di Frédéric Ieva
In memoria matris amicae
Prologo
16 giugno 1944: 30 partigiani vennero prelevati dal sinistro carcere di Montluc e trasportati nella notte a circa 25 chilometri a nord di Lione. Sul cammino che va da Trevoux a Saint-Didier-de-Formans nella località detta Les Roussilles (Febvre 1944, 5) i prigionieri vennero fatti scendere a gruppi di quattro. Le ultime parole di Marc Bloch, prima di essere falciato dalle mitragliatrici tedesche, furono «Viva la Francia!» (Febvre 199517, 12); Schöttler 2014, 8); due prigionieri, Jean Crespo e Charles Perrin, scamparono miracolosamente alla morte. Il 4 febbraio 1946 Perrin rilasciò una testimonianza in cui precisava che i prigionieri erano stati freddati con sventagliate di mitra. Alla prima raffica Perrin era rimasto ferito al petto, alla seconda j’ai reçu trois balles dans la tête. J’ai perdu connaissance (Bloch É. 1997, 85: sono stato colpito da tre proiettili alla testa. Ho perso conoscenza – salva diversa indicazione, tutte le traduzioni sono mie). Bloch era stato arrestato l’8 marzo 1944, e l’informazione era stata diffusa immediatamente dalla stampa. Sin dal 16 marzo il «Völkischer Beobachter» (L’Osservatore popolare, organo ufficiale del partito nazionalsocialista dal 1920) dava la notizia che era stato preso un capo della resistenza lionese. L’informazione era riportata in un telegramma del 21 marzo dell’ambasciatore tedesco presso il governo di Vichy, Otto Abetz, il quale sottolineava che la stampa francese aveva dato un grande risalto alla Verhaftung Generalstabe der französichen Widerstansbewegung in Lyon durch französiche Polizei. Chef […] war französicher Jude Namens Block mit Pseudonym Narbonne (Bloch É. 1997, 87: cattura capo stato maggiore del movimento di resistenza francese a Lione grazie polizia francese. Capo […] era ebreo francese nome Block [sic], con pseudonimo Narbonne). Dei mesi di prigionia di Bloch si sa molto poco se non che fu ripetutamente torturato nei mesi di marzo-maggio. La moglie Simonne Vidal, già gravemente malata, non sopravisse a lungo al decesso di Bloch, spegnendosi il 2 luglio 1944 in un ospedale di Lione dove si era recata alla disperata ricerca di notizie sulla sorte del marito (Bloch É. 1997, 17).
La morte di Bloch fu accertata ufficialmente agli inizi di novembre 1944. Da allora Lucien Febvre iniziò a coltivare in diverse occasioni la memoria dell’amico e collega celebrando sia il suo attaccamento alla Francia sia il suo pensiero storico, e promuovendo la pubblicazione di una serie di suoi testi rimasti inediti o incompiuti. Il 26 giugno 1945, Febvre pronunciò un discorso in suo onore durante la cerimonia organizzata dall’Università e dalle associazioni della Resistenza (in rappresentanza delle quali parlò anche Georges Altman) nell’aula magna della Sorbona (Febvre 1945a, 1) e alcuni mesi dopo tornò a parlare della sua opera storica (Febvre 1945b). Il dialogo con l’amico sarebbe rimasto costante, poiché sino alla sua morte, sopravvenuta nel 1956, Febvre scrisse ogni anno, esclusi il 1948 e il 1952, uno o due saggi su Bloch, come si può facilmente dedurre dalla consultazione della bibliografia dei suoi scritti (Müller 1990).
In questa ricostruzione del suo legame con Bloch, funzionale soprattutto alla celebrazione del successo delle «Annales», Febvre mise in luce solo i punti in comune della loro visione della storia, senza fare parola dei loro profondi dissidi. Infatti il legame di salda amicizia tra i due storici era stato anche attraversato da scontri e da violenti contrasti, l’ultimo dei quali svoltosi in piena guerra, nel 1941, quando a causa della stretta antisemita imposta dalla legislazione del governo di Vichy, Febvre aveva chiesto all’ebreo Bloch di uscire dalla direzione delle «Annales», per non essere costretto a interrompere la pubblicazione della rivista da loro fondata nel 1929. Da parte di Febvre si trattò solo di un doloroso espediente, in quanto la rivista sostanzialmente non mutò la sua linea editoriale e Bloch avrebbe continuato a collaborare sotto lo pseudonimo di Marc Fougères, località nei pressi di Guèret, dipartimento della Creuse, nella Nuova Aquitania, in cui egli si era ritirato con la famiglia nella sua casa di campagna (Bloch, Febvre 2003, 125-128; Fink 1999, 278-281). A cavallo tra Ottocento e Novecento l’antisemitismo si era ampiamente diffuso in Francia ed era culminato nell’Affaire Dreyfus, evento cruciale anche nella formazione di Febvre e Bloch. Quest’ultimo ne fece le spese, in particolare, quando alla fine del 1938 aveva dovuto rinunciare a candidarsi alla presidenza dell’École Normale Supérieure (ENS) a causa dell’antisemitismo che pervadeva alcuni ambienti intellettuali francesi.
L’episodio gli aveva ispirato amare riflessioni sulla propria identità. Nella lettera del 12 novembre 1938 inviata a Febvre Bloch osservava: Je suis juif: je ne suis pas un juif antisémite. Et au regard de la loi […] je ne me sens rien d’autre qu’un citoyen français (Bloch, Febvre 2003, III, 45: Sono ebreo: ma non sono un ebreo antisemita. E verso la legge […] mi sento solo un cittadino francese). In una lettera successiva Bloch mostrava di essere conscio dell’insidioso e pericoloso antisemitisme ambiant (M. Bloch, Febvre, 2003, 49: antisemitismo diffuso), ma di fronte a questi atteggiamenti rispondeva tenace Je suis Français. Un point c’est tout (ivi: Sono francese, punto e basta»). Altre lucide riflessioni sul tema Bloch espresse in un passo, spesso citato, di L’étrange défaite: Je suis juif, sinon par la religion, que je ne pratique point, non plus que nulle autre, du moins par la naissance. […] Je ne revendique jamais mon origine que dans un cas: en face d’antisémite (Bloch 1990, 31) («Sono ebreo. Se non di religione – che non pratico affatto, come nessun’altra religione del resto – almeno di nascita. […] Non rivendico mai la mia origine salvo che in un caso: quando mi trovo di fronte a un antisemita» – Res Gestae 2014, 22).
Le edizioni dell’Apologie
L’aperto dissidio tra i due storici venne superato, come dimostra la lettera-dedica di Bloch a Febvre del 10 maggio 1941 apposta in principio al manoscritto dell’Apologie de l’histoire (cfr. anche Daix 1995, 187-200). In quest’opera Bloch compiva «“un esame di coscienza” globale» (Pitocco 1997, LII), una messa a punto che egli riteneva necessaria di fronte alle numerose critiche che venivano mosse al sapere storico, a partire dagli attacchi di Paul Valéry, autore dei corrosivi Regards sur le monde actuel (Sguardi sul mondo attuale; cfr. Papparo 1994), apparsi nel 1931 (Musté 2003, 56; Mastrogregori 1995, 11-15). Bloch mirava a confutare il concetto di tempo astratto e soprattutto «i tentativi di dividere il passato e il presente, di operare una frattura sul corpo vivo della storia» (Musté 2003, 56) e lo faceva utilizzando, almeno nelle sue parti compiute, un linguaggio chiaro e convincente, teso a dimostrare l’unità esistente tra passato e presente. Questa teoria implicava il corollario di sapore crociano che la conoscenza del passato poteva avvenire solo attraverso quella del presente (cfr. Musté 2003, 57-58).
La prima edizione dell’Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien uscì nel 1949 e fu ristampata periodicamente (nel 1991 uscì l’ottava ristampa). Nel 1993 vide la luce una nuova edizione curata e annotata da Étienne Bloch, figlio di Marc, che conobbe anch’essa numerose ristampe, l’ultima delle quali è del 2018. Le due edizioni totalizzarono complessivamente 21 ristampe (Bloch É. 1997, 135). La seconda edizione include la stesura definitiva e quella originaria, quest’ultima assente nella prima. Non tutti gli storici sono concordi sul fatto che la seconda edizione sia da considerarsi migliore e più completa della prima. François-Olivier Touati, per esempio, dopo aver citato la settima ristampa dell’opera (del 1974) scrisse molto esplicitamente che era préférable à l’édition donné par É. Bloch (da preferire all’edizione curata da Étienne Bloch – Touati 2007, 281), ma già alcuni anni prima la seconda edizione francese aveva suscitato le fondate riserve di Massimo Mastrogregori, autore di una dura recensione, cui replicò lo stesso Étienne Bloch (Mastrogregori 1998a; Bloch É. 1998). D’altra parte le edizioni francesi del 1949 e del 1974 sono state criticate per l’alto numero di refusi da Marleen Wessel, la traduttrice e curatrice dell’edizione olandese dell’Apologie (Wessel 1991, 156, nota 7), e dallo stesso Mastrogregori, il quale ha dimostrato che la versione originale è stata corrotta in almeno due punti, quando Febvre, per motivi non noti, omise due capoversi rendendo il testo di Bloch più oscuro (1989).
L’opera incompiuta di Bloch ebbe un’eco mondiale e divenne uno dei testi simbolo della scuola delle «Annales». E’ stato calcolato che in Francia tra il 1949 e il 1990 sono state vendute circa 35.800 copie del libro, cui vanno sommate le 3000 copie vendute (sino al 1995) della nuova edizione del 1993 (Bloch É. 1997, 135). All’estero l’opera è stata tradotta in ventuno paesi e in quindici lingue, ma su questo punto la bibliografia degli scritti di Marc Bloch non ci è di nessun aiuto, perché curiosamente non sono state segnalate tutte le numerose traduzioni delle sue opere (Bloch 2011, 1032-1104, cui segue l’addenda alle pagine 1105-1108).
La prima edizione in lingua straniera fu quella italiana del 1950 (e non del 1952, come scrive erroneamente Étienne Bloch 1997, 135), cui fecero seguito le altre edizioni segnalate nella tabella che segue.
Traduzioni de L’Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien
Anno | Nazione | Titolo | Traduttore/trice | Editore | Note |
Dalla prima edizione francese del 1949 | |||||
1950 | Italia | Apologia della storia | Carlo Pischedda | Torino, Einaudi | II ed., a cura di Girolamo Arnaldi, 1969 (1997 XIX ristampa) |
1952 | Messico, Spagna (castigliano), Argentina | Introducción a la Historia | Pablo González Casanova, Max Aub | Mexico- Madrid-Buenos Aires, Fondo de cultura ecónomica | Complessivamente 116.500 copie |
1953 | Stati Uniti | The Historian’s Craft | Peter Putnam | New York, Alfred Knopf | Introduzione di Joseph R. Strayer |
1954 | Gran Bretagna | The Historian’s Craft | Peter Putnam | Manchester University Press | Dalla settima edizione, 1992, Prefazione di Peter Burke |
1956 | Giappone | Rekishi no tame no benmei – Rekishika no shigoto | Sanui Tetsuo | Tōkyō, Iwanami shōten | |
1960 | Polonia | Pochwała historii czyli o zawodzie historyka | Wanda Jedlicka | Warszawa: Państwowe Wydawnictwo Naukowe (PWN) | Revisione e introduzione di Witold Kula (Ristampe nel 1962 e nel 2009) |
1965 | Portogallo | Introdução à História | Maria Manuel Miguel, Rui Grácio | Lisboa, Publicações Europa-America | Sei ristampe sino al 1993 |
1967 | Repubblica Ceca | Obrana historie, aneb, Historik a jeho řemeslo | Alena Ondrušková | Praha, Svoboda | Ristampa nel 2011 |
1971 | Cuba | Apología de la historia o el oficio de historiador | Juan José Soto | La Habana, Ed. de ciencias sociales-Instituto cubano del libro | Prefazione Salvador Morales (20.000 copie) |
1973 | URSS | Mark Blok, Apologija istorii ili remeslo istorika | E.M. Lysenko | Moskva, Izdatel’stvo Nauka | Note di Aron Jakovlevič Gurevič |
1974 | Germania | Apologie der Geschichtswissenschaft oder Der Beruf des Historikers | Siegfred Furtenbach | Stuttgart, Klett Cotta | Ristampe nel 1982, 1985 e 1992 (rivista da Friedrich J. Lucas) |
1974 | Ungheria | A történelem védelmében: válogatott művek |
Domokos Kosáry, László Makkai, Pál Pataki |
Budapest, Gondolat | A cura di Domokos Kosáry |
1983 | Estonia | Ajaloo apoloogia ehk Ajaloolase amet | Enn Tarvel | Tallinn, Eesti Ramat | |
1984 |
Spagna (catalano) |
Apologia de la Historia | Catarina Molina Compte | Barcelona, Editorial Empuries | |
1986 | Venezuela | Apología para la historia o el Oficio de Historiador | (Traduttore/trice ignoto/a) | Caracas-Barquisimeto, Fondo editorial Lola de Fuenmayor-Fondo Editorial Buría | Tiratura di 5000 copie |
1989 | Olanda | Pleidooi voor de geschiedenis of Geschiedenis als ambacht | Marleen Wessel | Nijmegen, Sun | Postfazione di M. Wessel. Altra ed. Amsterdam, Boom uitgevers, 2001 |
2016 | Italia | Apologia della storia o mestiere di storico | Cesare Panizza | Alessandria, Edizioni Falsopiano | Note e prefazione di Cesare Panizza |
Dalla seconda edizione francese del 1993 | |||||
1996 | Messico | Apología para la historia o el oficio de historiador | María Jiménez, Danielle Zaslavsky; María Antonia Neira B. (prefazione di Jacques Le Goff) | Mexico, Fondo de cultura ecónomica |
Presentazione di Carlos Antonio Aguirre Rojas. II ed. 2001. IVa ristampa 2018. |
1997 | Portogallo | Introdução à História | Maria Manuel Miguel, Rui Grácio e Vitor Romanceiro | Lisboa, Publicações Europa-America | I ed. critica; II edizione:2010 |
1998 | Italia | Apologia della storia o Mestiere di storico | Giuseppe Gouthier | Torino, Einaudi | Prefazione di Jacques Le Goff, nota di Étienne Bloch, III ristampa 2009 |
2002 | Brasile | Apologia da História ou O Ofício de Historiador | André Telles | Rio de Janeiro, Jorge Zahar Editor | Presentazione di Lilia Moritz Schwarcz |
2002 | Israele | Apologiya al ha-historiya | Zvia Zmiri | Jerusalem, Bialik Institute | A cura e con prefazione di Benjamin Z. Kedar |
2002 | Germania | Apologie der Geschichtswissenschaft oder Der Beruf des Historikers | Wolfram Bayer | Stuttgart, Klett-Cotta | A cura di Peter Schöttler. III ristampa 2016 |
2004 | Giappone | Rekishi no tame no benmei – Rekishika no shigoto | Matsumura Takeshi | Tōkyō, Iwanami shōten | |
2011 | Repubblica Ceca | Obrana historie, aneb, Historik a jeho řemeslo | Helena Beguivinová | Praha, Argo |
Fonti: Bloch É. 1997, 135 e 137; Mastrogregori 1995, 131-132.
All’inizio del nuovo secolo le copie vendute in tutto il mondo erano circa mezzo milione (Mastrogregori 2002, 179) e di queste quasi un terzo erano state acquistate nell’America latina. La nuova edizione inoltre è stata tradotta in diversi paesi tra i quali Italia, Brasile e Israele. Nell’ambito di queste considerazioni sulla diffusione del testo di Bloch, un discorso a parte merita l’America latina, dove l’Apologie si era diffusa molto precocemente, tanto che dal 1952 al 1996 oltre a quella brasiliana si contarono ventisei edizioni o ristampe in quattro paesi latinoamericani ispanofoni (Aguirre Rojas 1997; Ríos Gordillo 2007), che permisero una diffusione dell’opera anche in Guatemala, Ecuador e Bolivia. Una ragione va individuata nel suo utilizzo come libro di testo in alcuni licei, sicché tra il 1952 e il 1997 si è stimato che la tiratura complessiva sia stata di 150.000 copie, risultato della somma delle tirature delle edizioni cubana (1971), argentina (1982) e venezuelana (1986).
La genesi dell’opera
L’opera di Bloch sul metodo storico era nata in condizioni particolari sulle quali conviene soffermarsi. L’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale fu presentito con crescente disagio dai reduci, e pluridecorati, della grande guerra Bloch e Febvre. Con amara lucidità, nel marzo o aprile del 1939 Febvre scrisse a Bloch a proposito di Benito Mussolini e Adolf Hitler:
Un pauvre diable d’instituteur romagnol, phobique, plein d’idées de sorcellerie, de superstitions, d’absurdités apprises et héritées […] et un peintre en bâtiment inculte et ignare des Alpes autrichiennes […] vouent le monde à l’anéantissement. Car la France n’y résistera pas. Le problème n’est pas de savoir si elle sera “victorieuse” ou “vaincue”. Elle perdra, une fois de plus, son sang le plus pur […] c’est la fin de l’Europe. Je veux dire de la culture européenne telle que nous l’avons connue, aimée et servie (Bloch, Febvre 2003, 58).
Un povero diavolo di maestro romagnolo, fobico, pieno di idee di stregoneria, di superstizioni, di assurdità imparate o ereditate […] e un imbianchino incolto e ignaro delle Alpi austriache […] votano il mondo all’annientamento. La Francia non resisterà. Il problema non è di sapere se la Francia sarà “vittoriosa” o “vinta”. […] Perderà ancora una volta il suo sangue più puro […] è la fine dell’Europa. Voglio dire della cultura europea come l’abbiamo conosciuta, amata e servita» (Ieva 2016, XIX-XX).
Quanto a Bloch, critico sin dal 1938 dell’operato della classe politica francese, scriveva a Febvre con tagliente ironia: Avoir fait Versailles et la Ruhr pour aboutir à l’Espagne et à Munich – oui vraiment nos classes “dirigeantes” ont bien travaillé (Bloch, Febvre 2003, 38: «Aver fatto Versailles e la Ruhr per arrivare alla Spagna e a Monaco, sì decisamente la nostra classe “dirigente” ha lavorato bene!» – Ieva 2016, XX).
Il capitano Marc Bloch, più giovane di otto anni di Lucien Febvre essendo nato a Lione nel 1886, venne mobilitato nell’autunno del 1939. Testimone della “strana disfatta”, nel 1940 stilò un feroce atto di accusa contro i dirigenti politici e militari, colpevoli di non aver saputo evitare alla Francia l’umiliante sconfitta non solo militare, ma soprattutto intellettuale, circostanza assai grave agli occhi di Bloch (Mastrogregori 1995, 50; Noiriel 1994, 123, Pitocco 1997, LVII). Sin da allora nella sua coscienza si agitava il dilemma se sarebbe stato più utile come docente di storia o come uomo d’azione nella Resistenza, dove finì per assumere un ruolo di responsabilità nell’organizzazione Franc-Tireur, operativa nella regione di Lione (Mastrogregori 2015).
Come è stato ricostruito con dovizia di particolari (Mastrogregori 1995, 81; per altri dettagli su tali vicende Fink 1999, 306; Wessel 1991, 154-155), Bloch attese alla stesura dell’Apologie a fasi alterne tra la fine del 1940 e il marzo del 1943. La sorte del manoscritto non è chiara e sono state formulate due ipotesi: dopo alcune peripezie, esso venne riconsegnato ai familiari di Bloch alla fine della guerra oppure fu affidato alla propria famiglia dallo stesso Bloch poco prima di essere catturato.
I problemi testuali connessi a quest’opera incompiuta sono estremamente complessi.
Comincio dal titolo. Bloch ne aveva pensati due: o Apologie pour l’histoire o Métier d’historien, belli entrambi, affermò Febvre (1945, 4). Come ha giustamente notato Arnaldi, la trattazione esistente descrive il mestiere dello storico, mentre la parte ancora da scrivere sarebbe stata dedicata all’apologia della storia (Arnaldi 2010, 84). Il piano originale dell’opera prevedeva un testo articolato in sette capitoli, una conclusione e forse, se si tiene fede a un sommario intermedio, un’appendice. Bloch riuscì a scrivere solo quattro capitoli e un frammento del quinto. Egli fece il punto del suo lavoro di stesura in una lettera indirizzata a Febvre il 2 marzo 1943, e, dopo avergli esposto il piano dell’opera sino al quarto capitolo, concluse:
Il me manque encore un chapitre sur les divisions chronologiques. Suivront (avec coupures à déterminer) l’expérience historique, le problème des causes et de la prévision et la conclusion avec, à l’«expérience» sans doute, le délicat et peu durkheimien chapitre sur l’événement (Bloch, Febvre 2003, 239).
Mi manca ancora un paragrafo [sic] sulle divisioni cronologiche. Seguiranno (con divisioni da definire) l’esperienza storica, il problema delle cause e della previsione e la conclusione (e insieme – con l’«esperienza», senza dubbio – il delicato e poco durkheimiano paragrafo [sic] sull’avvenimento) (Bloch É. 1998, L).
Anche i manoscritti dell’Apologie conobbero delle vicende complesse. Nel secondo dopoguerra il figlio di Bloch trovò cinque voluminosi dossier che comprendevano tutti i materiali dell’opera. Dopo un’analisi sommaria di queste carte, Étienne Bloch consegnò tre dei cinque dossier a Febvre, che stabilì nel 1946 un testo originale dell’Apologie inserendo talora brevi periodi di sutura per renderlo più coerente. Tale manoscritto fu in parte ripreso e preparato per la prima edizione francese del 1949, cui seguì immediatamente l’edizione italiana del 1950.
Seri e approfonditi studi sulle carte di Bloch e di Febvre si poterono avviare solo dopo il 1985, anno della morte di Fernand Braudel, il quale sino ad allora aveva custodito gelosamente, e non sempre in maniera accurata, parte dell’archivio del suo maestro Febvre e soprattutto si era opposto alla pubblicazione del carteggio Bloch-Febvre, in quanto riteneva che vi fossero trattati degli argomenti scabrosi come i duri contrasti che c’erano stati tra i due storici. Questa corposa corrispondenza infatti venne edita solo tra il 1994 e il 2003 in tre volumi curati da Bertrand Müller e editi per i tipi della Fayard. Nella seconda metà degli anni ottanta Massimo Mastrogregori studiò a fondo le carte di Bloch e diede conto dei primi risultati delle sue ricerche in un articolo del 1989 apparso sulle «Annales». Egli si rese anche conto che Febvre, nel suo lavoro di edizione del testo di Bloch, in due punti aveva omesso alcuni capoversi, pubblicati dallo stesso studioso italiano intorno alla metà degli anni novanta (Mastrogregori 1996). Alla luce di queste scoperte divenne sempre più urgente preparare una nuova edizione dell’Apologie, incarico che Étienne Bloch affidò a Mastrogregori. In seguito, però, tra i due si aprirono dissidi insanabili (Mastrogregori 2002, 180; Arnaldi 2010, 109) e lo studioso italiano non poté più curare la nuova edizione dell’Apologie, né dare alle stampe alcuni taccuini di lettura inediti di Bloch (Bloch 2016; ma si veda anche Mastrogregori 1998b). Senza entrare nella controversia tra Étienne Bloch e Mastrogregori, si deve però segnalare che lo storico tedesco Peter Schöttler mosse un duro attacco al figlio del grande storico accusandolo di rendere difficile l’accesso alle carte del padre (Schöttler 2011, 12). Così le nuove edizioni francesi uscirono a cura di Étienne nel 1993, contenente anche i testi della stesura originaria, e nel 1997. Entrambe furono molto criticate da Mastrogregori (1998a, 377-380), al quale rispose, con argomenti un poco deboli a parer mio, Étienne Bloch (1998, 728-730).
L’edizione francese del 1993 fu presentata con la seguente dicitura in copertina: Édition critique préparée par Étienne Bloch. Ma nell’edizione italiana Einaudi preferì far cadere l’impegnativa definizione di «edizione critica», perché in realtà il figlio di Bloch si era limitato a pubblicare la redazione definitiva dell’Apologie, cui aveva fatto seguire – come s’è detto – la prima stesura (tratta dai due dossier che non aveva consegnato a Febvre nel 1945). Fece seguito una seconda edizione francese del 1997 dove in frontespizio, e non più nella prima di copertina, ci si limitò a segnalare che si trattava di una Édition annotée par Étienne Bloch. In essa si ripubblicava il testo, modificato, della prefazione di Jacques Le Goff, e veniva omesso il testo della prima redazione (aspetti in parte segnalati da Mastrogregori 1998a).
Le traduzioni italiane
Descritte le complesse vicende editoriali francesi nelle loro linee principali, possiamo ora riprendere a ragionare sulla sua fortuna italiana. L’opera incompiuta di Bloch venne tradotta quasi subito, grazie all’entusiasmo di un giovane studioso italiano, laureatosi alla Sorbona nel 1946, Franco Venturi. Figlio di Lionello, uno dei dodici docenti universitari che avevano rifiutato di prestare giuramento di fedeltà al fascismo, Venturi venne a conoscenza dell’opera manoscritta dello storico francese nel corso del suo soggiorno parigino del 1946 in occasione di una sua visita a Étienne Bloch (Munari 2016, 117).
Venturi frequentava l’ambiente delle edizioni Einaudi almeno dall’estate del 1943 (Munari 2011, 3), divenendo un partecipante assiduo delle riunioni redazionali a partire dal 1945 (e vi prese parte sino al 1968) e dando un forte impulso alle traduzioni di saggistica storica. In una lettera del 23 maggio 1946 Venturi riferiva i risultati di una serie di discussioni avute con Antonio Giolitti e Federico Chabod. In questi colloqui si era parlato anche di Bloch, che Chabod considerava «un grande storico» (Munari 2011, 52). A una prima reazione molto positiva da parte di Giulio Einaudi subentrò un atteggiamento improntato a una maggior prudenza. L’editore diede l’incarico a Cesare Pavese di rispondere con una lettera cauta alle numerose proposte di traduzione avanzate da Venturi perché fossero inserite nella collana «Biblioteca di cultura storica». Infatti il 13 agosto 1946 Pavese scriveva a Venturi che Einaudi non era d’accordo «per tutti gli storici che vuoi tradurre» e in particolare, per quanto riguardava le opere di Bloch, dava sì il suo assenso alla traduzione della Société féodale, ma riteneva che l’Apologie fosse «d’interesse troppo specifico» (Pavese 1966, 84).
In sostanza, di Bloch Venturi aveva promosso la traduzione di quattro opere. Alcuni suoi suggerimenti vennero accolti subito, gli altri sarebbero stati inseriti nella programmazione editoriale solo molti anni dopo. Così delle proposte formulate da Venturi dopo la Liberazione si diede subito seguito a due: La société féodale (Bloch 1939-1940) e il Métier d’historien (Bloch 1949), a proposito del quale probabilmente gli argomenti di Venturi erano stati così convincenti da far cadere le riserve dell’editore. Gli altri due suggerimenti di Venturi circa l’edizione italiana di Les caractères originaux de l’histoire rurale française (1931) e del «volume curiosissimo» (Munari 2011, p. 52) Les rois thaumaturges (1924) sarebbero stati seguiti solo più tardi, agli inizi degli anni settanta, in un contesto storiografico mutato e più favorevole alla ricezione della storiografia francese (Viarengo 2014, 150). Entrambe le opere furono pubblicate nel 1973. Se si presta fede a quanto si legge nel frontespizio, il traduttore dei Re taumaturghi sarebbe stato un certo Silvestro Lega. In realtà sembra trattarsi di un nom de plume, con un aperto riferimento al pittore ottocentesco, in quanto il vero traduttore fu Carlo Pischedda, che ricevette il contratto nell’ottobre del 1962 (AE, Pischedda), ma consegnò il dattiloscritto nei primi mesi del 1967. Sergio Caprioglio, un redattore della casa editrice (e curatore di alcune opere di Antonio Gramsci), disse nel corso della riunione editoriale di mercoledì 15 marzo 1967: «Informo Venturi che Pischedda ha consegnato, ben tradotto, il Bloch, Re taumaturghi» (AE, Verbali) e in quell’occasione fu Venturi a proporre di assegnare la prefazione a Carlo Ginzburg. L’offerta venne formalizzata nel marzo del 1967 da un altro redattore, Corrado Vivanti, che era stato alla scuola delle «Annales» (AE, Ginzburg). La casa editrice offrì a Pischedda un compenso di 675.000 lire, che gli furono versate a rate entro l’estate del 1968 (AE, Pischedda). Ma per ragioni di programmazione editoriale i Re taumaturghi vennero pubblicati solo nel 1973.
La traduzione de I caratteri originali della storia rurale francese invece era stata commissionata allo stesso Carlo Ginzburg, interessato alla figura dello storico francese sin dai tempi in cui, ventenne, frequentava i corsi della Scuola Normale di Pisa (Mores, Torchiani 2017, 77). Agli inizi del 1959 Ginzburg, per il tramite di Venturi, aveva fatto sapere alla casa editrice torinese di essere interessato a tradurre I caratteri originali (AE, Ginzburg). Un redattore, che non è stato possibile identificare, gli aveva chiesto una prova di traduzione, che il giovane normalista superò molto bene: «Sono lieto di dirle che lei ha superato brillantemente la prova (tanto più brillantemente in quanto il testo è difficile) e che, nonostante i suoi timori, lei dimostra molte, felici attitudini al tradurre, che ci fa sperare di avere in lei anche in futuro un valido collaboratore» (AE, Ginzburg). Ginzburg consegnò la traduzione nel marzo del 1961 a fronte di un compenso di 260.000 lire (AE, Ginzburg; si veda anche la Nota di pagamento del 29 maggio 1961). Fin dall’inizio degli anni sessanta quindi la traduzione era pronta, ma l’edizione italiana dei Caratteri originali della storia rurale francese uscì oltre un decennio dopo, con l’introduzione di Gino Luzzatto intitolata Marc Bloch e la storia dell’agricoltura.
La Società feudale vide la luce nel 1950 nella traduzione di un’allieva di Federico Chabod, Bianca Maria Cremonesi, la quale era stata segretaria di redazione di «Popoli», un periodico quindicinale con sede a Milano e diretto dallo stesso Chabod e da Carlo Morandi, le cui pubblicazioni erano durate solo dall’aprile del 1941 all’aprile del 1942 (Montenegro 1981). Cremonesi inoltre aveva raccolto le lezioni sull’idea di nazione tenute da Chabod a Milano nell’anno accademico 1943-1944. I suoi appunti erano così fedeli al pensiero del maestro che quest’ultimo tenne pressoché inalterato il testo approntato dalla Cremonesi nel fornire le dispense per il corso romano del 1946-1947 incentrato sul medesimo argomento, le quali fornirono il testo per il postumo libro di Chabod su quel tema (prefazione di Armando Saitta ed Ernesto Sestan, ora in Chabod 1993, 8). Nell’immediato postliberazione Cremonesi aveva svolto compiti di segreteria all’interno della casa editrice Einaudi. Ma, non ricevendo sufficienti garanzie da Giulio Einaudi, nel marzo del 1946 aveva preferito lasciare l’incarico, chiedendo però che le venissero affidati dei lavori di traduzione. Einaudi le scrisse personalmente l’8 aprile informandola che le aveva assegnato la traduzione della Société féodale a fronte di un compenso di 20.000 lire. Cremonesi consegnò il proprio lavoro agli inizi del 1948 e ricevette l’ultima rata di pagamento nell’estate del medesimo anno (tutto il carteggio in AE, Cremonesi).
La gestazione della traduzione dell’Apologie era stata un po’ più tortuosa in ragione delle vicissitudini editoriali francesi di cui s’è detto sopra. Lucien Febvre, in una lettera a Étienne Bloch del 7 marzo 1945, ipotizzava che l’uscita dell’Apologie sarebbe stata messa in programma da Gallimard per il 1947 (Mastrogregori 1995, 86-87); tuttavia, per ragioni ignote, tale progetto sfumò. Nel 1948 Febvre riprese il manoscritto di Bloch e lo preparò per la pubblicazione, e l’opera vide finalmente la luce nel 1949 per i tipi di Albin Michel con una tiratura di 3000 copie (Mastrogregori 1995, 88). Nel frattempo, nel 1948 Ubaldo Scassellati Sforzolini, consulente dell’Einaudi, chiese a Fernand Braudel, allievo di Febvre al quale era subentrato nelle trattative editoriali, di poter visionare il manoscritto dell’opera di Bloch. Era un segnale dell’interesse della casa editrice torinese verso l’Apologie che, subito dopo la sua pubblicazione in Francia, fu messa in lavorazione per l’edizione italiana, dato che, agli inizi del 1950, Paolo Serini, altro redattore della casa editrice che si occupava in particolare della produzione storiografica, affidò il testo di Bloch al giovane assistente di Piero Pieri, professore di storia moderna all’Università di Torino, Carlo Pischedda, «come test probatorio sulle sue capacità di traduttore» (Mastrogregori 1995, 115). Nello stesso anno l’Apologie venne pubblicata con un breve testo di Febvre scritto appositamente per il pubblico italiano. Il test venne superato, giacché in seguito Pischedda ricevette l’incarico di altri lavori di traduzione, tra cui quello molto impegnativo delle prime due edizioni, del 1949 e del 1966, della Méditerranée, riuscendo a soddisfare anche l’esigente Braudel, il quale nella Premessa all’edizione italiana della sua opera, dal titolo Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, elogiò pubblicamente Pischedda per la sua pregevole traduzione e per «aver riveduto seriamente tutto l’apparato critico della mia opera», eliminandone «così molti difetti» (Braudel 2002, XXXVI).
La fortuna italiana di Marc Bloch deve molto anche a un altro studioso italiano: il medievista Girolamo Arnaldi, laureato a Napoli nel 1951 sotto la guida di Ernesto Pontieri e professore di storia medievale presso l’Università di Bologna. Arnaldi, entrato in contatto con la casa editrice Einaudi verso la metà degli anni cinquanta tramite Franco Venturi, iniziò a discutere di progetti su Bloch dalla fine del 1964. In una lettera dell’11 dicembre, indirizzata probabilmente a Guido Davico Bonino, segretario generale della casa editrice, scrisse, a proposito dei libri che voleva adottare nel proprio corso:
Un’altra parte del mio corso verte sull’opera di Bloch. […] Cosa avete disponibile di Bloch? Se non sbaglio, nel vostro catalogo ci sono L’apologia della storia e La società feudale. Nel caso che il primo dei due sia esaurito, sarebbe forse il caso di ristamparlo; se vi decidete a farlo, dovreste pensare a una revisione della traduzione, che mi sembra inesatta in più di un luogo. Quanto alla Società feudale, vorrei sapere da lei se la copia che io possiedo, che è del 1949, è stata seguita da altre ristampe con correzioni (sempre per quello che riguarda la traduzione) (AE, Arnaldi).
Arnaldi era seriamente interessato a una nuova edizione dell’Apologia, al punto che Franco Venturi ne parlò in comitato editoriale il 24 marzo 1965:
Il medioevalista Gilmo Arnaldi ci propone di rilanciare L’apologia della storia di Bloch assieme a L’étrange défaite, un pamphlet bellissimo, per cui mi batto da vent’anni, che studia a caldo i motivi del crollo dell’esercito francese dell’ultima guerra. E si potrebbe chiudere il libro con lo straordinario Testamento. La proposta non è strana come sembra. Arnaldi è uno molto serio anche se lento (D’accordo: gli scriveremo) (AE, Verbali).
Le parole di Venturi furono profetiche in quanto il progetto editoriale sarebbe andato in porto solo nel 1969, sebbene profondamente diverso dalla sua ideazione originale. Cinque giorni dopo quella riunione Davico Bonino contattò Arnaldi:
Nell’ultima riunione del consiglio editoriale, Franco Venturi ci ha illustrato la Sua proposta di curare in un unico volume, della «Nuova Universale», l’edizione di Apologia della storia, seguita da Etrange defaite [sic], premettendovi un Suo saggio introduttivo. L’idea ci trova tutti favorevoli. Se Lei ci preciserà l’entità di questo lavoro, e una probabile data di consegna, noi potremo a nostra volta farLe una proposta di compenso (AE, Arnaldi).
La casa editrice torinese, quindi, non era contraria alla pubblicazione della Strana disfatta e Davico Bonino tornò sull’argomento il 21 maggio, confermando ad Arnaldi l’intenzione dell’Einaudi di inserire il doppio Bloch nella «Nuova Universale Einaudi» (NUE):
Bloch, Apologia della storia e Una strana disfatta: per questo volume pensiamo alla «NUE», come già si è detto. Lei dovrebbe impegnarsi, oltre a scrivere la prefazione, a rivedere la traduzione e i testi ove fosse necessario. Forse potrebbe essere utile, dato il carattere della collana, una cronologia della vita e delle opere di questo grande storico (AE, Arnaldi).
Del resto l’Einaudi aveva acquisito i diritti dell’Étrange défaite nel 1962 e nel marzo del 1963 ne aveva assegnata la traduzione, dietro compenso di 200.000 lire, a una traduttrice segnalata da Venturi, Hena Lombardi, la quale consegnò l’anno successivo (AE, Lombardi).
Arnaldi si mise a lavorare di buona lena sulla revisione delle traduzioni. Dopo essere rientrato da Parigi, dove aveva potuto consultare le carte dell’archivio di Bloch, promise di consegnare le traduzioni riviste nel corso dell’estate. Il 2 luglio 1965 scrisse a Davico Bonino:
Le invio una specie di errata-corrige della Società feudale. Purtroppo i miei allievi, che mi avevano promesso di portarmi le loro correzioni, non si sono fatti vivi. Si tratta quindi di appunti miei che avevo preso via via (non ho mai fatto una revisione sistematica). Prima di adottare le mie proposte di correzione, vagliatele una per una: non sono uno specialista in lingua francese e, in questo caso – ripeto –, non ho fatto un lavoro sistematico di revisione – come farò invece per l’Apologia della storia (AE, Arnaldi).
Sull’altro progetto Arnaldi si era già messo d’accordo e aveva accettato l’offerta di Davico Bonino (200.000 lire di compenso per la revisione della traduzione e per la prefazione). Ma a partire da questo momento Arnaldi accumulò ritardi. Nel giugno del 1966, per esempio, Arnaldi promise di chiudere entro dieci giorni. Davico Bonino rispose a stretto giro di posta:
«Caro professore, prendo nota di quanto Lei mi scrive. Attendiamo quindi con molta simpatia il Bloch bifronte per fine giugno. Non tradisca, La prego, il nostro entusiasmo» (AE, Arnaldi).
Passò anche questa scadenza e il 23 agosto 1966 Arnaldi fu nuovamente sollecitato, questa volta da un altro redattore, lo storico dell’arte Paolo Fossati, il quale sottolineava che il libro di Bloch «come Lei certo sa, ci sta molto a cuore, e non vorremmo proprio lasciar passare un altro anno senza poterlo considerare fra le nostre opere prossime ad uscire» (AE, Arnaldi).
Non si uscì da questa situazione di stallo per circa un altro anno. Il 29 ottobre 1967 Arnaldi scrisse infatti a Corrado Vivanti, che aveva appena conosciuto per il tramite di Ruggiero Romano: «E adesso siamo al punto dolente: il Bloch che vi devo da tre anni e mezzo non è ancora pronto». Nel frattempo, però, nella casa editrice torinese stavano maturando decisioni diverse, ben riassunte da Vivanti in una lettera del 13 novembre 1967:
Caro Arnaldi,
scusa se torno alla carica, ma ormai abbiamo proprio bisogno di avere con urgenza la tua risposta alle domande dell’ultima mia, che per semplicità riassumo:
1) Noi saremmo adesso per ripubblicare nella PBE (non nella NUE) il Mestiere dello storico di Bloch, sic et simpliciter, senza cioè la Strana disfatta.
2) Recederemmo però da tale posizione, se tu ci esponessi i motivi che ti paiono giustificare l’unione dei due testi e la loro pubblicazione nella NUE, e se – per di più – ti impegni veramente a darci la prefazione alla fine delle vacanze natalizie.
La pubblicazione nella PBE del solo Mestiere, però, non escluderebbe la tua prefazione. Se quindi tu accettassi di farla per quella stessa data, e se non fossi contrario alla riedizione di quel solo testo, saremmo lietissimi di avere finalmente qualcosa di tuo (AE, Arnaldi).
Arnaldi rispose subito con una lunga lettera, in cui ammetteva che l’entusiasmo iniziale con cui aveva elaborato il suo progetto di pubblicare insieme le due opere di Bloch era andato scemando, anche perché Fernand Braudel aveva reagito in maniera scettica alla sua idea di presentare le due opere insieme. Pertanto sarebbe stato dell’idea di limitarsi a consegnare un’accurata revisione della traduzione. Tuttavia poco dopo ebbe un piccolo ripensamento: restava convinto che le due opere fossero profondamente legate e che si era persa una buona occasione nel non pubblicarle insieme. In seguito si impegnò a rivedere la traduzione dell’Apologie, ma il lavoro procedeva molto a rilento e alla fine egli consegnò la sua introduzione solo tra gennaio e febbraio del 1969, mentre la Cronologia della vita e delle opere di Marc Bloch fu scritta da Corrado Vivanti (AE, Arnaldi). I maggiori interventi di Arnaldi si condensarono – come vedremo più avanti – su quattro punti, segnalati nell’Avvertenza. Mentre per L’étrange défaite vennero avviate delle trattative di cessione dei diritti e della traduzione con l’editore Guida di Napoli, che pubblicò nel 1970 la prima edizione italiana dell’opera. Oltre a La strana disfatta, nella traduzione di Hena Lombardi, la casa editrice napoletana aggiunse Gli scritti della clandestinità, 1940-1942 nella traduzione di Francesco Lazzari. L’étrange défaite venne poi ripresa dalla stessa Einaudi nel 1995 nella nuova traduzione di Raffaella Comaschi e con una nota introduttiva di Silvio Lanaro (Comaschi 1995).
Le correzioni di Arnaldi
Molti anni dopo fu lo stesso Arnaldi a ripercorrere l’intera vicenda e a sviluppare alcune riflessioni sull’Avvertenza che aveva chiesto di inserire prima del testo dell’Apologia (Arnaldi 2010, 109). In quello scritto Arnaldi (che lavorava sull’edizione francese del 1961) aveva segnalato la correzione della traduzione di Pischedda in quattro punti, congetturando lezioni diverse dell’originale francese (che noi riprendiamo dalla lezione, pressoché immutata, dell’edizione 1997).
Vediamo il primo caso: Certes, depuis les plus élémentaires mesures de sensation jusqu’aux textes les plus raffinés de l’intelligence ou de l’émotivité, il existe une expérimentation psychologique (Bloch 1997, 72 – sottolineatura mia). Secondo Arnaldi la lezione textes les plus raffinés andava mutata in tests les plus raffinés e pertanto traduceva: «Certamente, dalle più elementari misure di sensazione sino ai più raffinati test dell’intelligenza o dell’emotività, esiste una sperimentazione psicologica» (Arnaldi, Pischedda 199517, 63).
La nuova edizione francese non ha tenuto conto della correzione di Arnaldi, accolta invece da Gouthier, il quale traduce: «Certo, dalle più elementari misure di sensazione sino ai più raffinati test dell’intelligenza o dell’emotività, esiste tutta una sperimentazione psicologica» (Gouthier 20134, 45). Anche Cesare Panizza, autore di una nuova traduzione dell’Apologie che si basa sulla prima edizione del 1949 (e sulle correzioni proposte da Arnaldi nel 1969), traduce il passo, con qualche salto di parola, nella maniera seguente: «Di sicuro esiste una sperimentazione psicologica, dalle più elementari misure di sensazione fino ai test d’intelligenza più raffinati» (Panizza 2016, 105).
Più complesso il caso successivo in cui, secondo Arnaldi, il testo dattiloscritto francese è corrotto: Mais les sciences de la nature ne considèrent comme proches de l’irréalisable, à l’échelle terrestre, que les possibilités de l’ordre de 10/15 (Bloch 19614, 64). A parere di Arnaldi è più corretto inserire 1/1015, soluzione adottata anche dalle nuove edizioni francesi del 1993 (p. 152) e del 1997 (p. 120). Alla luce di questa correzione Arnaldi traduce, non accogliendo la forma limitativa presente nel testo originale (ne considèrent … que): «Ma le scienze della natura considerano come vicine all’irrealizzabile, su scala terrena, soltanto la possibilità dell’ordine 1/1015» (Arnaldi 199517, 118). Anche in questo caso la traduzione di Gouthier segue l’osservazione di Arnaldi, conservando tuttavia la formula limitativa: «Ma le scienze della natura non considerano come vicine all’irrealizzabile, su scala terrestre, che le possibilità dell’ordine 1/1015» (Gouthier 20134, 98). Panizza invece non accoglie questa lezione e resta fedele all’edizione del 1949: «Ma le scienze della natura considerano come vicine all’irrealizzabile, su questa terra, solo le possibilità dell’ordine di 10/15» (Panizza 2016, 173).
Terzo punto segnalato da Arnaldi. Nel testo originale si legge: Le glorieux privilège de la fonction sacrée était ramené aux vertus curatives d’une salive dynastique (Bloch 1961, 66 – sottolineatura mia). Lo storico italiano ritiene che la lezione corretta sia onction sacrée, proponendo quindi la traduzione: «Il glorioso privilegio dell’unzione sacra era ricondotto alle virtù terapeutiche di una saliva dinastica» (Arnaldi 199517, 120). Da una parte, le edizioni francesi mantengono fonction sacrée (1993, p. 154; 1997, p. 122), dall’altra quelle italiane successive adottano due strategie differenti, in quanto Gouthier non accoglie la correzione di Arnaldi (e fa bene perché lo stesso Arnaldi, con un’onestà intellettuale poco comune, ammise di aver dato delle interpretazioni errate, in quanto delle quattro correzioni proposte nell’Avvertenza due erano «frutto dei miei fraintendimenti del francese di Bloch» (Arnaldi 2010, 109). Nel primo caso di fraintendimento da parte di Arnaldi, Gouthier traduce: «Il glorioso privilegio della funzione sacra era ricondotto alle virtù terapeutiche di una saliva dinastica» (Gouthier 20134, 102). Panizza, che sembra ignorare la raccolta di saggi di Arnaldi del 2010, traduce, con una chiusa ipertraducente: «Il glorioso privilegio della sacra unzione era ricondotto alle proprietà terapeutiche di una saliva monarchico-dinastica» (Panizza 2016, 176).
Infine l’ultima incongruenza Arnaldi la colse verso la fine del capitolo IV, in uno dei due punti in cui era saltato un capoverso (poi ritrovato da Mastrogregori e pubblicato nel 1996), la cui integrazione contribuiva a rendere meno brusco il passaggio dal problema della nomenclatura a quello del «periodizzamento» (Arnaldi 2010, 88). Non essendosi reso conto che era saltato un capoverso – e da qui l’origine del secondo fraintendimento – Arnaldi era del parere che il passaggio seguente – C’était déjà l’erreur de Taine, chez qui nous étonne si fort aujourd’hui l’espèce de réalité personnelle confinée à la «conception dominatrice» (Bloch 1961, 96 – sottolineatura mia) – fosse scorretto: a suo avviso, il vocabolo confinée doveva essere mutato in confiée. La sua traduzione suona quindi: «Era già stato l’errore del Taine, nel quale tanto ci stupisce oggi quella specie di realtà personale ch’egli attribuiva alla “concezione dominante”» (Arnaldi 199517, 160). Panizza si allinea a questa interpretazione: «Era già stato lo sbaglio di Taine, nel quale tanto ci sorprende oggi quella specie di realtà personale che egli attribuiva alla “concezione dominante”» (Panizza 2016, 228). Mentre Gouthier, che segue l’edizione del testo dell’Apologie pubblicata da Étienne Bloch, si imbatte in questo brano nella parte denominata Les feuilles d’ébauche de la rédaction définitive (Bloch 1993, 193-214: il brano si trova a p. 208), ossia I fogli di appunti della redazione definitiva, e, prendendo però per buona la correzione confinée/confiée proposta da Arnaldi, propone: «Era già l’errore di Taine, nel quale così tanto ci stupisce oggigiorno quella specie di realtà personale attribuita alla «concezione dominante» (Gouthier 20134, 162). Credo che tradurre confiner con «attribuire» non sia una soluzione soddisfacente e la frase potrebbe essere resa nel modo seguente: Era già l’errore di Taine, nel quale molto ci stupisce oggi quella sorta di realtà personale limitata alla «concezione dominante».
Attraverso questi esempi, ma tanti altri se ne potrebbero fare leggendo in parallelo i due testi originali dell’Apologie, si è cercato di far intravedere quanto sia stata complessa la sua stesura. In conclusione, il manoscritto incompiuto e la scrittura di Bloch dallo «stile un poco oratorio», colmo «di sottigliezze e di similitudini» – come notava Bianca Maria Cremonesi scrivendo alla casa editrice il 25 settembre 1947 (AE, Cremonesi) – furono tra le cause che contribuirono a non rendere la vita facile ai suoi traduttori.
Ringraziamenti
Si ringraziano Dorota Gregorowicz, Carlo Martone, Alberto Masoero, Anna Specchio per avermi fornito alcuni dati sulle edizioni polacche, ceche, ungheresi, israeliane, russe e giapponesi dell’Apologie pour l’histoire.
Fonti archivistiche
AE, Arnaldi: Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Archivio Giulio Einaudi editore, Segreteria editoriale, Corrispondenza con autori e collaboratori italiani, I serie, Busta 9, fascicolo 130 (Girolamo Arnaldi)
AE, Cremonesi: idem, B. 86, fasc. 1314 (Bianca Maria Cremonesi)
AE, Ginzburg: idem, B. 94, fasc. 1457 (Carlo Ginzburg)
AE, Lombardi: idem, B. 119, fasc. 1738 (Hena Lombardi)
AE, Pischedda: idem, B. 161, fasc. 2435 (Carlo Pischedda)
AE, Verbali, 24 marzo 1965: Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Archivio Giulio Einaudi editore, Verbali editoriali, B. 5, fasc. 327
AE, Verbali, 15 marzo 1967: idem, B. 6, fasc. 396
Bibliografia
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Arnaldi 2010: Girolamo Arnaldi, Per Marc Bloch, in Girolamo Arnaldi, Conoscenza storica e mestiere di storico, Bologna-Napoli, il Mulino-Istituto Italiano per gli Studi storici, pp. 83-121
Arnaldi, Pischedda 199517: Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, a cura di Girolamo Arnaldi, con un saggio di Lucien Febvre, traduzione di Carlo Pischedda, Torino, Einaudi (I ed. 1969; I ed. della traduzione, 1950)
Bloch 1939-1940: Marc Bloch, La société féodale, 2 voll., Paris, Albin Michel
– 1949: Marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, Paris, Armand Colin
– 19614: Marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, Paris, Colin
-1990: Marc Bloch, L’étrange défaite, préface de Stanley Hoffmann, Paris, Gallimard, 1990 (il testo di questa edizione, da cui si cita, è stato stabilito con la collaborazione di Étienne Bloch I ed. Marc Bloch, L’étrange défaite. Témoignage écrit en 1940, Paris, Société des éditions «Franc-tireur», 1946; II ed. Marc Bloch, L’étrange défaite. Témoignage écrit en 1940, suivi des écrits clandestin, 1942-1944, avant-propos de Georges Altman, Paris, Albin Michel, 1957)
– 2011: Marc Bloch, Mélanges historiques, préface de Yann Potin, Paris, CNRS Prima edizione: préface de Charles-Edmond Perrin, 2 voll., Paris, SEVPEN, 1963
– 2016: Marc Bloch, Carnets inédits (1917-1943), édition établie par Massimo Mastrogregori, Torino, Aragno
Bloch É. 1997: Étienne Bloch, Marc Bloch 1886-1944. Une biographie impossible, Limoges, Culture & Patrimoine en Limousin
– 1998: Étienne Bloch, Il manoscritto interrotto, «Belfagor» , 30 novembre, vol. 53, 318, n. 6, pp. 728-730
– 1998: Étienne Bloch, Premessa, in Gouthier 1998
Bloch, Febvre 2003: Marc Bloch, Lucien Febvre, Correspondance, édition établie, présentée et annotée par Bertrand Müller, vol. III, Les «Annales» en crise, Paris, Fayard.
Braudel 2002: Fernand Braudel, Premessa all’edizione italiana, ora in Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, trad. di Carlo Pischedda, Torino, Einaudi, pp. XXXV-XXXVI (I ed. 1953; da Fernand Braudel, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Paris, Armand Colin, 1949)
Chabod 1993: Federico Chabod, L’idea di nazione, a cura di Armando Saitta ed Ernesto Sestan, Roma-Bari, Laterza (I ed. 1961)
Comaschi 1995: Marc Bloch, La strana disfatta. Testimonianza scritta nel 1940, seguita da Scritti della clandestinità, 1942-1944, introduzione di Silvio Lanaro, traduzione di Raffaella Comaschi, da Bloch 1946
Daix 1995: Pierre Daix, Braudel, Paris, Flammarion
Febvre 1944: Lucien Febvre, Marc Bloch fusillé, in «Mélanges d’Histoire sociale», 6, pp. 5-8
– 1945a: Lucien Febvre, De l’histoire au martyr. Marc Bloch, 1866-1944, in «Annales d’histoire sociale», t. 1, pp. 1-10 (nello stesso fascicolo Febvre pubblicò anche stralci della sua corrispondenza: Marc Bloch; témoignanges sur la période 1929-1940: extraits d’une correspondance intime, ivi, pp. 15-32)
– 1945b: Lucien Febvre, Marc Bloch historien, in «Les Cahiers politiques», pp. 5-11
– 1995: Lucien Febvre, Profilo di Marc Bloch, in Arnaldi, Pischedda 199517
Fink 1999: Carole Fink, Marc Bloch. Biografia di un intellettuale, traduzione di Piero Bairati, Firenze, La Nuova Italia (da Carole Fink, Marc Bloch. A Life in History, Cambridge, Mass., Cambridge University Press, 1989)
Gouthier 1998: Marc Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, Torino, Einaudi, prefazione Jacques Le Goff, Premessa di Étienne Bloch, trad. di Giuseppe Gouthier (da Bloch 1949)
Ieva 2016: Marc Bloch, Il regno di Luigi XIV. Aspetti economici, corso raccolto da P. Heumann, traduzione e cura di Frédéric Ieva, Torino, Aragno (da Marc Bloch, Aspects économiques du règne de Louis XIV, Paris, Bibliothèque nationale de France, 2003 – I ed. Centre de documentation universitaire de France, 1939)
Lazzari, Lombardi 1970: Marc Bloch, La strana disfatta. Testimonianza scritta nel 1940, seguita da Scritti della clandestinità, 1942-1944, prefazione di Georges Altman, traduzione di Francesco Lazzari e Hena Lombardi da Bloch 1946 (in precedenza era apparsa, a cura di Carlo L. Ragghianti, una traduzione parziale del capitolo III, basata sull’edizione del 1947, in «Itinerari», a. IV, 1956, n. 19, pp. 5-42)
Mastrogregori 1989: Massimo Mastrogregori, Le manuscrit interrompu: Métier d’historien de Marc Bloch, in «Annales. Économies, Sociétés, Civilisations», 44, n° 1, pp. 147-159
– 1995: Massimo Mastrogregori, Il manoscritto interrotto di March Bloch. Apologia della storia o Mestiere di storico, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali
– 1996: Massimo Mastrogregori, Le disavventure di “Apologia della storia”. Il Bloch ritrovato, in «Liberal», maggio, pp. 75-77
– 1998a: Massimo Mastrogregori, recensione a l’Apologia della storia, «Belfagor», 31 maggio, a. LIII, n. 3 (fasc. 315), pp. 377-380
-1998b: Massimo Mastrogregori, Due “carnets” inediti di Marc Bloch (1917-1943): “Quelques notes de lecture” e “Mea”, in «Rivista storica italiana», CX, fasc. III, pp. 1005-1043
– 2001: Massimo Mastrogregori, Introduzione a Bloch, Roma-Bari, Laterza
– 2002: Massimo Mastrogregori, Un capitolo non scritto del “Mestiere di storico”, in «Contemporanea», gennaio, a. V, n. 1, pp. 178-184
– 2015: Massimo Mastrogregori, Fedeltà democratica. La scelta di Marc Bloch per la Resistenza, Fondazione Gian Giacomo Feltrinelli
Montenegro 1981: Angelo Montenegro, «Popoli»: un’esperienza di divulgazione storico-geografica negli anni della guerra fascista, in «Italia contemporanea», dicembre, fasc. 145, pp. 3-37.
Mores, Torchiani, 2017: Francesco Mores, Francesco Torchiani, Fortune di Marc Bloch, Pisa, Edizioni della Normale, 2017.
Müller 1990: Bibliographie des travaux de Lucien Febvre, établie par Bertrand Müller, Paris, Armand Colin (una bibliografia integrata e aggiornata al 2019 si trova in Lucien Febvre face à l’histoire, sous la direction de Marie Barral-Baron, Philippe Joutard, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2019, pp. 383-388)
Munari 2011: I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi. 1943-1952, a cura di Tommaso Munari, prefazione di Luisa Mangoni, Torino, Einaudi
– 2016: Tommaso Munari, L’Einaudi in Europa, Torino, Einaudi
Musté 2003: Marcello Musté, Politica e storia in Marc Bloch, Roma, Aracne
Noiriel 1994: Gérard Noiriel, En mémoire de Marc Bloch. Retour sur l’Apologie pour l’histoire, in «Genèses», 17, pp. 122-139
Panizza 2016: Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, trad. di Cesare Panizza, Alessandria, Falsopiano (da Bloch 1949)
Papparo 1994: Paul Valéry, Sguardi sul mondo attuale e altri saggi, a cura di Felice Ciro Papparo, Milano, Adelphi (da Paul Valéry, Regards sur le monde actuel, et autres essais, Paris, Gallimard, 1988)
Pavese 1966: Cesare Pavese, Lettere, vol. II, 1945-1950, a cura di Italo Calvino, Torino, Einaudi
Pitocco 1997: Francesco Pitocco, Marc Bloch. Una storia viva e “militante”, in Marc Bloch, Storici e storia, traduzione di Giuseppe Gouthier, a cura di Étienne Bloch, Torino, Einaudi
Res Gestae 2014: Marc Bloch, La strana disfatta con gli scritti della clandestinità 1942-1944, Milano, Res Gestae (da Bloch 1990, senza indicazione dell’autore o autrice della traduzione: le restrizioni dovute al covid mi hanno impedito di collazionare questa traduzione con le precedenti)
Ríos Gordillo 2007: Carlos Alberto Ríos Gordillo, Asimilación e irradiaciones de la obra de Marc Bloch en América Latina, XI Jornadas Interescuelas/Departamentos de Historia. Departamento de Historia. Facultad de Filosofía y Letras. Universidad de Tucumán, San Miguel de Tucumán
Schöttler 2011: Peter Schöttler, Marc Bloch et les crises du savoir, in Marc Bloch et les crises du savoir, éd. Peter Schöttler et Hans-Jörg Rheinberger, München, Max-Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte
– 2014: Peter Schöttler, Marc Bloch, le supplicié n° 14, in «L’Histoire», n. 404, pp. 8-16
Touati 2007: François-Olivier Touati, Marc Bloch et l’Angleterre, Paris, La Boutique de l’Histoire
Viarengo 2014: Adriano Viarengo, Franco Venturi, politica e storia nel Novecento, Roma, Carocci
Wessel 1991: Marleen Wessel, Réflexions pour le lecteur curieux de méthode. Marc Bloch et l’ébauche originelle du Métier d’historien, in «Genèses», 3, mars, pp. 154-161