di Alice Gardoncini |
A proposito di: Cesare Cases, Laboratorio Faust. Saggi e commenti, a cura di Roberto Venuti e Michele Sisto, Macerata, Quodlibet, 2019, pp. 573, € 32,00
Se l’essenza di un mito non risiede nella sua origine ma coincide invece con la storia e con le tappe della sua stessa elaborazione, allora Laboratorio Faust contribuisce in modo decisivo, e si potrebbe dire programmatico, alla ricostruzione di ciò che il capolavoro goethiano ha significato per la seconda metà del Novecento italiano.
In un’intervista del 1971 Cesare Cases, rievocando la tavola rotonda in cui si presentava al pubblico la traduzione italiana di Franco Fortini del 1970, riferiva che tra i critici tedeschi circolava un diffuso stupore «per il fatto che simili traduzioni rivelano la possibilità per noi [italiani], di un rinnovato contatto con testi che sembrano non dir più nulla alle nuove generazioni in Germania» (p. 178). Affermazione che se inizialmente può a sua volta stupire, dà in realtà voce al ben noto fenomeno secondo il quale alcuni capolavori del passato raggiungono maggior leggibilità all’estero, dove tradurli, e soprattutto ritradurli, periodicamente è un’operazione che non ha bisogno di essere legittimata. E dà conto al contempo di come Cases ritenesse di avere un punto di osservazione privilegiato sul Faust.