Una vita col botto

di Laura Cangemi

autrice di Jenny Jägerfeld, La mia vita dorata da re, Milano, Iperborea, 2021 (da Mitt storslagna liv, Stockholm, Rabén&Sjögren, 2019)

 

Chiunque affianchi alla traduzione lo scouting editoriale sa quanto è grande la soddisfazione che si prova vedendo accolta la propria proposta e, soprattutto, traducendo il libro di cui si è suggerito l’acquisto. Con La mia vita dorata da re è stato un colpo di fulmine: lette le prime cento pagine (meno di un terzo del totale), ho chiamato la direttrice editoriale di Iperborea e le ho detto che doveva comprare quel libro. Cristina Gerosa si è fidata e ha avviato le trattative con l’agente senza nemmeno avere in mano la mia scheda di lettura.

Jenny Jägerfeld è un’autrice che seguo da anni e non vedevo l’ora che scrivesse un libro come questo: umoristico e spiazzante ma anche profondo, autentico e commovente.

Quello che mi piace di quest’autrice è la naturalezza con cui affronta temi spinosi, sempre alleggeriti da una comicità che spesso costringe chi traduce a trovare battute equivalenti o escamotage diversi per ottenere sul giovane lettore italiano lo stesso effetto dell’originale sul lettore svedese.

Il proposito di Sigge, dodicenne protagonista di questa storia, è approfittare del trasferimento da Stoccolma a Skärblacka, paesino di poche migliaia di anime, per lasciarsi alle spalle la vita da sfigato vittima di bullismo e diventare popolare. Uno dei modi in cui intende raggiungere l’obiettivo è presentarsi come un ragazzino brillante e spiritoso. Di qui le barzellette a tema preparate in anticipo (che ho dovuto sostituire completamente, un po’ attingendo a internet e un po’ inventandole, dato che erano tutte incentrate sulle auto) e le battute con cui cerca di conquistare l’amicizia della coetanea Juno. Una in particolare doveva coniugare le auto e la Giamaica, perché tornava in due punti diversi del libro e a causa del contesto non si poteva prescindere dal reggae. «Hur ser man att en bil är från Jamaica? På reggae-streringsskylten», dice Sigge (dove il gioco sta nella storpiatura di registreringsskylten, targa). Dopo lunghe ricerche in rete, ho storpiato a mia volta una parola italiana sfruttando il fatto che Bob Marley possedeva una BMW («Come mai Bob Marley guida una BMW? Perché gliel’hanno reggaelata!»)

La costellazione famigliare del protagonista è abbastanza insolita, ma sono soprattutto le sorelline Majken e Bobo a creare le situazioni esilaranti che hanno messo a dura prova la mia inventiva, in particolare nell’interazione con un altro personaggio di contorno, Krille Meringa, sessantenne regista mancato che sforna ogni giorno improbabili soggetti da sottoporre impietosamente a tutti i membri della famiglia. Proprio illustrandone uno, Krille parla prima di nyhetsankare, cioè anchorman, mentre Bobo capisce anka, anatra, e dato che si doveva per forza giocare sugli animali alla fine ho optato per «volti noti della tivù», con Bobo che capisce «volpi», dopodiché sarà «maxillo-facciale» a diventare «maiale» (qui nell’originale c’era il gioco tra kirurg, chirurgo, e känguru, canguro).

Una trovata di Majken è invece incidere nella buccia delle banane delle “parolacce”, con esiti imprevedibili. Il problema è che, essendo la Svezia un paese luterano, le imprecazioni più riprovevoli ruotano intorno all’inferno, e infatti Majken scrive satan, rumpa, bajs e djävel (satana, sedere, cacca e diavolo). Sull’onda degli ultimi due, ho optato per cacca, piscia, scoreggia e culo (con un “climax” che, mi pare, corrisponde abbastanza a quello dell’originale).

Al di là delle freddure, dei giochi di parole e delle storpiature da trasferire in maniera efficace in italiano, la vera sfida è stata riprodurre un linguaggio credibile in bocca a un dodicenne che scrive in prima persona. La naturalezza normalmente richiesta soprattutto dalla resa dei dialoghi andava estesa a tutto il racconto, ed era fondamentale mantenere il ritmo brillante dell’originale. In questo caso avevo a disposizione l’audiolibro letto dall’autrice stessa, che mi ha molto aiutato a trovare la “voce” giusta (o meglio: quella che a me sembra la voce giusta, ma saranno i lettori a giudicare).