Categoria: Numero 18 (primavera 2020)

Numero 18 (primavera 2020)

Quando Montale traduceva (per vivere)

di Edoardo Esposito |

Nel 1927, lasciata Genova, Montale chiudeva il faticoso periodo del suo precariato giovanile e, assunto a Firenze dall’editore Bemporad, poteva finalmente contare su un magro ma sicuro compenso mensile. L’impiego, tuttavia, non procura soddisfazione («Lavoro stupidamente», scrive all’amico Sergio Solmi il 25 marzo), e soprattutto non si configura come sufficientemente stabile; così, dopo poco più di un anno, saputo che stava per diventare vacante il posto di direttore del Gabinetto Vieusseux, è lì che il poeta avanza la sua candidatura. Racconta Giulio Nascimbeni:

La Traductologie e L’Harmattan

PROFILO DI UNA COLLANA DEDICATA ALLA TEORIA E ALLA PRATICA DELLA TRADUZIONE

di  Giulia Baselica /

Alla traduttologia la casa editrice parigina L’Harmattan dedica una intera collana ouverte à toutes les approches théoriques et métodologiques, appliquées à tous types de textes traduits; «aperta a tutti gli approcci teorici e metodologici, applicati a tutti i tipi di testi tradotti» (traduzione mia) – si legge nella presentazione della collana riportata su ogni volume – e volta a pubblicare titoli che trattano temi inerenti alla traduzione e all’interpretazione in una prospettiva multilingue, interculturale e intersemiotica.

La letteratura italiana in Ungheria negli anni duemila

QUALCHE RIFLESSIONE, CON UNO SGUARDO RETROSPETTIVO AL NOVECENTO

di Margit Lukácsi |

Questa riflessione intende affrontare la questione della ricezione della letteratura italiana in Ungheria nello specchio delle traduzioni durante l’ultimo ventennio. Poiché la traduzione può essere vista come atto di mediazione interculturale, luogo privilegiato di contatto tra lingue e culture diverse, può essere importante studiare la fortuna delle pubblicazioni di opere provenienti da un’altra cultura dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo nell’arco di un determinato periodo, nonché il mutamento dei valori e delle valorizzazioni. La mia indagine abbraccia più o meno due decenni, gli anni duemila, quando la situazione editoriale ungherese, in conseguenza della globalizzazione, non si differenziava molto dall’andamento del mercato librario di altri paesi europei. È tuttavia interessante seguire e interpretare le singole scelte editoriali e le specializzazioni locali,

Vito Pandolfi

BRECHT E GLI ESPRESSIONISTI NEL TEATRO ITALIANO DEL DOPOGUERRA
di Raffaella di Tizio |
Con il suo impegno di regista teatrale, oltre che di critico, collaboratore e ispiratore di importanti progetti editoriali, Vito Pandolfi fu al centro della prima ricezione italiana di Bertolt Brecht e dell’espressionismo tedesco. Attivo nella resistenza clandestina, era divenuto famoso per la messinscena a Roma nel febbraio del 1943, con il regime ancora saldo al potere, di una personale e sovversiva versione della proibita Dreigroschenoper (1928). Nel dopoguerra svolse una fondamentale azione di divulgazione della drammaturgia tedesca in Italia, ma il suo ruolo di mediatore è stato solo parzialmente acquisito dalla storiografia.

Giovanni Giudici

di Teresa Franco |

La formazione

Il nome del poeta, traduttore e giornalista Giovanni Giudici (La Spezia 1924 – Le Grazie 2011) è legato soprattutto a Milano, sua città adottiva. La sua formazione avviene, però, a Roma, dove si trasferisce dalla Liguria nel 1933, ancora bambino, e vive gli anni più drammatici della storia del Novecento. Nel «pontificio collegio» rievocato in una celebre poesia (Te Deum, in Giudici 2008, 396-400) compie parte degli studi, e nel quartiere popolare di Montesacro, immortalato nelle pagine di una prosa narrativa, trascorre sia l’infanzia fascista sia la giovinezza dell’impegno antifascista (Giudici 1989, 110-133).

Il fuoco che arde sotto la terra

di Margherita Carbonaro

autrice di Regīna Ezera, Il pozzo, Milano, Iperborea, 2019 (da Aka, inizialmente pubblicato sulla rivista «Zvaigzne» – 1971, n.11 e 1972, n. 4 – e successivamente in volume: Riga, 1972) |

Quando lessi per la prima volta Aka ho provato subito il desiderio di tradurlo. Volevo trasferire dal lettone in italiano il suono di quella voce pacata, apparentemente distante eppure vicinissima non solo ai suoi personaggi ma anche agli oggetti e ai fenomeni del mondo naturale. Una difficoltà che ho dovuto affrontare durante il lavoro di traduzione è stata la presenza di tanti termini legati all’epoca e al luogo, cioè la Lettonia sovietica tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, quel mondo in cui circolano automobili Pobeda («vittoria» in russo), dove

Una valigia di coraggio

di Hilary Basso

autrice di Michelle Steinbeck, Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena, Latina, Tunué, 2019 (da Mein Vater war ein Mann an Land und im Wasser ein Wahlfisch, Basilea, Lenos Verlag, 2016)

Dovevo capirlo già dal titolo (strano, e lungo per giunta, ma geniale) che l’impresa in cui mi stavo imbarcando non mi avrebbe fatto dormire la notte. Da quando, leggendo il romanzo per la prima volta senza armarmi di bisturi del mestiere, il mio orizzonte d’attesa veniva continuamente spostato, abbattuto. Lo stile che parla da sé, le parole pregne di significato che giocano

Le “mie” montagne russe

di Matteo Lefèvre |

autore di Nicanor Parra, L’ultimo spegne la luce, Milano, Bompiani, 2019 (El último apaga la luz, Barcelona, Lumen, 2017)

Il cileno Nicanor Parra è senza dubbio uno dei poeti di lingua spagnola più originali e longevi della scena novecentesca e di questo primo scorcio del nuovo millennio. L’ultimo spegne la luce è una corposa antologia italiana della sua opera che ha inaugurato la nuova collana di poesia internazionale di Bompiani, «CapoVersi».

Ciò che dell’opera del poeta colpisce da sempre generazioni di lettori e critici è la straordinaria originalità della sua scrittura, che lo ha portato a ideare e perseguire il genere dell’«antipoesia», cioè una poesia prosaica, lontanissima dalle atmosfere, dai motivi e dallo stile della lirica più nota e celebrata nel mondo ispanico. Da qui la suggestio

Una koiné giovane

di Giulio Sanseverino e Marina Di Leo, autori di David Lopez, Il feudo, Palermo, Sellerio, 2019 (da David Lopez, Fief, Seuil, Parigi 2017) |

Accedere al feudo dalle pagine di Il feudo significa ritrovarsi in una piccola città tra periferia e campagna, né adulti né ragazzini, né «fighetti delle case bene, ma neppure feccia dei quartieri bassi», a fumare canne, bere, giocare a carte, prendersi in giro; per la gioia di annoiarsi, senza mai annoiarsi davvero. E soprattutto significa addentrarsi in una lingua ritmica, sfuggente e proteiforme, qual è il parlato giovanile.

Questo non è per te

di Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, autori di Mark Z. Danielewski, Casa di foglie, Roma, 66thand2nd, 2019 (traduzione di House of Leaves, Pantheon Books, New York, 2000)

È sempre complicato tradurre un testo a più mani: si rischia di perdere il filo del discorso, di mescolare i registri e di finire per produrre un patchwork di voci che poco ha a che vedere con l’opera originale. Per questo di solito, quando ci affidano una traduzione condivisa (capita spesso, siamo marito e moglie, e ci revisioniamo a vicenda), ci muoviamo sempre con estrema cautela, pur conoscendo alla perfezione le debolezze e i «tic» l’uno dell’altra. Con Casa di foglie, però, ci siamo trovati di fronte sfide completamente nuove: il libro è un mondo a sé, un piccolo universo popolato di entità vive, pulsanti, che si muovono (e con loro si muove anche il lettore, costretto a girare fisicamente il libro, capovolgerlo, osservarlo allo specchio