La recensione / 3 – La traduzione come dialogo interculturale

VENEDIKT EROFEEV “ATTRAVERSO NORI”

di Ilaria Remonato

A proposito di: Venedikt Erofeev, Mosca-Petuškì. Poema ferroviario, traduzione italiana e cura di Paolo Nori, Macerata, Quodlibet, 2014, p. 201, € 15

recensione 3La versione edita da Quodlibet in occasione del settantacinquesimo anniversario della nascita dello scrittore russo Venedikt Erofeev (1938-1990) rappresenta la quarta traduzione italiana in ordine di tempo del poema in prosa Moskva-Petuški (1970). Com’è stato osservato da più parti, questa abbondanza appare singolare e significativa di per sé, visto che si tratta di un’opera relativamente recente. Per la sua ricchezza semantica e stilistica il viaggio sui generis evocato da Erofeev è tuttora fonte di fascino e suggestione anche al di fuori del contesto e del cronotopo originari, tanto da stimolare la sensibilità interpretativa di un autore italiano a sua volta appassionato cultore e traduttore di letteratura russa. Nonostante le recensioni pubblicate nei mesi scorsi su diversi quotidiani e riviste nazionali (per una rassegna si veda il sito della casa editrice<http://www.quodlibet.it/catalogo.php.Erofeev.Venedikt>), e la risonanza sui mass media, legata senza dubbio anche alla popolarità di Paolo Nori, si ritiene opportuno proporre delle riflessioni mirate ad andare un po’ oltre la superficie, approfondendo alcuni aspetti del processo traduttivo. La resa in un’altra lingua di un testo così denso di riferimenti culturali e cesellato da continui sbalzi nell’utilizzo dei registri linguistici si rivela un’operazione avvincente e complessa, da cui si può delineare un vero e proprio dialogo fra l’ambito russo-sovietico di partenza e quello italiano d’arrivo, nel quale l’opera, grazie alle scelte e agli orientamenti di fondo delle versioni precedenti, aveva già una storia ricettiva.

Com’è noto, Moskva-Petuški è circolato a lungo in samizdat in patria e all’estero, ed è stato pubblicato per la prima volta sull’almanacco «Ami» in Israele (1973). In seguito il poema è uscito per i tipi della casa editrice YMCA-Press di Parigi (1977), in russo e nella traduzione francese. Alla stessa epoca risale anche la prima traduzione italiana a cura dello slavista Pietro Zveteremich, dal titolo piuttosto appariscente (e in parte fuorviante) Mosca sulla vodka (Feltrinelli, 1977), mutuato dall’edizione francese. Le altre due versioni italiane sono state realizzate in anni più recenti, nei quali, dopo il crollo dell’Urss e il superamento della censura, è stato possibile avvalersi di contributi critici, materiali e informazioni sull’opera non disponibili in precedenza. Si tratta di Tra Mosca e Petuški a cura di Mario Caramitti (Fanucci, 2003) e di Mosca-Petuški e altre opere di Gario Zappi (Feltrinelli, 2004); come suggerisce il titolo, il secondo volume presenta anche altri testi di Erofeev sino ad allora inediti in italiano. Delle due traduzioni uscite a breve distanza l’una dall’altra mi sono già occupata in altra sede (cfr. Remonato 2004); per un’analisi comparativa delle soluzioni, delle scelte stilistico-lessicali e delle impostazioni complessive più rilevanti nelle tre versioni italiane citate rimando invece a Remonato 2013.

Per quanto riguarda la traduzione di Nori, a livello generale le recensioni precedenti hanno preso in considerazione più i contenuti dell’opera originale che la resa in lingua italiana, limitandosi nella maggior parte dei casi a evidenziarne elementi puramente esteriori («la nuova, rutilante traduzione», «la vivezza del parlato»). Al di là degli stereotipi frequentemente associati al testo e di definizioni iperboliche o superlative ormai di maniera ‒ «annebbiamento alcolico», «stato di estasi superalcolica», «un classico alcolico» e così via ‒, appare interessante riflettere sulle caratteristiche complessive del lavoro, nonché sull’opportunità di proporre sul mercato italiano un’ulteriore traduzione del poema. Questa versione, infatti, è stata realizzata da uno scrittore, che vi ha messo dichiaratamente del proprio a più livelli, tanto che sulla scia di altri esempi illustri si può parlare di un Moskva-Petuški “attraverso Nori”. Com’è noto, ogni traduzione valida è il risultato di un lungo lavoro di ricerca che contiene implicitamente le tracce dell’interpretazione personale della lingua e del testo originali da parte del curatore. Un narratore, tuttavia, riesce a cogliere e far affiorare in modo più efficace alcune componenti peculiari legate alla scrittura e alle dinamiche creative perché le sperimenta in prima persona. L’immagine di Erofeev reinterpretato attraverso la “voce autoriale” di Nori emerge con particolare evidenza dalle letture della traduzione tenute dallo scrittore emiliano in alcune librerie di Bologna (dicembre 2014), delle quali sono disponibili le registrazioni audio sul suo blog (cfr. <http://www.paolonori.it>).

Nell’originale russo compare il sottotitolo «poema», che corrisponde a un preciso riferimento lirico e di genere letterario voluto dall’autore, ma che spesso in passato è stato tenuto in scarsa considerazione da critici, editori e traduttori (evidentemente definirlo “romanzo” creava meno problemi sul mercato). Nori va nella direzione opposta: optando per il sottotitolo «poema ferroviario» ne esprime l’essenza ibrida, ovvero la commistione inestricabile di prosa e poesia, di linguaggio colloquiale e intarsi aulici, ma sembra allo stesso tempo “dire di più” rispetto all’originale. L’aggiunta dell’aggettivo «ferroviario», infatti, è una scelta che rende esplicita ai lettori una serie di associazioni lasciate in sospeso in russo. Il treno e il riferimento concreto alla tratta suburbana rivestono senz’altro un ruolo importante, tuttavia il titolo-stringa allude anche ad altre sfumature semantiche e culturali del testo che esulano dal puro ambito denotativo. A questo proposito va notato che Nori, a differenza di Caramitti e Zappi, propone il toponimo Petuškì (letteralmente «galletti» in russo), con la vocale finale accentata, sia nella resa italiana del titolo, sia all’interno del testo. L’esplicitazione grafica dell’accento grave, non comune né richiesta dalla traslitterazione scientifica internazionale, si rivela una scelta riuscita e non scontata, visto che ottiene l’effetto di dare rilevanza fonica anche in italiano alla pronuncia corretta del termine russo, riecheggiando in modo più aderente la musicalità e le suggestioni semantiche della stringa originale. Anche Zveteremich, che come già osservato era ricorso a un titolo nettamente diverso, all’interno della traduzione traslittera il toponimo Petuškí con l’accento finale, utilizzando tuttavia quello acuto. La tendenza a “dire di più”, quasi a “spiegare” il testo ai lettori dell’ambito d’arrivo non è sempre mantenuta con coerenza da Nori, visto che in certi punti le soluzioni lessicali danno invece l’impressione di voler distinguere a ogni costo la traduzione da quelle precedenti. Si potrebbero segnalare vari esempi, fra i quali spicca, nelle tragiche righe conclusive del poema, la resa del termine russo šilo con «punteruolo», mentre nelle altre versioni italiane compare «lesina»:

E in quel momento era successa la cosa più orribile, uno di loro, con il profilo più feroce e più classico, aveva tirato fuori da una tasca un enorme punteruolo, con il manico di legno; forse non era neanche un punteruolo, ma un cacciavite, o qualcosa del genere, non so. E aveva ordinato a tutti gli altri di tenermi ferme le braccia e, per quanto mi difendessi, mi avevano inchiodato al pavimento, ero mezzo impazzito…
‒ Perché, perché? Perché, perché, perché? ‒ avevo mormorato.
E mi avevano infilato il punteruolo dritto in gola… (pp. 204-205).

Il riferimento in filigrana nel testo alla figura del padre di Stalin, di mestiere calzolaio, è stato messo in luce da diversi studiosi ed è troppo pregnante per non essere noto al traduttore, che così facendo lo oscura. Nella scelta dei traducenti italiani prevalgono espressioni colorite, di ambito orale e di origine regionale o gergale spesso al limite della norma; questo si nota specialmente se si prendono in considerazione i termini relativi al motivo alcolico. Per descrivere i vari stadi di ubriachezza lo stesso Erofeev utilizza locuzioni pittoresche provenienti dal linguaggio popolare (prostoreče), tuttavia in russo vocaboli come il verbo pochmelit’sja con i suoi derivati pochmel’e e il diminutivo s pochmeljugi, – letteralmente nel post-sbornia, in pieno hangover -, pur appartenendo al registro gergale sono diffusi e immediatamente comprensibili in tutto il paese. Alcuni esiti proposti da Nori, come «ciclone» e «anticiclone» (sbronza/post-sbronza), dai quali viene derivata la coppia di neologismi «inciclonato/sciclonato», possono senza dubbio apparire soluzioni riuscite e innovative per la loro originalità anche sul piano fonico: «Se tu, mettiamo, bevi dello xeres, e ti è già passato l’anticiclone, non è un pensiero molto pesante. Ma se sei seduto che ti sei inciclonato e non sei riuscito a farti passare l’anticiclone, e lo xeres non te lo danno, e oltretutto ti cade in testa il lampadario, ecco, questo è pesante…. molto opprimente, come pensiero. Soprattutto se sei inciclonato» (p. 37). Si tratta, ad ogni modo, di locuzioni orali d’uso regionale, se non locale, e quindi non immediatamente comprensibili per tutti i lettori italiani. Come si può osservare, lo scrittore aveva già utilizzato queste espressioni nel romanzo Storia dell’Italia e della Russia: «Quindi dal punto di vista degli occidentali, […] ecco da quel punto di vista lì un Presidente della Russia inciclonato dalla mattina alla sera aveva i suoi bei vantaggi» (Nori 2003, 29). A un’indagine non approfondita condotta su diverse fonti e fra parlanti italiani appartenenti alle fasce più giovani i termini in questione non sono risultati familiari né ampiamente diffusi nell’uso quotidiano nazionale. In alcuni blog, forum e social network presenti in rete compare soltanto l’espressione parlata «inciclonato», utilizzata probabilmente nel territorio emiliano, che fa riferimento a un forte stato di annebbiamento, ottundimento e/o rimbambimento causato nella maggior parte dei casi dall’ebbrezza alcolica, ma anche da altri fattori (stanchezza, stress, mancanza di sonno). Il modo di dire viene impiegato anche per esprimere l’idea di «sentirsi come in mezzo a un ciclone»; si veda fra gli altri il forum presente sul sito <http://www.calcioreggiano.com>. Lo stesso discorso vale per le espressioni parlate «buttar via» (o «buttar fuori») al posto della forma standard vomitare, e della colorita perifrasi «prendersi una ciotola integrale/imperiale».

Fra gli altri elementi degni di rilievo, una delle dominanti della traduzione è rappresentata dal flusso cadenzato dell’oralità, che riflette quel “marchio” della parlata emiliana tipico della scrittura di Nori («e poi dopo», «prender su», l’impiego reiterato della congiunzione “che” polivalente, la presenza di frasi ellittiche, l’uso insistito della ripetizione con valore ritmico e prosodico). Questa tendenza generale appare particolarmente adeguata alla resa del monologo dell’io narrante, un continuum di lingua parlata che fa oscillare l’ordito linguistico di Moskva-Petuški fra dialoghi irriverenti, guizzi parodici e intense pause liriche. La pulsione autofinzionale insita nella narrazione, che presenta svariate affinità con le strategie dell’autofiction, emerge chiaramente dalla traduzione. Nel complesso la versione di Nori si rivela target-oriented, ovvero rivolta principalmente ai lettori del contesto d’arrivo. Si coglie infatti una maggiore attenzione alla resa italiana rispetto alla riproduzione (o meglio, alla ri-creazione) delle strutture morfologiche e dei meccanismi della lingua russa. Si pensi alla prefissabilità, uno dei tratti morfologici distintivi del russo, che conferisce ai termini specifiche sfumature foniche e semantiche; a titolo di esempio, nella traduzione italiana del poema a cura di Mario Caramitti si possono distinguere dei tentativi di riprodurre in italiano gli effetti dei prefissi verbali («sfarfallare/sfarfallare»), volti a riecheggiare il peculiare ritmo della prosa erofeeviana. Nel caso di Nori il concetto di “fedeltà all’originale” si sposta su un altro piano, meno immediato ed evidente, tuttavia ciò può comportare il rischio di un’eccessiva attualizzazione e semplificazione del testo. Tra i numerosi riferimenti intertestuali di cui il poema è intessuto vengono messi in luce soltanto alcuni motivi, e si tratta per la maggior parte di spunti legati a realia quotidiani dell’epoca. I richiami di natura culturale che conferiscono all’opera uno spirito modernista di fondo, fra i quali la visione onirica del viaggio, il sottotesto religioso e il fitto dialogo con la poesia simbolista del primo Novecento rimangono invece un po’ in ombra. Il tema alcolico, ad esempio, è un trait d’union vistoso che assume molteplici valenze fra le righe del testo; in ultima analisi, tuttavia, la pittoresca e ambigua celebrazione dei diversi stati di ebbrezza rappresenta un espediente formale, un mezzo artistico che collega le schegge narrative, e non il principale filone contenutistico. Il bere dilagante dei russi nel grigiore brežneviano, oltretutto, aveva caratteristiche e sfumature tragiche, diverse da quelle prevalenti in Occidente oggi. Accanto alla trasfigurazione letteraria, alla satira del byt sovietico degli anni settanta e al leggendario alone di “maledettismo” creatosi intorno all’autore, è bene tener presente anche gli effetti negativi dell’ambiguo rapporto con l’alcol, che ha avuto conseguenze devastanti sulla vita di Erofeev e su quella della sua famiglia. Sui riferimenti culturali presenti in Moskva-Petuški si vedano in particolare i commenti critici al testo a cura di Levin 1996 e Vlasov 2000; per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito russo dedicato a Venedikt Erofeev <http://www.venedikterofeev.ru>). Riguardo al percorso biografico dello scrittore si segnala il documentario realizzato dal regista polacco Pawel Pawlikowski, da poco reperibile in rete nell’originale russo con sottotitoli in inglese e in italiano: From Moscow to Pietushki. A journey with Venedikt Erofeev [Москва-Петушки] (2000: cfr. <https://www.youtube.com/watch?v=afWyBJZ37ZU>); nella versione sottotitolata in italiano viene proposta proprio la traduzione di Paolo Nori. Sul controverso rapporto con l’alcool si veda anche una recente intervista al figlio dello scrittore, Venedikt Venediktovič Erofeev (1966), rilasciata in occasione della commemorazione del settantaseiesimo compleanno del padre (24 ottobre 2014): cfr. Čtoby byt’ kak otec, ja uchodil v zapoj (Per essere come mio padre, mi prendevo delle sbronze colossali), disponibile sul sito <http://www.segodnya.ua./culture/stars/Venedikt-Erofeev>.

Fra gli aspetti della traduzione in esame che lasciano un po’ perplessi si notano numerosi refusi e imprecisioni nella traslitterazione dei toponimi (le stazioncine-capitoletti), nonché poca cura formale in certi passaggi, con alcune parti del testo non presenti rispetto all’originale indicato come fonte (Erofeev 2000). Non compare inoltre, stranamente, alcun riferimento alla versione italiana di Mario Caramitti, la più vicina come orientamento complessivo e stile linguistico, mentre vengono citate le altre due e i relativi apparati critici. In conclusione, la nuova traduzione di Moskva-Petuški riflette profondamente lo spirito da “contastorie orale” di Paolo Nori, appare intrisa della sua personalità eclettica e della sua appassionata esperienza della Russia. E’ una dimensione a tratti autoreferenziale, fondata tuttavia su una lunga e intensa frequentazione della scrittura di Erofeev e del poema: si veda l’introduzione, nella quale compaiono originali aperture sulla ricezione dell’opera, con la traduzione inedita di frammenti aforistici tratti dai taccuini dello scrittore russo intitolati Bezpoleznoe izkopaemoe, che equivale letteralmente a «Fossile inutile». A un’analisi attenta della sua intelaiatura ritmica, questo lavoro rivela una sensibilità traduttiva non solo sul piano della competenza linguistica, ma anche a livello stilistico: fra le righe affiora infatti il variopinto cantilenare emiliano di una voce autoriale che dialoga a distanza con quella di Erofeev, gettando idealmente un ponte fra spazio e tempo, fra lingue e culture.

Riferimenti bibliografici

Erofeev 2000: Venedikt Erofeev,Moskva-Petuški s kommentarijami Eduarda Vlasova, Moskva, Vagrius, 2003 (2000).

Levin 1996: Jurij Levin,Kommentarij k poème «Moskva-Petuški» Venedikta Erofeeva, Graz, Pfandl, 1996, «Materialen zur Russischen Kultur 2».

Nori 2003: Paolo Nori, Storia dell’Italia e della Russia, Ravenna, Fernandel, 2003.

Remonato 2004: Ilaria Remonato, V. Erofeev, Tra Mosca e Petuški (Poema), traduzione dal russo e cura di Mario Caramitti, Roma, Fanucci, 2003; Mosca-Petuški e altre opere, cura e traduzione di Gario Zappi, Milano, Feltrinelli, 2004, in «Quaderni di Lingue e letterature straniere», 29/2004, Università degli Studi di Verona, pp. 159-164.

– 2013: Ilaria Remonato, Dal russo all’italiano: gli itinerari linguistici di Moskva-Petuški, «mediAzioni» 14, (2013), <http://mediazioni.sitlec.unibo.it, ISSN 1974-4382>.