Una programmata patina di opacità

SERGIO ATZENI E TEXACO DI PATRICK CHAMOISEAU. INTRODUZIONE AL SEMINARIO DI PARMA

di Gigliola Sulis

L’incontro con un maestro, la scoperta di un’isola lontana ma simile alla propria, la conferma che la mescidazione linguistica e la riscrittura della storia sono scommesse già vinte con successo, l’universalità dei racconti delle periferie (the Empire writes back to the Centre, scrive Salman Rushdie); in più, l’immersione in un laboratorio di scrittura straordinariamente composito e la sfida della traduzione del plurilinguismo: tutto questo ha rappresentato, per lo scrittore Sergio Atzeni, la traduzione del romanzo Texaco (1992) del martinicano Patrick Chamoiseau. Che si tratti di un momento centrale per lo sviluppo della poetica atzeniana, lo dimostrano le affinità elettive che legano a questo romanzo il postumo Passavamo sulla terra leggeri. Affinità evidenti a cominciare dal titolo, che richiama un passo della «donna-matador» protagonista e prima narratrice di Texaco, Marie-Sophie Laborieux (Farnetti 2001, 90), ma anche nella campitura epica e nella coralità della narrazione, fino alla presenza di un narratore-aedo che affida a un ascoltatore (e per suo tramite al lettore) le memorie di un popolo, affinché egli le preservi dall’erosione costante cui le culture di minoranza sembrano essere inesorabilmente sottoposte.

Di questa esperienza, umana e letteraria, possediamo un prezioso documento: un’audiocassetta, registrata all’Università di Parma il 3 maggio 1995, in occasione di un seminario sulla traduzione dal creolo, tenuto da Atzeni su invito della dottoressa Elena Pessini. Nella prima parte della lezione, della quale proponiamo la trascrizione, emergono le tensioni che accompagnano i tentativi di inserimento dello scrittore nel mondo editoriale torinese: si configura da un lato la controversa collaborazione, descritta con i tipici tratti dell’autoironia atzeniana, con la storica casa editrice Einaudi, dall’altro l’immediata simpatia per le piccole e laboriose case editrici di provincia, in questo caso la Pratiche di Parma.

Alla storia editoriale della traduzione segue un’accurata disamina di alcune pagine del libro, nel corso della quale vengono messe in luce le difficoltà del rapporto con un testo che deliberatamente e provocatoriamente ricrea la lingua francese tramite l’utilizzo frequente di forestierismi, arcaismi, espressioni popolari, tecnicismi, e soprattutto di innesti dal creolo della Martinica. Le trappole tese al lettore dalla personalissima e ininterrotta commistione di Texaco vengono indicate passo per passo dal traduttore, che spiega il suo tentativo di mediazione tra la voluta oscurità del testo originale e la necessità di avvicinarlo, senza banalizzazioni o appiattimenti, alla lingua e alla cultura d’arrivo. Da tale esigenza trae origine l’inserimento nell’edizione Einaudi di una nota introduttiva del traduttore e, soprattutto, di un breve glossario, assente nell’originale ecdizione francese perché avversato dall’autore, e autorizzato invece al fine di fornire più appigli per la comprensione al lettore italiano, per il quale viene a mancare quell’affinità fonetica che guida il lettore francese, purché volenteroso di entrare nel mondo narrato, alla decodificazione del tessuto linguistico. Ma anche per altri motivi, insinua in più di un punto Atzeni, che sembra alludere a una cosciente volontà, da parte dell’autore, di osteggiare il lettore arroccato sulla purezza del francese.

Ma anche così, come sottolinea Atzeni, la traduzione mantiene una programmatica patina di opacità: l’incontro con l’altro, con il diverso, non può mai avvenire in condizioni di piena trasparenza, e l’accettazione della differenza passa innanzitutto attraverso la lingua. Sulla teoria dell’opacità linguistica sviluppata in ambiente caraibico si possono ancora utilmente vedere Ludwig 1994 e Glissant 1996.

Nel rispetto di questo principio narrativo, teorizzato nel saggio Éloge de la créolité (Bernabé, Chamoiseu, Confiant 1989), sta, come è stato giustamente notato, «il momento di più profonda fedeltà di Atzeni all’universo di Chamoiseau» (Bertini 1996): il traduttore rivendica un ruolo attivo nella riscrittura del testo e diviene le berger de la Diversité, «il pastore della Molteplicità», come lo definisce Chamoiseau nel ricordo che viene ripubblicato in questo stesso numero di «tradurre». Attraverso la dettagliata analisi di alcuni passi tradotti, grazie all’indicazione dei tranelli individuati, studiati e infine sciolti (o meglio, riformulati, spesso con la complicità dell’autore) per il lettore italiano, Atzeni ci guida nell’esplorazione di un’affabulazione complessa e coinvolgente, e, presentando i criteri della messa in opera delle teorie narrative sopra citate, offre una testimonianza unica sul valore del mestiere del traduttore.

Riferimenti bibliografici

Farnetti 2001: Monica Farnetti, Una cerca mediterranea, in Giuseppe Marci e Gigliola Sulis (a cura di), Trovare racconti mai narrati, dirli con gioia, Cuec, Cagliari

Bernabé, Chamoiseau, Confiant 1989: JeanBernabé, Patrick Chamoiseau, Raphaël Confiant, Eloge de la créolité, Gallimard, Paris 1989 ( tr. ital. di Daniela Marin e Eleonora Salvadori, Elogio della creolità, Ibis, Como – Pavia 1999)

Bertini 1996: Mariolina Bertini, Tradurre la parole de nuit: Sergio Atzeni e Texaco di Patrick Chamoiseau, in «La grotta della vipera», XXII (1996), n. 75, estate, p. 39

Ludwig 1994: Ecrire la parole de nuit . La nouvelle littérature antillaise. Nouvelles, poèmes et réflexions poétiques de Patrick Chamoiseau et al. Rassemblés et introduits par Ralph Ludwig, Gallimard, Paris 1994

Glissant 1996: Edouard Glissant, Introduction à une poétique du divers, Gallimard, Paris 1996 (tr.ital. di Francesca Neri, Poetica del diverso, Meltemi, Roma 1998)