzi i soli belli» (Vittorini 1985, 153), ricordati, seppur non nitidamente, a distanza di decenni, persino da Demetrio.
Bianca instaurò un rapporto di reciproco apprezzamento anche con l’editore. Il 4 novembre 1941 gli scrive, dandogli del lei e non del voi, a differenza di quanto imponeva il regime:
Caro Bompiani due righe […] per ringraziarla dell’amicizia e della stima che mi ha dimostrato ultimamente. [Vorrei esporle di persona] che cosa potrei fare per esserle veramente utile. Di una cosa intanto la posso assicurare, lavoro per lei sempre con entusiasmo e con passione (Bompiani 113aceb).
Nonostante le ottime relazioni con Bompiani, e i ruoli autorevoli ricoperti dalla coppia all’interno dell’editrice, Dèttore considerò limitante l’esperienza lavorativa fin lì maturata. Dopo un non facile distacco, che comunque contemplò una sua partecipazione esterna all’impresa di corso di Porta Romana, il 16 aprile 1942 il professore, Ugo e altri sette soci fondarono la Società per azioni editrice Bianchi-Giovini (Cam. Comm. Milano registro delle ditte 301693), così chiamata in omaggio al nonno di Dèttore, Angelo Bianchi, più noto come Aurelio Bianchi-Giovini, giornalista e politico dell’Ottocento.
La nuova casa edittrice offrì ai lettori una produzione di livello piuttosto elevato, organizzata per lo più in collane (Caccia 2021). A inaugurare la produzione fu la serie «Europa. Storia e documenti dei movimenti letterari europei», che venne avviata con Dolce stil novo (1942), curato dal francesista Carlo Cordié. Seguì «Conoscenza», inaugurata con Le Lettere (1942), primo volume dei quattro previsti. A firmare questa raccolta di saggi dedicati alla letteratura mondiale furono, tra gli altri, lo stesso Dèttore, Mario Bonfantini, Carlo Boselli, Arturo Brambilla, Ignazio Cazzaniga, Carla Cremonesi, Ada Prospero Gobetti Marchesini e Marta Rasupe.
Nel 1943 Ugo siglò l’Enciclopedia della donna, un progetto concepito nel 1938 quando Bompiani aveva proposto al professore di valutare la qualità di un’enciclopedia tedesca, probabilmente Das Lexikon der Hausfrau. Ein praktischer Ratgeber für Heim und Familie (cioè «Il lessico della massaia. Consigli pratici per la casa e la famiglia») di Barbara von Treskow (1895-1972) e Hugo Johannes Julius Ulrich Weyl (1904-1989) edita da Ullstein nel 1932. Sebbene Dèttore non la ritenesse adatta al nostro mercato, ne aveva valutato positivamente l’impianto generale.
Su questa base – aveva scritto a Bompiani il 12 agosto 1938 – e in occasione della richiesta fatta a mia moglie di un libro per la donna di casa, mia moglie ed io avevamo pensato il progetto di una enciclopedia della donna di circa 500 pagg. […] in cui fosse compreso tutto ciò che deve sapere, come cultura fondamentale, una donna italiana. I gruppi di voci principali che dovrebbero essere considerati sono: diritto […], impieghi […], istituzioni del regime […], medicina […], morale […], cultura […], educazione […], gastronomia […], lavori femminili […], economia domestica […] Un libro simile si differenzierebbe dai comuni libri per la casa prima di tutto perché unirebbe, alle solite voci di nozioni pratiche per la casa, le voci di ordine culturale, morale e giuridico; secondariamente perché invece di raccogliere il maggior numero di ricette possibili conterrebbe notizie fondamentali e tali da costituire le basi di una educazione femminile, sia dal punto di vista pratico che da quello spirituale. Mia moglie si è già accinta a questa opera, raccogliendo uno schedario di circa 4.000 voci divise per gruppi (Bompiani 113aceb).
Bompiani non aveva ritenuto opportuno impegnarsi con una pubblicazione di quel tipo. La varò quindi la Bianchi-Giovini, ricevendone un positivo riscontro di vendite, considerate le diverse edizioni che si susseguirono fino al 1955 e che, via via, si accrebbero di nuovi lemmi. L’Enciclopedia si avvalse della consulenza di Renato Curletto che si occupò delle voci di medicina, di Elena Valla Ceva per la cultura varia, e di Licinia Conforti per il giardinaggio; mentre contribuirono alla parte iconografica la disegnatrice Brunetta (Bruna Moretti), Renato Mercatali e Salvatore Fiume. Quest’ultimo fu uno degli illustratori fissi della Bianchi-Giovini. Terrè lo rammenta come ospite abituale di casa, divertente e sempre pronto a raccontare favole a lei e alla sorella Maria Paola, nata dal matrimonio di Ugo con Dèttore e futura traduttrice.
Ancora nel 1943 venne presentata la collana «Ulisse», a cura del neo-editore e di Giancarlo Vigorelli. La collana verteva su «meditazioni, revisioni e studi di orientamento del pensiero di fronte agli interrogativi etici, religiosi e sociali di ogni tempo». A rispondere ai quesiti su questi grandi temi furono Angelo Miotto (Dell’amore), Dino Del Bo (Della solidarietà), Ugo Dèttore (Della religiosità), Mario Apollonio (Della dignità umana) ed Enrico Emanuelli (Dei sentimenti).
Dopo «Ulisse» fu la volta di «Aretusa», una collezione di narrativa classica italiana e straniera che intendeva riproporre in edizione integrale testi dimenticati. Il 3 luglio 1943 vennero quindi pubblicati i Quaderni postumi del Circolo Pickwick «di Carlo Dickens», traduzione di The Posthumous Papers of the Pickwick Club condotta dallo stesso Dèttore in collaborazione, per la seconda edizione uscita nello stesso anno, con Lucia Krasnik. Rilanciata più volte, l’opera di Dickens vendette complessivamente 3.000 copie (Milano com’è 1962, 507).
La guerra, cominciata per l’Italia nel 1940, aveva reso tutto più precario, compreso il mestiere dell’editore. La sede della Bianchi-Giovini, situata nel centro di Milano, in via dell’Annunciata 34, venne ridotta in macerie dai bombardamenti del 15 e 16 agosto 1943. Terrè ricorda gli uffici come luminosi, con grandi vetrate e sedie di paglia bianca disegnate, come il resto dell’arredamento, dagli amici architetti e soci dell’impresa, Gian Luigi Banfi e Lodovico Barbiano di Belgiojoso, che, nel 1932, insieme a Enrico Peressuti ed Ernesto Nathan Rogers, avevano fondato lo studio BBPR ubicato nella stessa via. A causa della distruzione l’attività fu perciò trasferita in via Borgonuovo 24, abitazione della coppia.
Il primo volume ad andare in libreria all’indomani delle incursioni fu Gli sposi promessi a cura di Giancarlo Vigorelli con illustrazioni di Gabriele Mucchi, nella collana «Aretusa», seguito da Viva Gioconda! di Salvatore Fiume che inaugurò la serie «Tartuca», dedicata ai romanzi italiani.
A limitare fortemente la produzione non furono solo le bombe. Il Satiricon di Petronio Arbitro – tradotto e curato dal fondatore della casa editrice e inserito in «Aretusa»– uscì senza autorizzazione il 15 novembre 1943, nel gennaio successivo venne perciò sequestrato. Il provvedimento era motivato –chiariva il 27 gennaio 1944 il Ministero della cultura popolare, il Minculpop della neonata Repubblica sociale mussoliniana – da considerazioni
che implicano tutto il volume nel suo complesso e lo spirito e la forma con cui è presentato. Questo Ministero è infatti del parere che le illustrazioni e i molti brani di raccordo, taluni di considerevole ampiezza, dei frammenti petroniani – con cui sostanzialmente si adotta lo stesso criterio riferito nella prefazione all’edizione francese del [François] Nodot «nel permettere una lettura filata, di presentare un romanzo completo, o quasi, a voler seguire con diletto una vicenda» – sono elementi tali da escludere il carattere erudito del volume in parola e farne invece un libro di generale lettura. Del resto non si ritiene opportuna una nuova traduzione del Satiricon che esigenze di studio non giustificano (ASMI, Busta 283, fasc. Bianchi-Giovini).
I Dèttore furono dunque costretti a mandare al macero l’intero lotto dell’opera di Petronio Arbitro, che venne ripresentata in libreria solo dopo la Liberazione.
La situazione del paese fu aggravata ulteriormente da ciò che accadde in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943 con il quale l’Italia si era defilata dalla guerra accanto alla Germania hitleriana contro la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. L’inizio del successivo mese di marzo fu caratterizzato dal grande sciopero generale a cui il regime e gli occupanti tedeschi risposero con un’ondata di arresti. Non ne furono risparmiati neppure i Dèttore, che vennero incarcerati – lei matricola 1610, lui 1611 (ASMI Libro matricola) – nel braccio tedesco di San Vittore gestito direttamente dalle SS (Borgomaneri 1997). I motivi ufficiali del fermo non si conoscono, così come non si conosce la data in cui avvenne; certamente fu a marzo, si può azzardare dopo l’11. E’ nota però la data del rilascio: il 31 marzo.
Bianca descrisse la detenzione nel racconto Donne in prigione, pubblicato nel numero 16 del dicembre 1945 della rivista romana «Mercurio», diretta da Alba de Céspedes.
Come ci son capitata non lo so. Cioè lo so benissimo come ci son capitata. L’avevo detto anche con la zia Ersilia: «Vedrai che uno di questi giorni ci ficcano dentro: la nostra casa è diventata un dormitorio pubblico». E così una mattina, ancora con gli occhi offuscati dal sonno e con la bocca dello stomaco chiusa per l’angoscia, mi son trovata in una cella […] Appena entrata avevo chiesto di Elena e Elena era corsa sorridente e curiosa, tuttavia con il cuore in ansia: questo «nuovo arrivo» poteva portare notizie importanti, poteva significare una direzione nuova nelle piste che la polizia stava battendo senza tregua, con tante conseguenze gravi, con tanti fatti nuovi, poteva significare in una parola «morte» come poi ha significato per taluno. […] E così è cominciato quel periodo, breve invero, che per me è stato il più bello della mia vita. Nei sogni il ricordo del collegio rappresenta sempre un incubo, il ricordo del carcere mai. Eravamo tutte unite, tutte concordi, tutte solidali. […] Chi eravamo? Di alcune, quelle che conoscevo prima, so il cognome, di altre so soltanto il nome e anche la fisionomia si è annebbiata nella mia mente, perché sebbene da allora non siano passati molti mesi, tuttavia l’intensità della vita è stata tale, che mi son ritrovata con un numero d’anni sulle spalle quasi indicibile. [Elena] godeva di una certa libertà essendo scopina […] Ci conoscevamo di nome, perché quando la vita era ancora vita e non una cosa fatta di agguati e di disperazioni, avevamo vissuto più o meno nello stesso ambiente […] Si pensava allora [in quei giorni] ai nostri uomini quasi tutti sotto lo stesso tetto, ma separati da noi, che certo a noi pensavano e magari si struggevano di ansia e di malinconia (Ugo 1945, 187).
«Zia Ersilia» era Ersilia Gabba, moglie di Giulio Cederna e madre di Camilla, per molti assurta a ruolo di zia non per un vero legame parentale, ma per affetto. Fu una delle prime donne in Italia a conseguire la laurea in germanistica. Elena era Elena Moncalvi, collaboratrice di Ada Buffulini e di Lelio Basso, moglie di Arialdo (Momi) Banfi che, come il fratello Gian Luigi, fu coinvolto appieno nella Resistenza. Elena, in carcere dal 12 novembre 1943, fu rilasciata nell’aprile del 1944 (Banfi 2009, 30-31). Chissà, poi, se la suora che condusse Bianca «al piano terreno a prendere gavetta, gavettino e forse anche il bicchiere, poi la roba per il letto. Pietosa, [le diede] una coperta in più del permesso» (Ugo 1945, 187) era suor Enrichetta Alfieri, assistente e sorvegliante della sezione femminile del penitenziario che, con altre undici sorelle, faceva da tramite tra i detenuti politici, l’esterno e la Resistenza, fino a quando venne arrestata il 23 settembre del 1944.
In una informativa del 2 giugno 1944, indirizzata al capo ufficio stampa della Prefettura, si legge che Dèttore
serba[…] regolare condotta morale e politica. Nel periodo badogliano tenne un contegno riservatissimo, senza minimamente far trapelare la sua vera idea […] Pare che l’avvenuto arresto [dei coniugi] sia devoluto a lettera anonima, ma ignorasi il motivo, poiché all’Ufficio centrale della questura Repubblicana non vi è traccia, né è stato possibile conoscere l’autorità che a suo tempo ha emesso l’ordine. Si presume che l’arresto summenzionato sia stato eseguito dall’ufficio politico della squadra Muti (ASMI, Busta 381, fasc. Bianchi-Giovini).
Secondo la testimonianza scritta resami da Davide Dèttore, il figlio che il professore ebbe da un secondo matrimonio, il motivo del fermo fu l’aver ospitato un intellettuale francese poi fatto fuggire in Svizzera. La coppia, che pare non abbia subito torture, fu liberata grazie all’intervento della madre dell’editore, Ida Guglielmi, che ricorse alla posizione ricoperta dal marito Aurelio, alto ufficiale dell’esercito e grand’ufficiale dell’Ordine Mauriziano.
In Milano durante la guerra, Camilla Cederna, accennando a brani di lettere scritte dalla madre Ersilia ai parenti in Valtellina, ricorda così la vicenda:
Quanto all’Elena, spazza sempre, ma sembra di buon umore. Anche la Bianca è andata a farle compagnia. Il Momi (marito dell’Elena) è adesso anche lui allo stesso albergo dei nostri amici […]. Ma perché l’Elena – si domanda Camilla ripensando alle parole della madre – non la smette di spazzare? Perché l’hanno arrestata (nello studio di un avvocato socialista) e fa la scopina a San Vittore, perché il suo mestiere le permette di incontrare le altre compagne e di portare anche messaggi (Cederna, Lombardi, Somarè 1979, 14).
I Dèttore, dunque, facevano parte della fitta rete di persone che, dopo l’armistizio, contrastarono il nazifascismo organizzando la cosiddetta resistenza civile che aiutava oppositori politici ed ebrei. Bianca, come accennato, aveva lavorato in passato per editori non allineati al Partito nazionale fascista. In particolare la produzione della Corbaccio, costantemente all’opposizione, fu talvolta oggetto di sequestro (Ferrando 2019, 22) e non meno esposta fu quella della Corticelli; il dissenso di Rosa Menni, la vera ideatrice di «Eva», e del marito Raffaello Giolli, era già palese nel 1933. I due vennero arrestati il 14 settembre 1944. Inviato Gusen, un sottocampo di Mauthausen, Raffaello vi morì il 6 gennaio 1945. Il secondogenito, Ferdinando, poeta ventenne, allievo di Antonio Banfi all’Università di Milano, rientrò in Italia dalla Svizzera, dove si era rifugiato in un primo tempo, per raggiungere le brigate garibaldine, ma fu arrestato a sua volta e fucilato un mese dopo a Villeneuve in Valle d’Aosta. Subito dopo la Liberazione la casa editrice Rosa e Ballo ne onorò la memoria pubblicando un suo studio su Lautréaumont (Anpi Milano). Restringendo il campo ai collaboratori dei Dèttore non sfugge la comune appartenenza all’ambiente antifascista. Ada Prospero, vedova di Piero Gobetti, nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’azione e nel 1943 figurava tra i dirigenti delle brigate partigiane e dei Gruppi di difesa della donna (Alessandrone Perona 2018). Elena Valla era la vedova di Umberto Ceva, dirigente di Giustizia e libertà che, incarcerato a Milano nel 1930, si suicidò per non tradire i compagni. Valla, laureata in lettere classiche, collaboratrice della rivista di Gobetti «Energie nove», nel 1933, dopo l’allontanamento dal Liceo Manzoni di Milano dove insegnava, trovò impiego alla Biblioteca Braidense (Farina 1995, 1110-1). Giancarlo Vigorelli, da tempo oggetto dell’attenzione poliziesca, nel settembre 1943, consegnato il saggio su Gli sposi promessi, fuggì in Svizzera. Gabriele Mucchi, al contempo, si unì ai partigiani della Val d’Ossola. Fernanda Wittgens, la leggendaria sovrintendente delle Gallerie di Milano e direttrice della Pinacoteca di Brera, poco prima di essere arrestata nel luglio 1944, si era occupata per la Bianchi-Giovini dell’apparato iconografico de L’epica spagnola, antologia curata da Camillo Guerrieri Crocetti e inserita nella collana «Europa». In questo breve elenco che indica alcune delle firme più note della casa editrice dei Dèttore, possiamo includere Mario Bonfantini, Leonardo Borgese, Dino Del Bo e Mario Apollonio, tutti oppositori del regime. Anche diversi amici – che Terrè ricorda spesso impegnati in accese discussioni intorno alla tavola all’ora di pranzo – non furono per nulla compiacenti con esso. Elio Vittorini già nel 1942 era entrato in contatto con il partito comunista clandestino. Camilla Cederna, dopo aver scritto per «L’Ambrosiano» l’articolo La moda nera (7-8 settembre 1943), in cui metteva alla berlina le donne fasciste vestite in orbace, venne condannata a sette anni di reclusione. Ed è verosimilmente a lei che Bianca rivolse i versi Una cella (Ugo 1945, 293). Banfi e Belgiojoso, tra i fondatori di Giustizia e libertà, arrestati il 21 marzo 1944 con l’accusa di procurare documenti falsi ai “ribelli”, vennero inviati a Gusen. Banfi vi trovò la morte il 10 aprile 1945. A lui, all’architetto Giuseppe Pagano e a Ettore Barzini – figlio di Luigi che, detenuto dall’11 dicembre 1943, a San Vittore aveva mantenuto il dialogo tra i due coniugi recapitando loro vicendevoli messaggi, morì a Mauthausen nel marzo 1945-, Bianca destinò la poesia E’ cominciato allora (Ugo 1945, 148). A Giovanni Barbera, un insegnante recluso, sempre nel marzo 1944, nel penitenziario milanese perché dopo l’8 settembre aveva operato in clandestinità a Milano per il Partito socialista, dedicò La morte canta (Ugo 1945, 207). Barbera morì nel campo di concentramento di Fossoli, la salma fu riconosciuta grazie alle lettere rinvenutegli nelle tasche. Tutte le liriche vennero pubblicate nel numero di dicembre di «Mercurio» e riproposte nella raccolta Quel giorno che morrò (Ugo 1952).
Nonostante la sua crudezza, l’esperienza di San Vittore non frenò la produzione dell’editrice. Nella seconda metà del 1944, il catalogo venne potenziato con diversi titoli: Storia di Gil Blas di Santillana, traduzione di Carlo Cordié di Histoire de Gil Blas de Santillane di Alain-René Lesage (1668-1747); Storia meravigliosa di Peter Schlemihl, versione di Giuliana Pozzo (tra i consulenti incaricati di redigere pareri di lettura per Mondadori) di Peter Schlemihlʼs wundersame Geschichte di Adelbert von Chamisso (1781-1838); Ultime lettere di Iacopo Ortis, unitamente ad altri documenti, di Ugo Foscolo; e Le metamorfosi, o L’asino d’oro, traduzione di Teresio Grossi dei libri IV-VI Metamorphoseon di Apuleio.
Le uscite, invece, vennero rallentate, ancora una volta, dalle autorità repubblichine, che non concessero la diffusione di diverse traduzioni. L’ultima circolare che tentava di mettere al bando, almeno sulla carta, le opere in lingua straniera era entrata in vigore il 24 novembre 1943 (circ. n. 1103). Da allora gli ostacoli frapposti alla promozione di tali lavori costrinsero il professore ad appellarsi, il 20 novembre 1944, sia a Franco Fuscà, addetto stampa della prefettura di Milano, sia al ministro Fernando Mezzasoma.
Al primo scrisse:
Mi permetto ancora di raccomandarti nel modo più vivo la mia causa che credo giusta: quando un libro è messo in traduzione, tutti vengono a saperlo e, se l’opera sembra interessante, i meno scrupolosi mettono insieme in tutta fretta una traduzione qualsiasi e la stampano senza permesso, arrivando così prima di chi ha avuto l’idea e fa le cose regolarmente (ASMI, Busta 381, fasc. Bianchi-Giovini).
E al secondo:
Trovo qualche difficoltà, nel regolare susseguirsi delle edizioni, a causa del ritardo, certo dipendente dalle varie difficoltà dovute al momento, con cui vengono concessi, dal Ministero della Cultura Popolare, i permessi di traduzione. Già da alcuni mesi ho chiesto alla terza sezione del Ministero della Cultura popolare il permesso di pubblicazione delle seguenti opere: [Gargantua e Pantagruel, Le mille e una notte, Simplicissimus, Il rosso e il nero, I tre moschettieri, le novelle di Prosper Mérimée e La signorina de Maupin]. Naturalmente queste opere usciranno alternate a opere italiane che presenteranno in testi critici accuratamente stabiliti i capolavori della nostra narrativa dal Trecento in poi. Ma, fin ad ora, sebbene abbia più volte sollecitato, non ho avuto alcuna comunicazione […]. Ho anche chiesto la revoca del sequestro, davvero inatteso, del Satiricon, opera la cui traduzione è stata particolarmente curata e per la quale già da vari mesi mi era stato promesso l’annullamento del provvedimento […] Mi permetto dunque […] di sollecitare una decisione degli organi competenti (ASMI, Busta 381, fasc. Bianchi-Giovini).
Se sulle opere indicate nella lettera il ministero in un primo momento nicchiò (per poi concedere l’autorizzazione dopo poco, come si vedrà nel dettaglio più avanti), su altre dichiarò esplicitamente parere negativo. Nello specifico le autorità comunicarono alla Bianchi-Giovini il divieto di pubblicare: il 28 luglio 1943, i Maia da Os Maias del portoghese José Maria Eça de Queirós (1845-1900), diffuso in seguito da Casini nel 1956; il 15 maggio 1944 Baj gano del bulgaro Aleko Konstantinov (1863-1897), «Racconti inverosimili di un bulgaro contemporaneo», poi stampato da Bulzoni nel 1978; il 16 gennaio 1945 Adam Bede dell’inglese George Eliot (1819-1896), già uscito nel 1931 in due volumetti della Società editrice Rinascimento del Libro di Firenze a cura di un/a non meglio identificato/a M. Carpi; e, sempre il 16 gennaio 1945, Tom Jones da The History of Tom Jones, a Foundling dell’inglese Henry Fielding (1707-1754) (ASMI, Busta 381, fasc. Bianchi-Giovini), malgrado fosse in circolazione in Italia dal 1756-7, pochi anni dopo l’originale inglese del 1749, tramite la versione francese di «M. de la Place».
Ma accadde anche il contrario: pur avendo ottenuto il placet ufficiale, la Bianchi-Giovini non fece seguire la stampa di alcuni testi. E’ il caso di Lucinde, ein Roman del tedesco Friedrich von Schlegel (1772-1829), una Lucinda già pubblicata dallo Stabilimento grafico editoriale di Genova nel 1924 nella traduzione di Ettore de Ferri e attualmente esistente dal 1985 come Lucinde, nell’italiano di Maria Enrica D’Agostini per Studio Tesi di Pordenone; di Le roman comique di Paul Scarron (1610-1660), che fu poi diffuso dalla Utet nel 1963 con il titolo Il romanzo dei guitti a cura di Eva Timbaldi; delle novelle Colomba, Carmen, Mateo Falcone, Tamango e L’Enlèvement de la Redoute del francese Prosper Mérimée (1803-1870) e di quelle del tedesco Theodor Storm (1817-1888). Non uscirono neppure le traduzioni di The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe dell’inglese Daniel Defoe (1660-1731), Le Capitaine Fracasse di Théophile Gautier (1811-1872), Titan di Jean Paul (al secolo Johann Paul Friedrich Richter) (1763-1825) e Nachtstücke di Ernst T.A. Hoffmann (1776-1822), pubblicizzato in anteprima come i Notturni. Non si sa se autorizzata o meno, non vide la luce neanche la versione de La religieuse di Diderot curata e illustrata da Leonardo Borgese. Gli ultimi tre testi erano stati programmati nel 1943 per «Aretusa».
Venti giorni prima della Liberazione, invece, comparve sugli scaffali Muenchhausen. Una storia in arabeschi (Münchhausen. Eine Geschichte in Arabesken) di Karl Lebrecht Immermann, tradotto integralmente per la prima volta da Bianca Ugo, che con questa versione completava ciò che aveva iniziato per Germanica. L’opera, anch’essa preannunciata nel 1943, era stata autorizzata il 22 agosto 1942 a patto che venissero soppressi i passi relativi alla religione che il censore aveva individuato alle pagine 224 e 225 del secondo volume (ASMI, Busta 282, fascicolo Bianchi-Giovini). L’edizione infine impressa nel 1945 consta però di un unico tomo.
I titoli per i quali nel novembre 1944 si chiedeva il nulla osta a Mezzasoma uscirono nel giugno 1945, quando ormai la sua autorizzazione non era più richiesta e lui stesso, fucilato il 28 aprile insieme a Mussolini, non era più in vita. L’avventuroso Simplicissimus era la «traduzione di Dettore Ugo e Ugo Bianca» (così in frontespizio) di Der abenteuerliche Simplicissimus Teutsch di Hans Jacob Christoffel von Grimmelshausen (1621-1676). Nella nota ministeriale che negava la pubblicazione si sottolineava che avevano già ottenuto l’approvazione alla traduzione l’Einaudi nel 1941 e nel 1942 la romana Lettere d’oggi. Simplicissimus fu ristampato dal 1954 al 1997 da Mondadori che, secondo Italo Alighiero Chiusano, scelse quella versione perché la più completa e pregevole rispetto a quelle diffuse fino ad allora (Chiusano 1984, 23). Il rosso e il nero, cronaca del 1830, era la traduzione di Le rouge et le noir di Stendhal (1783-1842) a cura di Dèttore, il quale si accontentava poi di firmare solo la prefazione a I tre moschettieri, traduzione di Augusto Donaudy da Les trois mousquetaires di Alexandre Dumas (1802-1870), mentre a condurre Mademoiselle de Maupin, per noi La signorina di Maupin, di Théophile Gautier (1811-1892) fu, con l’immancabile introduzione dell’editore, Torquato Padovani. Questa edizione verrà ripresa da Mursia nel 1966. Quanto richiesto a Mezzasoma venne, dunque, pubblicato tutto, ad eccezione di Gargantua et Pantagruel tradotto e commentato da Cordiè, secondo quanto pubblicizzato sul «Giornale della libreria» a partire dal 15 aprile 1945, e delle novelle di Prosper Mérimée.
A queste pubblicazioni si aggiunsero: I viaggi di Gulliver, traduzione di Gulliver’s Travels di Jonathan Swift (1667-1745), condotta sempre dal professore; La pelle di leopardo, prima versione italiana di Vefkhis tqaosani di Shot’a Rust’aveli (XII secolo), considerato il poema epico nazionale della Georgia. Il traduttore d’eccezione fu il georgiano in esilio Scialva Beridze (1892-1070), che aveva insegnato la propria lingua all’Istituto Orientale di Napoli dal 1936 al 1940 (Orientale 2021). In tempi più recenti di quest’opera si sono avute altre due trasposizioni: una, del 1981, con il titolo Il cavaliere con la pelle di pantera, di Mario Picchi per l’editore Sciascia di Caltanissetta; l’altra, pubblicata da Libroitaliano di Ragusa nel 1998, «prima versione italiana in versi di Antonio Bonelli». Il 6 ottobre 1945, a firma Bruno Tasso, uno dei più importanti traduttori del secondo dopoguerra, poi legato a Garzanti, andò in libreria La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne (1804-1864), da The Scarlet Letter. Nel 1946 uscì I signori Golovliov, titolo originale Gospoda Golovljov, del russo Mihail Evgrafovič Saltykov-Ščedrin (1826-1889) tradotto da Mario Visetti e Vittorio Goldberg, romanzo che Vittorini avrebbe voluto per la Bompiani già nel 1941 (Vittorini 1985, 170).
Nel dopoguerra il catalogo Bianchi-Giovini si arricchì delle collane «Narrativa straniera contemporanea» e «Cultura». Nella prima troviamo Sotto la pietra lo scorpione, traduzione di Beneath the Stone the Scorpion di George Tabori (1914-2007), nella versione di Bianca Ugo – per Dèttore un libro di «prim’ordine», come scrisse a Enrico Falqui il 3 dicembre 1946 (Fondo Falqui) – e Confessione al “Tari-Bari”, traduzione di Irene Piatti di Beichte eines Mörders, erzählt in einer Nacht di Joseph Roth (1884-1939). Adelphi, che annovera Roth tra i suoi autori di maggior prestigio, nel 1982 rilanciò il romanzo come Confessione di un assassino narrata in una notte, opera di Barbara Griffini.
L’altra collezione, «Cultura», ebbe come primo volume Breve storia della musica di Massimo Mila. Considerato il largo successo ottenuto, il saggio fu ristampato diverse volte e poi “ripreso” nel 1963 da Einaudi che lo ripubblicò, aggiornandolo, fino al 1977. La serie comprese anche Bilancio della storia, con cui Roberto Ortolani rese in italiano Bilan de l’histoire del francese René Grousset (1885-1952); Il nostro destino e i nostri istinti, traduzione, che risulta anonima, di Notre destinée et nos instincts, appena edito in Francia a firma del criminologo belga Etienne de Greeff (1898-1961). E come ultimo titolo La conquista della scienza, traduzione di Rinaldo Lazzaro Di Benedetto di La conquête de la science del divulgatore francese Pierre Rousseau (1905-1983).
Nella «Aretusa» uscirono i quattro volumi delle Mille e una notte. Il primo fu pubblicato nel 1945 nella versione di Giovanni Haussmann che si occupò anche del secondo, edito ben dieci anni dopo, seguito, grazie a Mario Visetti, l’anno successivo dal terzo e dal quarto. Contemporaneamente l’opera veniva stampata da Marotta di Napoli. La Nota bibliografica chiarisce che questa versione è condotta sulla traduzione russa degli arabisti M.A. Sallier e I. Kratchkovsky basata sull’edizione in arabo, The Alif Laila, pubblicata a Calcutta tra il 1839 e il 1841. La versione-ponte di Sallier e Kratchkovsky, edita dall’Accademia sovietica delle scienze di Leningrado tra il 1932 e il 1939, spiega il ruolo di Giovanni Haussmann, personaggio estraneo al mondo delle lettere e tuttavia, probabilmente, primo suggeritore, oltre che traduttore, dell’edizione Bianchi-Giovini. Si trattava infatti di un grande studioso di agronomia, nato in Russia nel 1906, ma vissuto dopo la Rivoluzione d’ottobre sempre in Italia e morto nel 1980 a Lodi, dove dal 1938 era stato direttore dell’Istituto sperimentale per le colture foraggere (Ongaro 2008).
Nel complesso, però, la produzione della Bianchi-Giovini successiva al periodo bellico fu più avara della precedente sia nel numero di titoli sia nel programma. Molti progetti precedentemente sviluppati rimasero definitivamente nel cassetto. E’ il caso della raccolta «Aretusa», che accolse solo quindici dei centosettanta volumi previsti dal catalogo della casa editrice pubblicato nel 1945. Tra i “cassati” vi fu Fru Maria Grubbe, interieurer fra det syttende aarhundrede del danese Jens Peter Jacobsen (1847- 1885), reclamizzato nella versione in italiano di Kirsten Montanari Guldbrands. Anche la collezione «Europa», prevista in trenta titoli, ne ospitò solo tre. Ad esempio l’Epopea germanica curata da Vittorio Santoli, in preparazione nel 1944, non venne mai alla luce. Così come non andò in porto l’acquisto di alcuni romanzi di George Orwell, bloccati dalla Mondadori.
Bianchi-Giovini Milano – telegrafava la segreteria editoriale di Arnoldo il 30 aprile 1947 alla Jan Van Loewen International Copyright Agency a Londra – cercano acquistare opere ancora libere di Orwell. Stop. Assolutamente necessario tali opere siano a noi cedute assolutamente (Archivio Mondadori, Orwell).
Dal momento della fondazione, l’assetto azionario dell’impresa mutò con cadenza quasi biennale. A parte i Dèttore, il ricambio societario fu intenso, ma questo non sollevò la Bianchi-Giovini da un preoccupante passivo. Neppure l’uscita, nel 1948, dei tre volumi dell’Enciclopedia del cattolico, l’ultima ponderosa fatica di Dèttore, risollevò le sorti della casa editrice. Il baratro in cui precipitò l’azienda è riassunto in alcune lettere che Ugo indirizzò a de Céspedes tra il 1949 e il 1950.
Essendo riuscita a un certo momento – confida l’editrice all’amica il 20 ottobre 1949 – ad aver la maggioranza assoluta delle azioni la Bianchi-Giovini è rimasta a me . Ma non ti dico in quali condizioni. Ingiunzione di sfratto, per affitto non pagato […] non un libro vendibile nelle scansie, in quanto li avevamo dati in pegno ai vari fornitori e creditori, […] e conti scoperti in banca. In queste condizioni ho preso la ditta e mi sono messa a lottare. La battaglia non è ancora finita. Abbiamo licenziato tutto il personale […] (FAdC, Busta 28, fasc. 15).
Non meno drammatico fu il fronte privato che Bianca affrontò in perfetta solitudine giacché, nel frattempo, il matrimonio con Dèttore era andato a rotoli. Neanche l’aver assunto, dal 1948 al 1949, il ruolo di direttrice del settimanale femminile milanese «Campi Elisi. L’amica del cuore» (Bono 1994) l’aveva aiutata economicamente.
«In settembre ho saltato parecchie volte i pasti» confessa alla scrittrice il 16 novembre 1949 (FAdC, Busta 28, fasc. 15), aggiungendo, il 16 del mese successivo: «Ho appena quanto mi basta per fare da mangiare»; e concludendo poi, l’8 gennaio 1950: «La casa è riscaldata solo in due stanze» (FAdC, Busta 28, fasc. 16).
Alla fine del 1951, mentre il professore passava a tradurre classici francesi e inglesi per Rizzoli e diventava una colonna della redazione Garzanti per la scolastica e le opere di consultazione e divulgative, Bianca Ugo divenne l’amministratore unico della Spa. Da quella data l’impresa attese sette anni prima di presentare altre pubblicazioni e fu costretta ad abbandonare il filone della saggistica impegnata per abbracciare quella divulgativa che, negli anni del boom, ebbe un apprezzabile successo. Nonostante la ridefinizione della linea editoriale la Bianchi-Giovini fu però posta in liquidazione. L’azienda si sciolse il 16 luglio 1958.
Terminata tale esperienza, Ugo, il 12 maggio 1959, ne avviò un’altra nell’adiacente via Goito 5, sua residenza: la B.U.M. (Bianca Ugo Milano), una casa discografica che incideva long playing “culturali e scolastici” (Cam. Comm. Milano, registro delle ditte 529071). Parte delle registrazioni vennero raccolte nella collana «Calliope dischi di letteratura». Esse comprendevano l’esposizione, a cura di autorevoli specialisti, di testi di letteratura e la loro lettura da parte di quotati attori di teatro. Con questo format uscirono una decina di 33 giri, come ad esempio: I cori dell’Adelchi e La Pentecoste di Manzoni, recitati da Marisa Pizzardi, con annotazioni critiche di Pietro Lazzaro; alcuni canti del Paradiso commentati da Ettore Mazzali e Maria Vailati e letti da Giancarlo Gonfiantini, Dora Setti, Fernando Caiati e Marisa Pizzardi; I promessi sposi curati da Mazzali, con lettura poetica di Marisa Fabbri. Di altre registrazioni si ha notizia solo da un elenco stilato da Ugo il 23 aprile 1963 e indirizzato a Giuseppe Padellaro, capo dell’Ufficio proprietà letteraria, artistica e scientifica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (B.U.M.). La B.U.M. produsse altresì «La collana di zia Mariù», che raccoglieva quaranta canzoncine e filastrocche, registrate sempre su long playing, da Fra Martino a La mia mamma la va al mercà. I pezzi erano attinti dalla tradizione folkloristica italiana.
«Tale raccolta è unica in Italia» chiosava Ugo, nella lettera del 23 aprile 1963 che accompagnava l’elenco con l’obiettivo di poter fruire, soprattutto per la pubblicazione di «Calliope», di un premio per l’attività svolta nel campo della cultura e della scuola.
Le canzoncine e le filastrocche – proseguiva la lettera – sono state registrate come erano alle origini […] Naturalmente [la produzione] è costata molto sia dal punto di vista culturale, sia da quello finanziario. A nessuno può quindi sfuggire l’importanza di questo complesso di incisioni che hanno lo scopo precipuo di maggiormente avvicinare il nostro patrimonio culturale […] a tutti indistintamente (B.U.M.).
Sebbene l’11 luglio 1963 concordasse con la linea portata avanti da Ugo, la Discoteca di Stato, deputata a valutare la bontà delle registrazioni, non recepì la richiesta di un sostegno finanziario, per diversi motivi, il primo tra tutti fu la mancanza di fondi (B.U.M.).
Forse nel tentativo di reclamizzare, un po’ furbescamente, la sua impresa, l’editrice intervenne, nell’aprile 1964, alla trasmissione RAI La fiera dei sogni, un programma a quiz condotto, tra il 1963 e il 1966, da Mike Bongiorno (e chissà se in quell’occasione i due non si siano scambiati i ricordi della comune esperienza a San Vittore in mano ai tedeschi). Purtroppo nelle teche RAI non vi è traccia di queste tre puntate della trasmissione. Il «Corriere della sera» e il «Corriere d’informazione» precisarono in diversi articoli, usciti tra il 2 e il 17 aprile 1964, che Bianca vi concorse in qualità di «specialista dei moderni metodi didattici» che comprendevano, in taluni casi, l’uso del materiale multimediale, e avendo come sogno da realizzare quello di visitare le scuole materne ed elementari dei paesi scandinavi e della Gran Bretagna. Ugo venne descritta dalle cronache dei quotidiani milanesi come ferratissima, disinvolta, padrona di sé, nonna autoritaria, ma comprensiva e piuttosto ardita nelle affermazioni. Le opinioni che espresse durante le apparizioni TV, a partire dal favore con cui vedeva l’uso delle armi giocattolo da parte dei bambini, suscitarono tra gli astanti non poche perplessità: convinzioni così fuori del comune che, in relazione agli incontri che lei sosteneva di aver avuto con i fantasmi di via Brera, secondo un trafiletto pubblicato da «l’Unità» del 10 aprile, fecero perdere le staffe a Mike che arrivò a implorarla: «Non ripeta più certe battute, signora!».
L’attività della B.U.M. cessò intorno al 1968.
Nel complesso il nome di Ugo come traduttrice continuò a comparire poche volte in libreria. A parte le riproposte cui si è accennato, tradusse, con Antonio Lugli, Munchausen’s Narrative of his Marvellous Travels and Campaigns in Russia, scritto in inglese dal tedesco Rudolf Erich Raspe (1736-1794), un lavoro che richiamava la sua lontana impresa con il testo di Immermann del 1945. Storia dei meravigliosi viaggi e delle campagne di Russia del barone di Münchhausen vide la luce nel 1973 nella collana «La nostra biblioteca classica in 100 volumi» della EDIPEM di Novara (questa versione venne ripresentata ancora nel 2019 da DeAgostini). Nel 1959 la casa editrice romana Orpheus presentò la sua traduzione di Musikgeschichte der Welt, per noi La sinfonia, del musicista e musicologo austriaco Kurt Pahlen (1907-2003). Il libro, rivisto da Luisa Pavolini, sarebbe dovuto essere il primo titolo di una «Storia della musica» mai andata in porto. Nel 1962 fu la volta di Ada Dallas di Wirt Williams (1921-1986), un romanzo, edito da dall’Oglio, da cui Hollywood aveva tratto nel 1961 un film di successo diretto da Daniel Mannnel. Nel 1976, per «Le Scie» di Mondadori, Bianca rese nella nostra lingua The House on Garibaldi Street. The Capture of Adolf Eichmann, dove l’autore, Isser Harel (1912-2003), all’epoca dei fatti capo dei servizi segreti israeliani, ricostruisce la cattura di Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili nazisti della Shoah. L’opera, pubblicata a Londra e a New York nel 1975, in italiano assunse il titolo La casa di via Garibaldi. Come ho catturato Adolf Eichmann.
Ugo non accettò, però, la proposta fattale il 23 maggio 1953 dalla Ali (Agenzia letteraria internazionale) di Erich Linder di tradurre diversi testi, in particolare alcune novelle di autori di lingua inglese tuttora poco noti in Italia, a parte Mignon G. Eberhart, perché da lei «giudicate inadatte per la traduzione» (Ali B-G).
I Dèttore condividevano l’interesse per le lingue ed ebbero pure grande sensibilità verso taluni fenomeni che si esplicitano nel superamento delle comuni leggi della fisica. Lui si applicò nell’approfondimento della parapsicologia pubblicando diversi studi e curando, dal 1981 al 1984, la rubrica de «La Domenica del Corriere», sempre su quel tema, Mi è successo … ci devo credere?. Lei, nel contempo, abbandonata definitivamente l’editoria, si riciclò, con lo pseudonimo Alexa, quale interprete dell’arte divinatoria I Ching o I King, praticata attraverso l’esegesi di Yìjīng, ovvero l’antichissimo Libro delle mutazioni. Come raccontò al «Corriere della sera», nell’articolo Nell’oracolo cinese il segreto della felicità del 23 ottobre 1979, aveva iniziato a interessarsi a I Ching nel 1954, quando la Bianchi-Giovini impresse, con la curatela di Nunzio Jacono, Yijing (Il libro delle mutazioni). Tale passione, si legge nell’articolo ed è confermato dalla figlia Annamaria, si trasformò via via in una vera e propria attività. Infatti tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta chiunque avesse avuto voglia di conoscere il futuro che li attendeva poteva incontrare d’estate Alexa-Bianca – età indefinibile e voce roca dell’incallita tabagista – in alcuni villaggi Valtur e, nel resto dell’anno, nella penombra dell’appartamento di via Goito, dove viveva tra libri, divani e vecchie stampe. Della tecnica con cui lo faceva parlò, sempre al quotidiano di via Solferino, il 7 ottobre 1981 in Bianca Ugo in arte Alexa. Parallelamente alla predizione del destino secondo questa chiave di lettura, Bianca si dedicò alla traduzione di alcuni studi a essa relativi, come quelli compiuti dallo specialista inglese di taoismo e buddismo cinese John Eaton Calthorpe Blofeld (1913-1987). I Ching, the Book of Change, uscì da noi nel 1975 negli «Oscar casa» di Mondadori come I ching. Il libro della mutazione. In tale occasione Ugo scelse di firmarsi Alexa. L’opera venne riedita fino al 1991. Non si celò invece dietro il suo nom de plume per Il segreto e il sublime. Misteri e magia del taoismo da The Secret and Sublime. Taoist Mysteries and Magic, sempre di Blofeld, sempre per Mondadori, che lo pubblicò nel 1977 e lo ristampò fino al 1984 (nel 2020 è stato nuovamente presentato dalle edizioni Mediterranee di Roma). Ugo utilizzò di nuovo lo pseudonimo per siglare, nel 1976, Come consultare i ching, ovvero The Oracle of Change. How to Consult the ‘I ching’ di Alfred Douglas, autore nato nel 1942, da non confondere con il più famoso amante di Oscar Wilde detto Bosie. Il testo, tradotto tutto «per gusto mio», come scrisse il 18 maggio 1972 a Erich Linder (Ali U.B.), comparve nella «Biblioteca universale Rizzoli» (Bur) solo nel 1976 e fu riproposto fino al 2002.
L’8 luglio 1979, Ugo indirizzò una lettera, quasi certamente l’ultima, a de Céspedes, la cui conclusione potrebbe rappresentare metaforicamente la vita di chi l’ha scritta, quasi un epitaffio: «E’ domenica, la lavatrice è in funzione, non mi posso muovere finché ‘sto dannato bucato non è finito. Poi vado all’osteria a bere il vino.» (FAdC, Busta 30, fasc. 4).
Bianca Ugo morì a Milano il 17 marzo 1982, ricordata da Camilla Cederna con un necrologio sul «Corriere». In quell’occasione l’avvocato Giuliano Salvadori del Prato, primo presidente della Bianchi-Giovini, la descrisse come «giornalista e scrittrice di vasta e profonda cultura, conoscitrice della letteratura tedesca, francese e inglese delle quali aveva penetrato lo spirito e l’insegnamento.»
Fonti archivistiche:
Ali B-G: Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori Milano, Archivio Agenzia letteraria internazionale Erich Linder, Busta 7, fasc. 54: Società editrice Bianchi-Giovini
Ali U.B.: Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori Milano, Archivio Agenzia letteraria internazionale Erich Linder, Busta 58, fasc. 36: Ugo Bianca
Archivio Mondadori, Orwell: Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori editore, Segreteria editoriale estero, Busta 60, fasc. 14: George Orwell
ASMI: Archivio di stato di Milano, Gabinetto di Prefettura, II versamento, Buste 381, 382 e 383, fascicoli Bianchi-Giovini casa editrice
B.U.M.: Discoteca di stato, Roma, Fondo istituzionale, 1907-1996, serie 3, Organizzazione B.U.M.
A Bompiani: Fondazione Corriere della sera, RCS, Milano, Archivio della Casa editrice Bompiani, area 1.1.1., fasc. Ugo Dèttore
FAdC: Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Alba de Céspedes, Serie Corrispondenza scrittori
Fondo Falqui: Archivio del Novecento, Roma, Fondo Enrico Falqui, Serie corrispondenza, Sottoserie Corrispondenza con personalità, Codice provvisorio 96314, Dèttore Ugo
Giudizi Lambert: Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori editore, Segreteria editoriale estero, Giudizi favorevoli anni ‘30, Busta 2, fasc. 157: Kate Lambert
Riferimenti bibliografici
Banfi 2009: Gian Luigi Banfi, Julia Bertolotti Banfi, Amore e speranza. Corrispondenza tra Julia e Giangio dal campo di Fossoli aprile-luglio 1944, a cura di Susanna Sala Massari, Milano, Archinto
Bono 1994: Gianni Bono, Guida al fumetto italiano, Milano, EPIERRE)
Braida 2003: Valentino Bompiani. Il percorso di un editore artigiano. Atti della Giornata di studi organizzata dal Dipartimento di scienze della storia e della documentazione storica dell’Università degli studi di Milano, a cura di Lodovica Braida, Milano, Sylvestre Bonnard
Caccia 2021: Patrizia Caccia, Per un’editoria non dilettantesca. La casa editrice Bianchi-Giovini, in «ALAI. Rivista di cultura del libro», a. VI, 2021, pp. 80-107
Caccia, Mingardo 2020: Patrizia Caccia, Mirella Mingardo, Rosa Menni Giolli. Le arti e l’impegno, Milano, Enciclopedia delle donne
Carotti 2000: Carlo Carotti, Alberto Corticelli e figli. Editori-librai, Milano, Angeli
– 2021: Carlo Carotti, La «Storica» Corticelli, una collana quasi tutta di traduzioni, in «tradurre. pratiche, teorie, strumenti», n- 20 (primavera 2021) (https://rivistatradurre.it)
Cederna, Lombardi, Somarè 1979: Camilla Cederna, Martina Lombardi, Somaré, Milano in guerra (Milano, Feltrinelli)
Crovi 1998: Raffaele Crovi, Il lungo viaggio di Vittorini. Una biografia critica, Venezia, Marsilio
Farina 1995: Rachele Farina, Dizionario biografico delle donne lombarde (568-1968), Milano, Baldini & Castoldi
Ferrando 2019: Stranieri all’ombra del duce. Le traduzioni durante il fascismo, a cura di Anna Ferrando, Milano, Franco Angeli
Ugo 1945: Bianca Ugo, Donne in prigione, in «Mercurio», a. II, dicembre 1945, n.16, pp. 187-189 8 (le poesie citate sono apparse nello stesso numero alle pp. 148, 207 e 293)
Milano com’è 1962: Milano com’è. La cultura nelle sue strutture dal 1945 a oggi. Inchiesta, Milano, Feltrinelli
– 1952: Bianca Ugo, Quel giorno che morrò, Urbino, Istituto statale d’arte
Vittorini 1985: Elio Vittorini, I libri, le città, il mondo. Lettere 1933-1943, a cura di Carlo Minoia, Torino, Einaudi
Zavattini 1974: Cesare Zavatti, Straparole, in Opere. Romanzi, diari, poesie, a cura di Renato Barilli, Milano, Bompiani