Le segnalazioni

Giorgio Fabre, Il censore e l’editore. Mussolini, i libri, Mondadori, Milano, Fondazione Arnaldo e Alberto Mondadori, 2018, pp. 525, 24, 00

Dal 1928 al 1934 il fascismo diede vita a un sistema di censura, inesistente fino a quel momento. Mussolini agì, secondo l’autore, con un ruolo decisivo di indirizzo e guida, e concepì «qualcosa che forse si può ritenere ovvio, sotto una dittatura, ma che invece non lo è affatto: mettere sotto controllo l’intera produzione intellettuale scritta, a tutti i livelli» (p. 9). Nella prima parte del volume, Fabre segue le diverse tappe di questo processo – seguito da altre due fasi di ulteriore diffusione, pervasività e rigore (1934-38 e 1940-43) – ma è sugli anni 1928-34 che appunta la sua attenzione maggiore. Anni in cui la costruzione di quel sistema di censura venne caratterizzata da conflitti con le diverse istituzioni (a partire dalla Chiesa), personaggi ed editori e soprattutto da un principio guida, ossia la salvaguardia della «razza italiana».

Nella seconda parte dello studio viene analizzata l’applicazione delle norme censorie alla casa editrice Mondadori, in particolare per quanto riguarda le traduzioni. Esse costituiscono infatti un elemento centrale in questo discorso, in quanto Mussolini non fu affatto ostile nei confronti delle traduzioni, anzi spesso le utilizzò come strumento di negoziazione nelle relazioni internazionali, dimostrando tuttavia una crescente preoccupazione per il ruolo che così veniva dato alle altre letterature. Sotto questo profilo Arnoldo Mondadori costituì, come è noto, un elemento di grande innovazione nel panorama editoriale e la sua apertura internazionale entrò quasi naturalmente in rotta di collisione con il progetto di controllo fascista.

La terza parte del volume è dedicata ai libri mondadoriani censurati in qualche forma dal regime: 195 titoli dall’aprile 1934 al 25 luglio 1943, che raggiungono il numero di 211 se si arriva fino all’aprile 1945. Gli autori interessati furono 167 e di 5 venne colpita, nella seconda fase, l’intera opera (Vicki Baum, Guglielmo Ferrero, Margherita Sarfatti, Franz Werfel, William Somerset Maugham). La gran parte degli autori censurati era straniera, 28 gli italiani. L’autore fornisce schede storiche sintetiche degli oltre duecento titoli ma di molti, nella seconda parte del volume, affronta in modo approfondito la vicenda, ricostruendo gli scontri, le strategie di Arnoldo Mondadori, il ruolo del duce. [Bruno Maida]

 

Culture in traduzione: un paradigma per l’Europa. Cultures in Translation: a Paradigm for Europe, a cura di Irena Fiket, Saša Hrnjez e Davide Scalmani, Milano, Mimesis, 2018, pp. 146, € 16, 00

Questo volume bilingue (i testi sono in inglese e italiano, e alcuni di essi sono traduzioni) raccoglie i contributi di editori, traduttori e studiosi provenienti da Italia, Serbia, Montenegro, Slovenia e Francia al convegno internazionale tenutosi nell’ottobre 2017 presso l’Istituto italiano di cultura di Belgrado. La discussione, incentrata sull’importanza della traduzione quale patrimonio culturale europeo, abbraccia una vastissima gamma di discipline (filosofia, teoria della traduzione, linguistica, letteratura, antropologia, scienze politiche, linguaggio giuridico…) e prende avvio dalla famosa frase di Umberto Eco: «La lingua dell’Europa è la traduzione». Tale affermazione viene, però, citata in inglese e mai in italiano, a riprova dello spirito interculturale del libro:“The language of Europe”, says Umberto Eco, “is translation”. This is a translation (p. 13). In un contesto plurilingue e globalizzato come quello europeo, la traduzione è vista come una pratica di scambio feconda che permette alle culture nazionali di arricchirsi attraverso l’incontro con l’Altro, con il diverso, ma anche di conoscere meglio se stesse e i propri limiti espressivi. Interessante è, infatti, la strenua difesa di ciò che è “intraducibile”: nel processo di negoziazione di significati emergono le specificità delle singole culture e solo dal riconoscimento e dall’accettazione di ciò che è intraducibile può nascere la spinta a costruire ponti democratici che permettano la convivenza pacifica tra i popoli.

Tra gli altri, una menzione speciale merita il saggio di Michael Oustinoff (Globalization and the Translation of Imaginaries, pp. 33-42) che fa accenno a una questione già approfondita da Édouard Glissant: ogni testo o discorso che venga prodotto oggigiorno non può prescindere dal fatto che potrebbe essere tradotto in un’altra lingua e quindi nessun autore può più ragionare in un’ottica monolingue, perché sa di scrivere in presenza di tutte le lingue del mondo e dunque deve necessariamente tenere in considerazione l’esistenza di altri immaginari. Ogni comunicazione prodotta sarà sempre influenzata dall’eventualità della sua traduzione, e questo riporta il tema al centro dell’attuale scenario globale, multilingue e interconnesso. [Giulia Grimoldi]

 

Michael Matheus, Germania in Italia. L’incontro di storici nel contesto internazionale, a cura di Gerhard Kuck, Roma, Unione internazionale degli Istituti di archeologia, storia e storia dell’arte in Roma, 2015, pp. 296, € 35, 00

Michael Matheus è stato dal 2002 al 2012 direttore dell’Istituto storico germanico di Roma. Sia pure in ritardo, segnaliamo qui questo libro perché è un ottimo campionario dei rapporti che esistono tra realtà nazionali diverse in ambito umanistico, per solito del tutto trascurate nel panorama intellettuale. Ne è esempio probante lo stesso ente editore. L’Unione internazionale, sorta – significativamente – nel 1946, all’indomani della fine della guerra, raccoglie 36 accademie e istituti, di cui dieci italiani e gli altri facenti capo a 18 paesi: Austria, Belgio, Città del Vaticano, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda, Polonia, Repubblica ceca, Romania, Spagna, Stati Uniti, Svizzera e Ungheria. Il libro presenta diversi saggi, che danno conto di alcuni momenti importanti della storia delle relazioni fra tali istituti in ambito storiografico e in particolare tra quelli tedeschi e quelli italiani, normalizzatisi solo nel 1953, con la riapertura dell’Istituto germanico, chiuso nel 1943. Dal punto di vista qui assunto, particolare interesse riveste il saggio intitolato Una molteplicità di discipline sotto lo stesso tetto. Un contributo alla storia delle scienze vista dalla prospettiva dell’Istituto storico germanico (pp. 63-114). I saggi sono tradotti in gran parte dall’autore e dal curatore stessi; gli altri da Monika Kruse, Valeria Leoni e Eva Wiesmann. Purtroppo la qualità delle traduzioni è molto disuguale e talvolta l’evidente scarso dominio della lingua italiana (sia nella costruzione sia, soprattutto, nell’uso dei tempi verbali) rende difficoltosa la lettura. [Gianfranco Petrillo]