di Jean Robaey
1. Che cosa si intende per ne(d)erlandese
Nel dicembre 2013 si è svolto a Bologna un convegno dedicato proprio al nostro tema: Il segno elusivo. La traduzione italiana della poesia in neerlandese (e afrikaans) del XX e XXI secolo (gli atti sono pubblicati in Prandoni, Van der Heide 2016). Lo sguardo degli intervenuti è stato personale, non si è voluto tentare un panorama completo della traduzione da tali lingue; sono invece emerse con chiarezza le problematiche e le difficoltà inerenti all’attività della traduzione e alla diffusione dei risultati. Erano stati invitati gli stessi editori, tra cui uno dei più attivi, Guido Leotta di Mobydick, scomparso nel 2014. Nel 2015 è uscita una sezione monografica, a cura degli stessi Van der Heide e Prandoni, dell’«Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea» (Laurentano, Napoli, Raffaelli 2015) che comprende una sezione monografica, a cura degli stessi Van der Heide e Prandoni, sulla poesia olandese, con testi di K. Michel (traduttore Herman van der Heide), Arjen Duinker (Giorgio Faggin), Mustafa Stitou (Marco Prandoni), Thomas Möhlmann (Franco Paris), Jan van der Haar (Gandolfo Cascio), ed una sezione, a cura di Francesca Terrenato, dedicata alla poesia afrikaans, con testi di Antjie Krog e Ronelda Kamfer.
L’incertezza e l’ignoranza che avvolgono tutto ciò che si collega alla letteratura in lingua Nederlands si vedono anche dalla denominazione in italiano di tale lingua: olandese (oggigiorno la lingua standard corrisponde fondamentalmente alla lingua così come è parlata tra L’Aia, Amsterdam e Utrecht), fiammingo (denominazione ormai proibita che corrisponde a una variante linguistica interregionale minoritaria), nederlandese (dall’originale Nederlands) e neerlandese (più frequente del precedente). Senza entrare nel merito notiamo che l’espressione “letteratura olandese” serve sempre più a indicare quella prodotta nei Paesi Bassi, “fiamminga” quella prodotta in Belgio, mentre “ne(d)erlandese” (ancora l’uso non si è fissato, basterà adeguarvisi quando avverrà; saremmo personalmente tentati di proporre il neologismo “nerlandese”, una correzione fonetica del comune “neerlandese”, puro calco del tramite francese néerlandais) si applica ad entrambi gli ambiti. Ricordiamo che la lingua Nederlands è parlata, pur con sfumature a volte anche molto diverse, nei Paesi Bassi (fino alla settentrionale Frisia dove si parla pure il frisone, lingua molto vicina al nederlandese ma anche all’inglese), in Belgio (in Fiandra, espressione che comprende la Fiandra vera e propria – divisa in due province – e le province di Anversa, del Limburgo e del Brabante, mentre a Bruxelles, ufficialmente bilingue, capitale del paese ma anche della Fiandra, è parlata da circa un quinto della popolazione) e nel Suriname (ex Guiana). Il nederlandese è parlato da 16 milioni di persone nei Paesi Bassi, 6 milioni in Belgio e meno di mezzo milione nel Suriname. (Quanto all’afrikaans, parlato da circa 7 milioni, precisiamo che si tratta di una lingua vicina al nederlandese, derivata da dialetti dei Paesi Bassi del sud con influssi inglesi e delle lingue autoctone del Sudafrica.)
Il filtro francese si è rivelato a lungo decisivo per la conoscenza della letteratura olandese e ancor più fiamminga (il francese in Belgio è parlato da poco meno della metà della popolazione ed è stata a lungo l’unica lingua della borghesia e della cultura): quel poco che gli italiani conoscevano della letteratura nederlandese passava per il francese. Tale tramite ha contribuito a una visione distorta della cultura nederlandese. Dopo la seconda guerra mondiale il francese ha perso man mano il suo rilievo internazionale, e la situazione odierna è fin troppo nota. Il livellamento linguistico (a favore dell’unica lingua inglese) è oggi la prima minaccia alla comprensione delle letterature straniere. E la traduzione può contribuire a tale livellamento, se il traduttore non tiene presente che la tradizione, specialmente poetica, non è puro contenuto e che la forma concorre al vero e intero contenuto. È chiara a tutti la difficoltà di far passare questa tradizione formale nella traduzione, meno chiara la sua esigenza.
Molto separa la letteratura italiana da quella scritta nei Paesi Bassi e in Fiandra, e certo la lingua nederlandese rappresenta un forte ostacolo: è palese l’insensibilità degli italiani di fronte a questa lingua. Una notevole apertura per le culture inglese, francese e tedesca contraddistingue invece i Paesi Bassi e la Fiandra, dove la conoscenza delle tre lingue maggiori appena citate è, con i dovuti distinguo, per gli italiani sbalorditiva. Non si può certo pensare che ci si interessi a tante culture e lingue diverse, anche della sola Europa: si spererebbe tuttavia in un maggior interesse, in una maggiore apertura.
Ma forse ci vuole altro per imporre in Italia un autore straniero mediante una traduzione. Forse è necessario che il traduttore vada “oltre”, che guardi il suo autore da una distanza sostanziale. Sono questi i termini con cui Cucchi (1991, 103) parla della traduzione, a suo modo esemplare, di Char fatta da Vittorio Sereni:
Può però anche capitare, per esempio affrontando un testo rispetto al quale più che un rapporto di affinità si avverta un senso di estraneità, un attrito, può capitare che, cercando di arrivare ad un risultato simile, si arrivi invece altrove oppure addirittura oltre. In alcune poesie tradotte da Vittorio Sereni questo è capitato, con esiti di testo valido, come se fosse autonomo, pur nel pieno rispetto dell’originale. È arrivato oltre.
2. Perché tradurre la poesia nederlandese?
Finché ragioneremo in termini di originalità e epigonismo, non solo per gli autori ma anche per le letterature, non potremo capire l’importanza delle letterature minori né avrà senso tradurre i loro autori. È anche per questo motivo, va notato, che non si cercano gli autori di tali letterature, che non si desidera leggerli e che dunque non si traducono.
Il valore letterario non si misura semplicemente col metro della pura originalità. Alcune opere si impongono proprio per il loro carattere diciamo pure riassuntivo di precedenti tradizioni straniere: è il caso, fondamentalmente per l’Europa, dell’Eneide di Virgilio nei confronti di Omero e di quasi tutta la latinità nei confronti della Grecia, di Dante di fronte alla latinità. La splendida poesia nederlandese secentesca dipende chiaramente da altre esperienze rinascimentali ma ha raggiunto livelli altissimi: la voce ottocentesca di Gezelle rimane unica nel panorama romantico; Karel Van de Woestijne (1878-1929) fa, sulle orme di Mallarmé, della propria lingua un’opera d’arte; una mezza dozzina di poeti olandesi tra fine Otto e inizio Novecento, figli di varie correnti, rivelano un indubbio valore. L’originalità, vogliamo dire, può essere conclusiva. Le stesse avanguardie d’altronde presuppongono notoriamente la tradizione. Nei confronti della nostra contemporaneità, alle prese – nei Paesi Bassi e in Belgio come in Italia – col postpostmodernismo, non possiamo non notare la qualità tendenzialmente alta dei poeti in lingua nederlandese.
Per quanto riguarda la poesia non va dimenticata la decisiva importanza della forma, più immediatamente percepibile che nella prosa. Si tenga d’altra parte presente che le due lingue hanno un sistema fonetico molto diverso e che si traduce da una lingua, il nederlandese, con accento mobile ma che cade soprattutto sull’inizio delle parole, in una lingua, l’italiano, con un altro accento mobile, perlopiù piano: non si tenterà dunque ad ogni costo una riproduzione fedele degli aspetti formali. La traduzione in prosa, che permette una maggiore aderenza lessicale all’originale, sembrerebbe spesso preferibile ad una traduzione in versi perché è impossibile riprodurre la struttura metrica originale ma d’altra parte quella in prosa perde ciò che caratterizza la poesia: il fatto che questa è scritta in versi…
Ma forse c’è un malinteso. Il malinteso non ha a che fare con la poesia ma precisamente col verso. Oggi è possibile scrivere versi senza una struttura obbligata. I nostri versi oggi sono fondamentalmente liberi: liberi dalla rima e dal metro rigido in seguito alla perdita della rima nel blank vers e alla pratica dell’enjambement.
Franco Fortini, sulla scorta di una nota di Gianfranco Contini sulla traduzione alineare, ha illustrato l’apparizione di un particolare tipo di verso libero che egli chiama «verso-riga» (verso-riga che d’altronde proverrebbe direttamente dalla pratica traduttiva):
la nuova metrica sta formandosi, sta uscendo fuori dalla ritmica del verso libero, ma è processo relativamente lento; […] la coscienza media dei lettori accetta dalla convenzione tipografica del verso-riga (cioè della interruzione grafica del continuum tipografico, e sia a fine verso, sia con interlinee e “bianchi” ecc.) un sistema di pause, cioè una punteggiatura supplementare a quella della prosa (Fortini 1958, 508-509).
La traduzione in versi è molto indicata per la poesia moderna, per la quale si assiste peraltro a un certo livellamento delle differenze culturali e linguistiche: entrambi gli aspetti culturali e linguistici sono sempre più dominati dall’exemplum anglosassone se non direttamente americano (vedi, per la prosa, la chiara influenza della frase corta alla Hemingway e Carver, che domina la narrativa contemporanea, quasi uniformemente minimalista).
Lo stesso Fortini (1974), ha peraltro magistralmente delineato nel saggio Traduzione e rifacimento il quadro storico della traduzione in Italia, individuandone e seguendone l’andamento ondivago, tra informazione e qualità letteraria, tra puro servizio e impegno. Egli rivolgeva la sua attenzione alla traduzione dalle grandi lingue europee (inglese, francese, tedesco, spagnolo e russo): l’applicazione della sua analisi alla letteratura nederlandese sarebbe molto parziale. Più suggestiva per noi una nota tratta dallo stesso saggio:
Quanto più si allontana dall’orizzonte di un ipotetico lettore non soltanto la conoscenza della lingua di partenza (nulla di meno definibile, comunque, della “conoscenza” di una lingua) ma anche la sfera dei riferimenti indiretti, dell’aura culturale di quella lingua e diciamo anche di quello specifico autore o di quel momento di quella letteratura, tanto più all’effetto di interferenza si sostituirà l’arbitrario inverificabile del tradurre (e quindi l’autonomia di una sua scrittura originale) (Fortini 1974, 336.
Fortini vede la traduzione dalle grandi lingue come un esercizio, un atto di libertà da parte del traduttore-poeta. Ancor più chiara è la situazione per quanto riguarda il nederlandese: quasi nessuno conosce la lingua originale, pochi hanno familiarità col relativo mondo culturale… l’arbitrio personale del traduttore è altissimo.
3. I pionieri
I principali centri di interesse dei traduttori risultano essere i seguenti: la poesia classica del “Secolo d’oro”, ossia il Seicento olandese, con Joost van den Vondel, G.A. Bredero e Constantijn Huygens; la poesia romantica e simbolista (anzitutto i fiamminghi Guido Gezelle e Karel van de Woestijne); la poesia contemporanea sia olandese che fiamminga; la recente poesia afrikaans.
Pioniere è stato il leggendario e straordinario conoscitore e traduttore dalle più svariate lingue Giacomo Prampolini (1898-1975), autore delle imponenti, anche per la sola mole, Storia universale della letteratura e Le letterature del mondo (UTET, Torino 1933-38 e 1956), che comprendono decine di pagine dedicate alla nostra letteratura, da lui particolarmente amata. Il suo libro pionieristico è stato La letteratura olandese e fiamminga (1880-1924) (Stock, Roma 1927, con introduzione di Giuseppe Prezzolini), prima antologia cui ha fatto seguito per Scheiwiller di Milano dopo la seconda guerra mondiale la serie Poeti olandesi (1947), Poeti frisoni d’Olanda (1952), Poeti fiamminghi (1957), Poeti afrikaans (1959). Dimenticato è il veronese Massimo Spiritini (1879-1963), anch’egli autore di antologie di poesia “universale”; si vedano: Canti popolari fiamminghi (Libreria Gambari, Verona 1911, e Sandron, Palermo 1922; Poeti del mondo, Garzanti, Milano 1939; Panorama della poesia mondiale, Bocca, Milano 1951.
La strada della scelta antologica ha conosciuto molta fortuna. Eccone un elenco, speriamo abbastanza completo, relativo al secondo dopoguerra:
- Gianni Montagna e Robert van Nuffel, Presenza del Belgio, in «Ausonia» 2-4, mar.-ago. 1959: 16 poeti fiamminghi, da Guido Gezelle a Hugo Claus (il nome del traduttore non viene indicato ma si tratta molto verosimilmente dello stesso Van Nuffel);
- Gerda van Woudenberg e Francesco Nicosia, Poesia olandese contemporanea, Schwarz, Milano 1959: l’antologia comprende 20 poeti olandesi ma anche il belga Paul van Ostaijen;
- Antonio Mor e Jean Weisgerber, Le più belle pagine delle letterature del Belgio, Nuova Accademia, Milano 1965: i poeti sono Guido Gezelle, Karel van de Woestijne, Paul van Ostaijen, Raymond Herreman e Hugo Claus (taciamo della poesia medievale; precisiamo che taciamo in queste pagine della produzione precedente il Seicento e la nascita del moderno nederlandese);
- Antonio Mor, Jean Weisgerber e Jan Hendrik Meter, Antologia delle letterature del Belgio e dell’Olanda, Fabbri, Milano 1970: 18 poeti olandesi e 6 fiamminghi;
- Arnoldo Schirinzi: Tra dighe e tulipani. Poesia olandese del Novecento. Tussen dijken en tulpen. Moderne nederlandse poëzie, Forum, Forlì 1977: il titolo italiano inganna poiché, dei 40 autori presenti, alcuni, ancorché in netta minoranza, non sono olandesi (il titolo nederlandese dovrebbe essere Moderne Nederlandse poëzie, con la “N” maiuscola);
- Karin van Ingen Schenau e Maurizio Cucchi, Cinque poeti olandesi, in Poesia Due, Guanda, Milano 1981: i poeti sono J. Bernlef, Hans Faverey, Jacques Hamelink, Gerrit Kouwenaar, H.C. ten Berge (si tratta di autori fondamentalmente sperimentali, almeno come formazione);
- Luisa van Wassenaer-Crocini, Florilegio di poesie nederlandesi (Olanda & Belgio), APA – Holland University Press, Amsterdam – Maarssen 1983: gli autori sono Guido Gezelle, Adriaan Roland Holst, Martinus Nijhoff, Albe, Maurits Mok, Margaretha Vasalis, Adriaan Morriën, Bertus Aafjes, Anton van Wilderode, Hanna Kirsten;
- 13 poeti dei Paesi Bassi. 13 dichters uit de Lage Landen, a cura di Karin van Ingen Schenau, AlbA, Amsterdam 1989: comprende i cinque poeti già presenti nella precedente antologia curata dalla Ingen Schenau con Maurizio Cucchi più Remco Campert, Hugo Claus, Hans Faverey, Eva Gerlach, Stefan Hertmans, Rutger Kopland, Cees Nooteboom, Willem M. Roggeman, Willem van Toorn, Eddy van Vliet (il titolo italiano non corrisponde a quello nederlandese: l’espressione Lage Landen significa effettivamente «Paesi Bassi» ma comprende anche il Belgio);
- Poesia fiamminga contemporanea, a cura di Giorgio Faggin e Giovanni Nadiani, Mobydick, Faenza 1998: i 14 autori sono Stefaan van den Bremt, Herman de Coninck, Charles Ducal, Luuk Gruwez, Stefan Hertmans, Roland Jooris, Tom Lanoye, Gwij Mandelinck, Leonard Nolens, Willem M. Roggeman, Erik Spinoy, Jotie T’Hooft, Mirian Van Hee, Eddy van Vliet;
- Immutato ma irriconoscibile. Antologia di poesia fiamminga di acqua e di mare, a cura di Massimo Giannotta e Franco Paris, La città e le stelle, Roma 2001 (con testi di Willem Elsschot, Hugo Claus, Jozef Deleu);
- Guido Gezelle, Karel van de Woestijne, Jan van Nijlen, Richard Minne, Paul van Ostaijen, Maurice Gilliams. Lirici fiamminghi, a cura di Giorgio Faggin (Mobydick, Faenza 2005);
- ― Langs het hoogriet, langs de laagwei. 10 Vlaamse dichters te gast in Genua (Lungo l’alto canneto, e il basso prato. 10 poeti fiamminghi ospiti a Genova), traduzione Franco Paris, Provincie West-Vlaanderen, Brugge 2007 (10 autori tra cui Hugo Claus, Luuk Gruwez e E. Spinoy);
- ― Gli Ottantisti (Tachtigers). Poesia olandese tra Otto e Novecento, a cura di Giorgio Faggin, Accademia Olimpica, Vicenza 2015 (con testi di Willem Kloos, Frederik van Eeden, Albert Verwey, Herman Gorter, Helene Swarth, Jan Hendrik Leopold, Henriette Roland Holst, P.C. Boutens).
Le antologie rivelano il gusto di un’epoca oltre che di un autore. Alcuni poeti presenti, per fare alcuni esempi, in Van Wassenaer-Crocini (1983) sono ormai consacrati (Guido Gezelle, Martinus Nijhoff), altri sono praticamente scomparsi (Albe o Hanna Kirsten), altri ancora discussi (come Anton van Wilderode o Bertus Aafjes). Si possono d’altronde riscoprire voci quasi dimenticate, come Maurits Mok (1907-1989): Men leeft in Nederland. Het water komt / maar zelden aan de lippen. Voet voor voet / gaat dag voor dag de nacht / van het verleden in (Van Wassenaer-Crocini 1983, 112-113: In Olanda si vive. L’acqua sale / di rado fino alle labbra. A passo a passo / un giorno dopo l’altro / scompare nella notte del passato). Hanno senz’altro resistito di più i poeti scelti da Van Woudenberg. Anche antologizzare è una questione, come sempre nella poesia, di gusto.
La scelta della traduzione di un autore singolo viene aperta da Guarnieri (1941: vi si possono leggere oltre trenta poesie di Gezelle) e continuata, dopo la seconda guerra mondiale, da altri florilegi dello stesso Gezelle: Poesie, a cura di Luisa van Wassenaer-Crocini (Fussi, Firenze 1949); Cedole di poesia, a cura di Maria Vailati, traduzione di Mario De Micheli (Poiesis, Milano 1964); Piccola antologia, a cura della stessa Vailati e presso lo stesso editore nel 1966 con la traduzione di Maria Garelli Ferraroni (la stessa Vailati propone anche, e ancora con l’editore Poesis, nella traduzione di Ida Garzonio, le Liriche scelte di Paul van Ostaijen, Milano 1966). Il prete Guido Gezelle (1830-1899) è il mostro sacro della poesia fiamminga e uno dei mostri sacri della poesia nederlandese tout court: un (tardo)romantico dotato di una sensibilità ritmica eccezionale, che ha contribuito enormemente – malgrado la sua strenua esaltazione della sola Fiandra e della sua variante linguistica – alla riabilitazione della cultura fiamminga agli occhi degli stessi olandesi. Infatti, in seguito alla spartizione delle Diciassette Province dei Paesi Bassi – che comprendevano un vasto territorio di cui faceva parte perfino il Lussemburgo – e alla nascita nel Seicento di quelli che sarebbero poi diventati i moderni Paesi Bassi, le Fiandre restarono sotto il dominio straniero e conobbero un periodo, durato fino all’indipendenza del Belgio nel 1830 e anche dopo, di decadenza. Tradurre Gezelle è una vera sfida, che ha tentato ancora, come vedremo, Faggin nel 1999.
Nel 1960 è uscito, a cura di Luigi Calvo e P. Antonini, Lucifero, l’opera teatrale più nota di Joost van den Vondel (1587-1679), l’autore forse più famoso di tutta la letteratura nederlandese (il Nederlands viene chiamato “la lingua di Vondel”). La traduzione, in prosa, rivela la sua dipendenza da una traduzione ottocentesca romantica francese. Una seconda traduzione, in versi, a cura di chi scrive queste righe, è uscita nel 1996 da Ariele, Milano (Robaey 1996); ispirato a quest’ultima è l’omonimo lavoro teatrale, con regia di Antonio Syxty, Teatro Litta, Milano 1999 (video su Vimeo).
4. Gli ultimi trent’anni: Giorgio Faggin e gli altri
Gli ultimi trent’anni testimoniano un notevole aumento delle traduzioni dalle varie lingue, europee e non. Tale sviluppo è assicurato per il nederlandese grazie anzitutto all’opera di pochi, italiani e non, perlopiù specialisti ma tutti mossi da uno spirito di scoperta e per così dire da pura passione (la traduzione, a parte casi eccezionali, non è titolo che valga per i concorsi).
Fra i traduttori oggi attivi si segnala anzitutto Giorgio Faggin (classe 1939), che, oltre a essere un attivo promotore della lingua e della letteratura in lingua friulana (anche con traduzioni da e verso il nederlandese), si è dedicato in un primo tempo allo studio dell’antica pittura fiamminga e olandese (suoi sono, tra gli altri saggi, Faggin 1968 e 1969), quella pittura che rimane la più solida base culturale di questi paesi. Da anni traduce molti poeti nederlandesi moderni e contemporanei, olandesi e fiamminghi: ricordiamo, oltre alle tre antologie citate – Poesia fiamminga contemporanea, Lirici fiamminghi e Gli Ottantisti (Tachtigers). Poesia olandese tra Otto e Novecento – i nomi di Guido Gezelle (Poesie scelte, 1999), Karel van de Woestijne (Liriche, 2000), Maurice Gilliams (1900-1982; Elegie Fiamminghe, 1994), Leonard Nolens (1947; Porte socchiuse, 1995), Arjen Duinker (1956; La pietra fiorisce e altre poesie, 2002): tutti fiamminghi e tutti pubblicati da Mobydick di Faenza; nonché l’olandese Rutger Kopland (1934-2012), con Prima della scomparsa e dopo, Edizioni del Leone, Venezia 2005, versione eseguita con Giovanni Nadiani. Anche nel caso dell’autore singolo la strategia del traduttore è antologica. Le versioni di Faggin si segnalano per la precisione e l’eleganza (e quindi vale la pena di ricordare anche quelle di prosa, i Pensieri di Multatuli (pseudonimo di Eduard Douwes Dekker, 1820-1887: Faggin 1997); e l’importante romanzo Formaggio olandese di Willem Elsschot(Faggin 1992).
Ecco, in successione, da Faggin 2005, prima Gezelle:
O! ’t ruischen van het ranke riet!
o wist ik toch uw droevig lied!
wanneer de wind voorbij u voert
en buigend uwe halmen roert,
gij buigt, ootmoedig neigend, neer;Oh, il sussurro delle esili canne!
Oh, se sapessi il vostro mesto canto!
Quando il vento su di voi trascorre
e piega i vostri steli,
voi vi chinate ed umili annuite (pp. 16-17).
poi Van de Woestijne:
Een vrucht, die valt… – Waar ’k wijle in ’t onontwijde zwijgen,
buigt statiglijk de nacht zijn boog om mijn gestalt.
De tijd is dood, omhoog, omlaag. Geen sterren rijgenhaar paarlen aan ’t stramien der roereloze twijgen.
En geen gerucht, dan deze vrucht, die valt.Un frutto che cade… Qui, dove indugio in un silenzio sacro,
la notte incurva solenne il suo arco sopra di me.
Il tempo è morto, lassù, quaggiù. Nessuna stella infila
la sua perla nella trama degli immobili rami.
Nessun rumore. Solo il frutto che cade (pp. 68-69)
e infine, da Faggin, Nadiani (1998), Nolens:
Vandaag verlaat ik deze kamer en begraaf me ginder
In de bodemloze kussens van zijn goudbetiskte salon.
Zijn zus speelt er de dode uren op de vleugel kwijt.
De oude zomer ziet in zestien gevelramen, zet de winter
Van zijn toekomst langzaam in een zachte gloed;Oggi lascio la mia camera e mi seppellisco laggiù
nei cuscini senza fondo del suo salotto trapunto d’oro.
La sorella sul piano suona le ore morte.
La tarda estate entra da sedici finestre, lentamentetrasforma l’inverno del futuro in dolce splendore (Faggin, Nadiani 112-113).
Karin van Ingen Schenau (1942), attiva sia in Italia che in Olanda, è traduttrice anche dall’inglese in nederlandese. In Italia, in collaborazione con Maurizio Cucchi, ha pubblicato negli anni ottanta autori di punta della generazione degli anni trenta nel citato almanacco Poesia Due (Cucchi, Van Ingen Schenau 1981) e lo sperimentale Lucebert (pseudonimo di Lubertus Jacobus Swaanswijk, 1924-1994) sullarivista «Poesia» (Cucchi, Van Ingen Schenau 1989): due sedi altamente rappresentative della poesia italiana contemporanea. Citiamo, da Van Ingen Schenau (1989), Rutger Kopland (la poesia s’intitola G, che può anche significare God, «Dio»):
G, ik schreef een vers over jouw gezicht,
dat het zo afwezig was, ik vergeleek het
met water waarin ik het gezicht zag
van een paard […];G, scrissi un verso sul tuo volto
che era così assente, lo confrontai
con l’acqua, vi vidi il muso
di un cavallo […] (pp. 80-81).
L’autore di queste righe (nato nel 1950) ha tradotto autori del Seicento e dell’Otto-Novecento. Gli autori prediletti sono: i classici Van den Vondel (Robaey 1996) e Huygens (Robaey 2006b); i simbolisti Van de Woestijne (Robaey 1983, ripreso in parte in Conte 1990; e Robaey 1995) e Jan Hendrik Leopold (Robaey 2011); il contemporaneo Ben Cami (Robaey 2004, 2006a, 2007a e 2007 b). Una scelta di sette poemetti di Karel van de Woestijne (Interludi) è in attesa di pubblicazione. Su riviste ha pubblicato poesie degli ottocenteschi Frederik van Eeden (1860-1932), Johan Andreas dèr Mouw (1863-1919), Henriette Roland Holst van der Schalk (1869-1952) e del tuttora vivente fiammingo Roland Jooris (nato nel 1936). Vive in queste traduzioni il sogno di far passare nell’italiano qualcosa della lingua originale. Citiamo alcuni versi di Dèr Mouwe e di Leopold (1865-1925).
Dèr Mouw:
‘K ben Brahman. Maar we zitten zonder meid.
Ik doe in huis het en’ge dati k kan:
‘K gooi mijn vuilwater weg en vul de kan (Dèr Mouw 1980, 135)Io sono Brahman. Ma siamo senza donna di servizio.
In casa faccio quel poco che posso:
Butto via l’acqua sporca e riempio la brocca (da Franci 1985, 117).
Leopold:
En mede ging hij met den ommegang
den eeuwigen, den in geen tijd geboren,
die heenstreek door den weergaloozen luister
der hemelcreaturen, door de zalen,
de leege hoven, die in doodsche nacht
zoo roerloos en zoo strak geopend waren
en uitgezet, alsof zij allen stonden
onder één hooge koepeling, een dak,
dat werd getild op fonkelend gebint
van stalen flitsen […]Ed egli andava insieme nella processione
agli eterni, a quelli nati in nessun tempo,
che avanzava strisciando tra lo splendore senza pari
delle creature del cielo, attraverso le sale,
le vuote corti, che in una notte smorta
così immobili e così fisse stavano aperte
e spiegate, come se tutte stessero
sotto un’unica alta cupola, un tetto,
che fosse sollevato su una travatura sfavillante
di lampi di acciaio […] (da Robaey 2011, 188-191)
Giovanni Nadiani (1954), poeta, è germanista attivo principalmente in campo tedesco. Oltre alla già ricordata antologia Faggin, Nadiani 1998, si ricorda Nadiani 2004a. Insieme ad Andrea Fabbri e Charles van Leeuwen ha curato l’interessante iniziativa translinguistica L’equilibrio delle parole. Poeti traducono poeti(Fabbri, Nadiani, Van Leeuwen 1992), che ha visto la collaborazione degli italiani Franco Buffoni, Gianni D’Elia, Giorgio Faggin, Valerio Magrelli, Cesare Ricciotti, degli olandesi Jan Kuijper, Neeltje Maria Min, Rob Schouten e del belga Eddy van Vliet. Si è dedicato in particolare a Willem M. Roggeman (classe 1935), di cui ha tradotto due antologie: Nadiani 1995 e 2004b. Con Giorgio Faggin ha curato la citata antologia di Kopland (Nadiani, Faggin 2005). Ecco Roggeman:
Rotsen, stenen, kiezel, stof.
Geen levend wezen. Niets dat ademt.De schilder gooit het landschap wijd open
alsof het vanzelfsprekend zou zijn
dat alleen wie hem kent hier binnendringt.Rocce, sassi, ghiaia, polvere.
Non un essere vivente. Nulla che respiri.Il pittore spalanca il paesaggio
quasi fosse ovvio
che solo chi lo conosce vi penetra (Faggin, Nadiani 1998, 132-133).
Fulvio Ferrari (1955), germanista e scandinavista, traduce dalle lingue nordiche e dalla lingua nederlandese. Del famoso Cees Nooteboom (nato 1933) ha curato, oltre che vari libri in prosa con Iperborea, la silloge poetica Ferrari 2003 e le prose poetiche di Ferrari 1998.
Il traduttore e docente universitario Franco Paris (1959) ha al suo attivo una produzione notevole. Qui ci limitiamo all’indicazione delle traduzioni di poesia, ma dobbiamo ricordare che Paris ha anche compiuto, all’interno di una produzione molto diversificata, la ritraduzione di un testo fondamentale della storiografia europea come Herfsttij der Middeleeuwen di Huizinga, ovvero L’autunno del Medioevo (Paris 1992: la prima traduzione italiana, di Bernardo Jasink, risale al 1940 per Sansoni, ma viene ancora ripubblicata) e la prima traduzione moderna del trecentesco mediolandeseSpieghel der ewigher Salicheit di JanVan Ruusbroec (Paris 1994). Nel 1999 ha tradotto il fondamentale e imponente Boertigh, Amoureus, en Aendachtigh Groot Lied–boeck (Paris 1999). Ha pubblicato l’antologia di poeti fiamminghi Paris 2007a, con testi, tra gli altri, di Guido Gezelle, Karel van de Woestijne, Paul van Ostaijen, Hugo Claus, Erik Spinoy; si veda anche Paris 2012. Ha anche riflettuto teoricamente sulla traduzione (vedi Paris 2012). È uno dei curatori dell’antologia ragionata «Harba lori fa!», con Koch, Prandoni e Terrenato (2012). Da anni si dedica all’opera teatrale di Jan Fabre e a quella in versi di Hugo Claus (1929-2008), l’autore del famoso romanzo La sofferenza del Belgio (Errico 1983), di cui ha pubblicato un’antologia (Paris 2007b). Ecco un campione delle sue versioni, da Bredero:
Ghy weet wel veel, so ghy dijn selven kend,
Wat dat ghy waert, wat dat ghy word in ’t end,
Slijm, stof en stanck, der wormen aes, en aert:
Dees kennis baert geen eer-sucht, noch hoovaert.Se conosci te stesso sai molto bene
Che tornerai quel che eri alla fine.
Fango, polvere, cibo per vermi e terra,
Saperlo superbia certo non procura (Paris 1999, 726-727)
e un altro da Claus:
Laten de stenen als sterrebeelden achter
En bevrijden – zij, de zee en haar schuimbekkende beesten –
De maan in de vrouwen, de tanden in mijn mond.Dietro di sé pietre, come costellazioni, si lasciano
E liberano – loro, il mare e la sue bestie bavose –
La luna in tutte le donne, nella mia bocca i denti (Paris 2007, 44-45)
Francesca Terrenato (1968) va citata in questo contesto anzitutto per il suo interesse per la letteratura afrikaans. Segnaliamo le sue presentazioni delle scrittrici Antjie Krog e Ronelda Kamfer in Terrenato 2012 e in Laurentano, Napoli, Raffaelli 2015.
Non sempre è facile reperire traduzioni isolate. È il caso delle versioni che Herman van der Heide (1950) presenta all’interno del suo saggio su Gerrit Achterberg(Van der Heide 2003). Achterberg (1905-1962) è uno dei poeti più ermetici della poesia olandese novecentesca.Per esempio:
Een schim, diagonaal tot in de nokken,
Godsdienst hing zwaar tegen de hanebalken.
Zijn aderen beginnen te verkalken.Un’ombra, obliqua fino al soffitto.
La religione pendeva pesantemente contro le travi.
Le sue vene iniziano a calcificarsi (pp. 154-155)
È anche il caso del poeta e studioso Gandolfo Cascio (1974), che ha tradotto Judith Herzberg (1934) in Cascio 2003.
Si vedano anche i testi poetici di Jan van der Noot, Pieter Corneliszoon Hooft e Daniël Heinsius, vissuti tra Cinque e Seicento, tradotti da Tina Montone (1974) in Montone 2004 (ma vedi anche Montone 2010).
Marco Prandoni studia i nuovi poeti di retroterra migratorio (su cui ha scritto il saggio Prandoni 2015), che conoscono oggi nei Paesi Bassi molto successo, come l’olandese-palestinese Ramsey Nasr (1974), poeta laureato d’Olanda tra 2009 e 2013, e il marocchino-olandese Mustafa Stitou (1974), di cui citiamo due versi paradigmatici:
ik ben de jonge Marokkaan
en zijn anderstalige gedachtensono il giovane marocchino
e i suoi pensieri in un’altra lingua (Koch, Paris, Prandoni, Terrenato 2012, 679)
Del tutto particolari sono le traduzioni, effettuate, con la collaborazione di Karin van Ingen Schenau, dal noto poeta dialettale Franco Loi di Willem van Toorn (Loi, Van Ingen Schenau 1994) e da Franco Buffoni di Leonard Nolens (Buffoni 2012; il testo è stato ritradotto da Giorgio Faggin nelle pagine introduttive di Prandoni, Van der Heide 2016).
Particolari sono pure le già citate traduzioni di Cucchi e Van Ingen Schenau (1981 e 1989).
Segnaliamo infine la poetessa Helma Maessen (1946), a lungo attiva presso l’Istituto Superiore per Interpreti e Traduttori di Milano, che si autotraduce in italiano (ma alcuni testi nascono in italiano e vengono tradotti in nederlandese) in Maessen 2009.
Chiediamo scusa a chi per avventura fosse stato qui, ingiustamente, dimenticato.
5. Presenze e assenze
Il grande assente del periodo classico è finora l’altra stella, ossia Pieter Corneliszoon Hooft. Ma mancano all’appello anche poeti olandesi di prima grandezza come Willem Kloos (1859-1938), Herman Gorter (1864-1927), Albert Verwey (1865-1937) e Frederik van Eeden (1860-1932: di questo vedi anche Mariatti 1921 e Paris 1996). Tra i poeti della prima metà del Novecento mancano gli olandesi Jakobus Cornelis Bloem (1887-1966), Hendrik Marsman (1899-1940), Adriaan Roland Holst (1888-1976), Martinus Nijhoff (1894-1953; ma degli ultimi due si aspettano a breve antologie presso l’editore Raffaelli, con traduzioni, dal primo, di chi scrive e, da Nijhoff, di Monica Puleo e di Giorgio Faggin), il belga Paul Van Ostaijen. Dei poeti sperimentali o di derivazione sperimentale nati negli anni venti e operanti dopo la seconda guerra mondiale sono stati tradotti soltanto i belgi Hugo Claus e Ben Cami (1920-2004); manca l’olandese Lucebert (Lubertus Jacobus Swaanswijk, 1924-1974: poeta e pittore, figura di prua dello sperimentalismo), manca il belga ermetico Jos de Haes (1920-1974). A rappresentare la grande tradizione della poesia olandese del Novecento c’è Rutger Kopland (1934-2012), per la generazione più recente Arjen Duinker (nato nel 1956) e il poeta performante Ruben van Gogh (nato nel 1967: Paris 2007c). Per il Belgio abbiamo Willem M. Roggeman tra quelli nati negli anni trenta (nel 1935), Leonard Nolens tra quelli nati negli anni quaranta (1947). Da alcuni anni, la Huis deBuren, associazione culturale con sede a Bruxelles volta a promuovere iniziative congiunte tra Fiandre e Olanda, insieme all’associazione «Het liegend konijn», pubblica una composizione del miglior debuttante in poesia, tradotta nelle lingue ufficiali dell’Unione Europea. I primi vincitori sono stati le poetesse Ester Naomi Perquin (di Utrecht, 1980) nel 2007, Ruth Lasters (anversese, 1979) nel 2009, Lieke Marsman (di Amsterdam, 1990) nel 2011 e Bernke Klein Zandvoort (di Amersfoort, 1987) nel 2013. Giorgio Faggin, traduttore di Perquin, ha poi passato il testimone a Marco Prandoni.
Precisiamo tuttavia che le assenze lamentate non sono totali: molti testi si trovano nelle antologie, nelle storie della letteratura o su riviste, a volte con una consistenza degna di rispetto. Già Lucebert, dopo le antologie di Nicosia e Van Woudenberg (1959), di Van Wassenaer-Crocini (1983) e di Schirinzi (1977), è stato ulteriormente rappresentato, come abbiamo detto, in Cucchi, Van Ingen Schenau (1989). Di Hans Faverey (nato nel 1939 in Suriname, morto ad Amsterdam nel 1990) Giorgio Faggin (1993) ha tradotto alcune liriche. Di Charles Ducal (pseudonimo di Frans Dumortier, 1952) è apparsa, sempre di Faggin, la versione di una generosa scelta. E mai come in questo caso, crediamo, il traduttore ha illustrato, nel concreto, la sua concezione del tradurre: «Secondo le buone tradizioni retoriche e scolastiche, la lingua italiana evita le ripetizioni»; «L’espressione originale è stata razionalizzata: ciò che si è perso in forza è stato guadagnato in chiarezza. Ma fino a che punto è lecito “depurare” un modulo espressivo volutamente “petroso” e a volte un po’ oscuro?» (Van Leeuwen, Faggin 1992, 93).
Anche le assenze, lamentate prima, di poeti della fine dell’Ottocento e del primo Novecento, sono parziali; si vedano ad esempio, la rivista «Hebenon» nel caso di Verwey (Prandoni 2012, con traduzioni di Faggin) e, nel caso di Adriaan Roland Holst (1888-1976), due delle antologie citate:
Laten wij niet meer hopen, laten wij
nimmermeer smeeken, en o, niet meer smaden –
Dit is het eind, het duisterend getij
van lage wolken en de storm der bladen.
Uit onze handen zijn de laatste daden
gevallen, en de regen waait voorbij.Non dobbiamo sperare, né implorare
né ingiuriare ormai. Questa è la fine,
l’abbuiata stagione delle nuvole
basse, dei tetri turbini di foglie.
L’ultimo gesto dalle nostre mani
è caduto, e la pioggia viene a vento (in Nicosia, Van Woudenberg 1959, 60-61)Ik stond toen in mijmerij
aan de scheemrende strand van de zee –
de wereld was achter mij,
en de zon zonk voor mij naar zeeIo stavo quel giorno a sognare
sul lido marino crepuscolare,
il mondo era dietro a me
e davanti a me il sole calava verso il mare (in Van Wassenaer-Crocini 1983, 34-35)
Possono verificarsi, in una situazione così fluida, dei doppioni. Doppioni che confermano il valore dell’originale e permettono una lettura diversa, appunto doppia, dello stesso testo. Scegliamo due esempi, tratti l’uno dalla poesia secentesca (Vondel) e l’altro da quella contemporanea.
Vondel nella traduzione di Luigi Calvo:
Il mio fedele Belial è partito sulle ali del vento per conoscere perché mai Apollione tardi tanto a far ritorno. Il principe Lucifero, di cui gode la piena fiducia, l’aveva inviato sulla terra affinché ci recasse più precise notizie circa la sorte felice di Adamo e la situazione in cui l’Onnipotente l’ha posto (Calvo, Antonini 1960, 15)
e in quella di Jean Robaey:
Il mio Belial andò a galleggiare sull’aria e sulle ali,
A vedere dove il nostro Apollion fosse rimasto.
Il Principe Lucifero lo mandò, a questo viaggio adatto,
Verso il regno terrestre, perché potesse conoscere da vicino
La salute e lo stato di Adamo, dove le Onnipotenze
Lo collocarono. […] (Robaey 1996, 51)
a fronte dell’originale:
Myn Belial ging hene op lucht en vleugels dryven,
Om uit te zien waer onze Apollion mag blyven.
Vorst Lucifer zondt hem, tot dezen toght bequæm,
Naer ‘t aertryck, op dat hy eens nader kennis naem’
Van Adams heil en staet, waer in d’Almogentheden
Hem stelden (Van den Vondel in Robaey 1996, 50).
E ora Nijhoff:
Een geur van hoger honing
verbitterde de bloemen,
een geur van hoger honing
verdreef ons uit de woning.
Reso, nella traduzione di Nicosia,Van Woudenberg 1959:
Un odore di miele più alto
inamariva i fiori,
un odore di miele più alto
ci scacciò dalla dimora (pp. 82-83).
e in quella di Faggin:
Profumo di alto miele
rendeva amari i fiori,
profumo di alto miele
ci cacciò dalle arnie (in Prandoni, Van der Heide 2016).
La contemporaneità appare comunque un campo aperto a tutte le scorrerie. Può capitare di considerare classico sulla sola onda del successo o del gusto personale un autore che poco dopo si rivela non così importante. Lo stesso rischio d’altronde è presente, come abbiamo visto, nel caso delle antologie.
Tra le case editrici ricordiamo, oltre alla faentina Mobydick, le milanesi Ariele, Crocetti, Medusa e la bolognese Bohumil.
Tra le riviste ricordiamo «Atelier», «Frontiera», «Gli immediati dintorni», «Hebenon», «In forma di parole», «Poesia», «Semicerchio», «Testo a fronte», «Tratti».
6. Caratteristiche generazionali e culturali
Il noto poeta Maurizio Cucchi parla con ragione, nella presentazione della piccola antologia Cucchi, Van Ingen Schenau (1981), di «uniformità» per i poeti nati negli anni trenta. (Egli riprenderà, adattandolo per l’occasione, lo stesso discorso nell’Introduzione all’antologia Van Ingen Schenau 1989, che comprende poeti belgi, per i quali non sempre – si veda il caso lampante di Claus – il discorso sembra legittimo.) Cucchi parla di «ricercatezza arida o comunque di intellettualismo», di «controllo razionale», di «sapiente equilibrio tra astrattezza e concretezza delle immagini».
Si legga, nella sua traduzione, Sulla lingua (Over de tong), di H.C. ten Berge (classe 1938):
De mond gaat open als een gouden doos,
de tong zwemt rond en zendt de woorden uit
bij tussenpoos
[…] Geen zinnebeeld meer, maar een beeld
van de zinnenLa bocca si apre come una scatola d’oro
la lingua gira, nuota e trasmette le parola
a intervalli
[…] Non è più senso dell’immagine ma immagine
dei sensi (in Cucchi, Van Ingen Schenau 1981, 210,212 e 246-247)
Tali caratteristiche sono proprie di una generazione, se non di una cultura, nella fattispecie olandese. Certo anche in Belgio esistono scrittori equiparabili… ma si resiste difficilmente alla tentazione di considerare la poesia fiamminga generalmente meno classica e più barocca di quella olandese, più aperta d’altronde alle problematiche sociali. Tale situazione dipende anche dalla storia della Fiandra, dalla crisi intellettuale che l’ha colpita così a lungo, dalla continua lotta contro la lingua e la cultura francese (lotta di cui si vedono tuttora gli effetti). D’altronde si potrebbe pensare che questa situazione abbia limitato, ristretto l’orizzonte degli scrittori fiamminghi, che gli olandesi abbiano potuto più facilmente innalzarsi…
Il realismo era per il fiammingo Paul van Ostaijen (1896-1928) il peccato originale dei fiamminghi. Ma «il realismo, il senso del concreto», per Gerda van Woudenberg (che lo dice a proposito di Jan Jakob Slauerhoff, nato nel 1898 nella settentrionale e frisona Leeuwarden e morto nel 1936 a Hilversum) «è tipico dell’arte olandese» (Nicosia, Van Woudenberg 1959, 29). C’entra anche il fatto che la Fiandra è tutta cattolica mentre i Paesi Bassi, se non certo tutti calvinisti, sono stati a lungo dominati dai calvinisti e il pensiero protestante ha comunque profondamente influenzato quello più generalmente olandese? In Mor, Weisgerber (1965, 9) si legge, a proposito della cultura belga: «Non è una cultura d’idee, ma di sentimenti». Molto misurato e verosimilmente vicino alla realtà è Van Leeuwen, quando accenna, a proposito del poeta Ducal, a un «nutrito filone sud-neerlandese improntato a concretezza e a corposità locutiva» e aggiunge: «Senza voler generalizzare, si può affermare che la monumentalità, la sensualità e il gusto musicale della parola sono caratteristiche piuttosto sud-neerlandesi che nord-neerlandesi» (Van Leeuwen, Faggin 1992, 93 e 92).
Per quanto riguarda gli ultimi trent’anni rimane indicativa l’apparizione in Fiandra dei cosiddetti «nuovi romantici»: pensiamo anzitutto a Dirk van Bastelaere (classe 1960), non ancora uscito, salvo errori, in italiano. Tra i nuovi poeti si segnala Charles Ducal (1952), dotato di una scrittura molto controllata; ma non mancano, anche in lui, accenti che rischiano di incrinare la forma stringata:
ik werk op stom bevel
aan jaren van verlies.
Nu weet ik dat de hel
bestaat: de hel is niets.Un muto comando mi fa lavorare
anno per anno in perdita.
Ora so che l’inferno
esiste: l’inferno è niente (Faggin, Nadiani 1998, 28-29)
Mi basta avere posto queste domande, accennato a questi problemi.
Per quanto riguarda i giovani poeti contemporanei risulta molto difficile ogni tipo di storicizzazione: l’apporto più rilevante sembra quello dei poeti migranti, ai quali l’Italia risulta attenta.
7. Una precisazione, una dedica e un grazie
Precisiamo che i Paesi Bassi, il Belgio nederlandofono e il Suriname sono particolarmente sensibili alla traduzione del proprio patrimonio letterario. La «Taalunie» (Unione linguistica), che raggruppa i tre paesi, applica da anni una concreta assistenza ai traduttori e alle case editrici: molti dei libri citati hanno ricevuto un contributo dalla «Taalunie».
Dedico questo contributo al già ricordato Guido Leotta e all’amico Riccardo Rizza, scomparso quindici anni fa, autore di Rizza 1987, un libro ancora utile per chi si interessa di nederlandese in Italia.
Ringrazio per l’aiuto Marco Prandoni.
Riferimenti bibliografici
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Calvo, Antonini 1960: Joost van den Vondel, Lucifero, a cura di Luigi Calvo e P. Antonini, Edizioni Paoline, Roma
Cascio 2003: Judith Herzberg, Canto all’infinito, a cura di Gandolfo Cascio, in «Poesia» 168, gen. 2003, pp. 72-75
Conte 1990: La lirica d’Occidente. Dagli Inni omerici al Novecento. Antologia, a cura di Giuseppe Conte, Guanda, Parma
Cucchi 1991: Maurizio Cucchi, Sulla deperibilità del testo poetico tradotto. Lamartine, per esempio…, in «Testo a fronte» 4, mar. 1991, pp. 101-111
Cucchi, Van Ingen Schenau 1981: Maurizio Cucchi e Karin van Ingen Schenau, Cinque poeti olandesi, in Poesia due, Guanda, Milano
– 1989: Lucebert. Il sonno la sua ombra, a cura di Maurizio Cucchi e Karin van Ingen Schenau, in «Poesia», 11, nov. 1989, pp. 25-30
De Micheli 1964: Guido Gezelle, Cedole di poesia, a cura di Maria Vailati, traduzione di Mario De Micheli, Poiesis, Milano
Dèr Mouw 1980: Johan Andreas dèr Mouw, ’K ben Brahman. Maar we zitten zonder meid. Een bloemlezing uit zijn gedichten door Gerrit Komrij, Bert Bakker, Amsterdam 1980
Errico 1983: Hugo Claus, La tristezza del Belgio, traduzione di Giancarlo Errico, revisione di Giulia Cortese, Milano, Feltrinelli (da Het verdriet van België, Amsterdam, Bezige Bij 1983)
Fabbri, Nadiani, Van Leeuwen 1992: L’equilibrio delle parole. Poeti traducono poeti, Laboratorio di traduzione italiano–neerlandese, neerlandese–italiano, a cura di Andrea Fabbri, Giovanni Nadiani e Charles van Leeuwen, Moby Dick, Faenza
Faggin 1968: Giorgio Faggin, La pittura ad Anversa nel Cinquecento, Marchi e Bertolli, Firenze
Faggin 1969: Giorgio Faggin, L’opera completa di Memling, Rizzoli, Milano
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– 1993: Hans Faverey, tradotto da Giorgio Faggin, in «Tratti» 32, 1993, pp. 52-58
– 1994: Maurice Gilliams, Elegie fiamminghe, a cura di Giorgio Faggin, Mobydick, Faenza
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– 2005: Guido Gezelle, Karel van de Woestijne, Jan van Nijlen, Richard Minne, Paul van Ostaijen, Maurice Gilliams. Lirici fiamminghi, a cura di Giorgio Faggin, Mobydick, Faenza
– 2015: Gli Ottantisti (Tachtigers). Poesia olandese tra Otto e Novecento, a cura di Giorgio Faggin, Accademia Olimpica, Vicenza
Faggin, Nadiani 1998: Poesia fiamminga contemporanea, a cura di Giorgio Faggin e Giovanni Nadiani, Mobydick, Faenza
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