La recensione / 2 Uno strumento innovativo e utile

Lucia Cinato Kather, Mediazione linguistica tedesco-italiano.
Aspetti teorici e applicativi. Esempi di strategie traduttive. Casi di testi tradotti
Hoepli, Milano 2011, € 22,00

di Elisa Leonzio

Lucia Cinato Kather, ricercatrice universitaria di Lingua e traduzione tedesca ed esperta di linguistica contrastiva e di lessicologia, offre uno strumento del tutto nuovo nel panorama degli studi sulla traduzione in Italia: se, infatti, non mancano indagini specifiche su altre coppie linguistiche (soprattutto inglese–italiano), davvero poco esplorato è stato finora il confronto tra tedesco e italiano in ottica traduttiva.

Aver colmato questa lacuna è quindi un grande merito e punto di forza del lavoro di Cinato Kather. Un altro notevole pregio dello studio sta nella sapiente organizzazione degli argomenti proposti: il testo si articola, infatti, in una prima parte a carattere introduttivo – dove sono discussi problemi teorici relativi alla traduzione, tipologie testuali e competenze del traduttore e vengono analizzate le fasi del processo traduttivo -, una seconda di orientamento pragmatico – con la presentazione di strategie traduttive a livello morfosintattico, testuale e lessicale – e un’appendice che raccoglie i testi discussi nella seconda sezione e fornisce per ciascuno di essi una traduzione “definitiva”, che va ad aggiungersi a quelle discusse in precedenza. È quindi agevole per il lettore seguire le argomentazioni e ritrovare i punti in cui esse vengono sviluppate. Ulteriori pregi del manuale sono il rigore e la puntualità dei commenti linguistici ai testi originali e alle traduzioni offerte, un repertorio bibliografico e sitografico molto ricco e una serie di tabelle che forniscono, in italiano e in tedesco, le parole chiave dei temi trattati.

Da questa impostazione complessiva risulta evidente che i destinatari principali del manuale sono gli studenti universitari; e, infatti, l’autrice, nelle pagine introduttive, dichiara esplicitamente di aver voluto fornire un testo che sia sfruttabile soprattutto a livello didattico: dagli studenti di laurea triennale (per i quali presuppone un livello di conoscenza linguistiche B2 purtroppo non sempre corrispondente al vero) dei corsi in Mediazione linguistica, Turismo e Lingue e letterature, e dai docenti di Lingua e traduzione. Ma il manuale va oltre la dimensione didattica, ambendo a rivolgersi anche ai traduttori di professione che vogliano approfondire tematiche di «grammatica della traduzione».

Alla base di questo allargamento a tipologie alquanto diverse di studenti (per indirizzo di studi) e di addetti ai lavori (dai docenti ai traduttori tecnici e/o letterari) vi è la convinzione che «determinati problemi di carattere linguistico vengono condivisi dai diversi approcci traduttivi» (Prefazione). In particolare, poi, questa concezione viene esplicitamente discussa in rapporto alla canonica distinzione tra testi letterari e non letterari laddove l’autrice afferma che «occorre riconoscere piuttosto che le traduzioni in ambito letterario rappresentano la punta di un iceberg, una specie di osservatorio privilegiato, data la difficoltà di una resa che tenga conto non solo del trasferimento semantico ma anche di tutto un contesto storico, letterario, culturale, linguistico-emotivo proprio di un particolare autore. Non per questo tuttavia le problematiche che si presentano in altri tipi di testo sono di minore interesse o più facilmente risolvibili. Si tratta quindi di trovare dei procedimenti comuni che vanno poi più finemente adattati» (p. 6).

Su questa convinzione si fonda la scelta dei testi analizzati, che variano, quindi, da istruzioni e opuscoli informativi a testi di carattere tecnico divulgativo o pubblicitario, a esempi di saggistica e di letteratura. Nell’appendice tali testi sono ripresentati in un presupposto ordine di difficoltà crescente, nel quale però, lo si noti, alcuni esempi letterari anche di elevatissimo livello come le pagine tratte dagli Ausgewanderten di Sebald sono ancora seguiti da articoli di giornale; quasi che, nonostante l’affermazione sopracitata che la traduzione letteraria sia «un osservatorio privilegiato» nonché «la punta dell’iceberg» dell’atto traduttivo, Cinato in fondo non lo creda del tutto e consideri comunque alcuni testi non letterari come “più difficili”.

Naturalmente non voglio qui intraprendere una discussione sul concetto di difficoltà, che richiederebbe una trattazione estremamente ampia e di fatto inesauribile. Restano tuttavia alcune perplessità di fondo: nella «progressione» dei testi proposti il criterio adottato sembra essere quello della crescente complessità morfo-sintattica e lessicale; ma siamo sicuri che sia sempre così vero? È più facile tradurre un testo con una terminologia complessa ma ben codificata, con un lessico iper-specialistico, ma per il quale esistono precise e univoche corrispondenze tra termine di partenza e traducente, o invece un lessico più generico, magari più “basso”, ma per il quale la scelta dei traducenti è legata a una affinata e raffinata capacità da parte del traduttore di cogliere sfumature e di individuare uno stile e un registro adeguati? Non intendo fornire una risposta assoluta, soprattutto perché infiniti sono i casi intermedi che potrebbero rafforzare o smentire l’una o l’altra posizione; intendo però instillare il dubbio e credo che anche Cinato nel suo manuale avrebbe potuto farlo in maniera più incisiva: per evitare un’eccessiva generalizzazione, che attenua invece di accentuare le differenze, e per bilanciare i continui «si deve» e «occorre» che costellano il testo.

Se è vero, infatti, che la generalizzazione e la “prescrittività” sono più facilmente assimilabili e quindi più gradite agli studenti – che con sempre maggior frequenza manifestano il bisogno di regole nette, assolute e sempre valide – rispetto all’approfondimento e alla specificità, un’operazione di questo tipo non è però priva di rischi: poiché la frammentazione dei saperi e dei moduli didattici imperante nelle nostre università rende molto difficile portare avanti sul lungo periodo una didattica della traduzione che non sia solo lezione frontale o seminario di poche ore, bensì laboratorio, direi quasi “bottega” della traduzione, vi è il concreto pericolo che gli studenti sorvolino su certe posizioni “attenuate” e sfumate , che pur nel manuale ci sono, e tendano a far proprie “prescrizioni” che soprattutto nel caso della traduzione letteraria sono fuori luogo.
Una confusione, questa, che alcune “leggerezze” del manuale stesso contribuiscono a creare: per esempio l’introduzione del testo di Sebald in forma semplificata (sic!, p. 141), laddove sarebbe stato più istruttivo che lo studente si scontrasse con difficoltà superiori alle sue competenze; o ancora, la contraddizione tra l’affermazione, pienamente condivisibile, che «è senz’altro riduttivo dire tout court che laddove il periodare tedesco procede in maniera frammentata occorre legare maggiormente il discorso in italiano, perché, come già evidenziato, bisogna sempre individuare l’intenzione dell’autore» (p. 88) e il trattamento riservato a un passo del romanzo giovanile Überleben di Gudrun Pausenwang: una successione incalzante e ritmata di frasi brevissime, fastidiose per un orecchio tedesco non meno che per uno italiano, trasformate in traduzione in un legato armonioso che poco ha a che fare con l’intento autoriale.

Se ne ricava l’impressione che il manuale possa rivelarsi uno strumento molto utile soprattutto per coloro che di traduzione, e in particolare di traduzione letteraria, già si occupano, soprattutto se non sono “linguisti” di formazione: con la loro preparazione ed esperienza sapranno approfittare in modo “critico” (nel senso etimologico del termine) delle ricche riflessioni presenti nel volume e imparare a render conto, a se stessi e magari anche ai loro studenti nelle auspicate “botteghe” di traduzione, di scelte spesso compiute per una sensibilità linguistica affinata negli anni, ma non sempre accompagnate da una consapevole e teoricamente fondata riflessione sulla lingua.