Lo strano caso delle “storie sommerse” dei fratelli Grimm

RIFLESSIONI SU RISCRITTURA, TRADUZIONE E DIDATTICA

di Camilla Miglio

DIsegno di Fabian Negrin

DIsegno di Fabian Negrin

L’idea che vada esplorato un “canone sommerso” appartiene alla filologia dei testi antichi, che ancora in tempi recentissimi lavora sulla trasmissione di testi perduti. Perduti perché non protetti dalle istituzioni della polis; perché orali e rimasti nella dimensione performativa; perché esclusi dalla conservazione d’archivio o di biblioteca a causa del loro contenuto ritenuto basso e non adeguato alla memoria di lunga durata. Nonostante il passare degli anni, anche migliaia, gli studiosi riescono a ricostruire la fisionomia – nei temi o nelle modalità di rappresentazione – di questo canone sommerso osservando le tracce dell’oralità nella scrittura oppure le sopravvivenze di testi in diversi volgarizzamenti, manoscritti, traduzioni; o ancora nella tradizione iconografica (cfr. il recente volume di Colesanti e Giordano 2014).

La categoria di sommerso è applicabile ad alcuni ambiti delle filologie moderne. Soprattutto nel caso dei fratelli Grimm, il “sommerso” invita a utili considerazioni dal punto di vista della storia della cultura e della traduzione, ma anche della didattica della letteratura e della traduzione stessa. Pensando ai Grimm possiamo infatti dire che essi hanno fatto «emergere», nel senso di «portare alla pubblicazione» (cfr. Ercolani 2014, 15-17), tutta una serie di testi a stampa o orali scomparsi dalla circolazione editoriale o dalla tradizione alta, filtrandoli attraverso la loro attività redazionale. Tale attività comprende una fase di raccolta, quindi di affioramento del materiale, e una successiva fase di selezione/censura, che condanna a sommergere o ri-sommergere una parte del corpus raccolto (cfr. Sonnino in Colesanti e Giordano 2014). Il processo non si snoda, come per gli studi sull’antico, nella diacronia di secoli, bensì di decenni. Pertanto se è un fenomeno interessante per capire, attraverso i Grimm, il farsi di un classico fondativo dell’identità tedesca ed europea, serve anche per comprendere, quasi in vitro, il funzionamento di un campo culturale in cui sono in gioco oggetti materiali, valori autoriali (di singoli autori che firmano un’opera, dei loro traduttori e adattatori) e valori collettivi (il sistema editoriale/culturale che accompagna, accoglie e/o determina le regole del meccanismo a incastro dei processi di emersione e sommersione; cfr. Bourdieu 2005).

Di Jacob e Wilhelm Grimm ho tradotto le fiabe “sommerse” apparse solo nel primo tomo della prima edizione del 1812. Il volume è stato edito da Donzelli nel 2012, a cura di Jack Zipes, col titolo Principessa Pel di Topo e altre 41 fiabe da scoprire.

I Grimm – è bene ricordarlo – all’altezza cronologica della redazione delle loro fiabe (1810-1812) non si sentivano affatto autori, ma editori, raccoglitori di storie orali, interpolate con tradizioni scritte di vario genere e ricognizioni filologiche che spinsero altri in tutta Europa alla scoperta di narrazioni perdute, traduzioni e adattamenti da altri patrimoni narrativi. Non a caso avevano deciso di affidare a un “vero poeta” la rielaborazione fiabesca dei loro materiali narrativi, consegnandoli a Clemens Brentano – secondo Heine, il più grande genio poetico del romanticismo tedesco, ma posseduto da una Musa impazzita. Che fosse governato da una Musa quanto meno ondivaga, lo dimostra forse la circostanza che Brentano nel 1810 dimenticò in un monastero il manoscritto, che vi rimase ignorato fino agli anni trenta del Novecento (per i particolari vedi Zipes in Miglio 2012, XIII-XIV).

Chissà che non sia motivata proprio da qualche rimprovero avuto dagli stessi Grimm la frecciata del geniale scapigliato poeta contro la loro pedanteria, presente nella fiaba del Reno. Cito ampiamente dal Rheinmärchen, nella mia traduzione, Fiaba del Reno, pubblicata nel 2008, sempre nella collana «Fiabe e storie» di Donzelli, diretta da Bianca Lazzaro. Siamo al punto in cui la voce narrante è affidata a Pesciolindoro. Si vuole capire l’origine della saga dei Nibelunghi, e il motivo per cui il loro tesoro si trovi in fondo al Reno. La risposta scherzosa e in rima baciata del folletto Clemens allude all’attitudine erudita e poco fantasiosa degli studiosi di tradizioni popolari e di filologia (inclusi due fratelli), che non si prendono alcuna responsabilità per quel che raccontano né per qualunque tesoro, anzi se ne lavano le mani nel verso: «Che a portarlo nel Reno non furono loro».

Brentano 1983, 107-108:

Nun aber, fuhr Goldfischchen fort, muß ich euch auch noch sagen, woher das Licht kam, welches das ganze Gewölbe angenehm erleuchtete: rechts von dem Bette des Vaters Rhein und gerade in der Mitte des Bodens war eine große und runde Öffnung mit einem goldenen Gitter umgeben; es führten Stufen hinab, und unten sah man rings eine Menge Bogengänge nach allen Seiten hin laufen, aus deren jedem ein anderer Glanz heraus schimmerte: grün, rot, blau, gelb, violett, kurz alle möglichen Farben, und als die Nymphen den alten Wassermann fragten, woher dieser wunderbare Schimmer komme, sagte er:

An diesem wunderbaren Ort,
Da ruht der Nibelungen Hort;
Um ihn geschah wohl mancher Mord;
Hier liegen Schilder, Helm und Ringe,
Manch goldnes Heft, manch gute Klinge,
Kleinode und viel andre Dinge,
Der Frauen Zier, der Helden Wehr
Ruht da, viel tausend Zentner schwer,
Und streut das bunte Licht umher.

Da fragte der Weiße Main:

Was heißt das: Nibelungen Hort,
Um den geschah so mancher Mord?
Erklär mir, Wassermann, dies Wort.

Da sagte der Wassermann:

Es ist ein Schatz, der hier versenket,
Der Rhein des selbst nicht mehr gedenket,
Wer ihm denselben Schatz geschenket;

Doch leben noch vier alte Greise,
Macht ihr zu ihnen eine Reise,
So werdet ihr hierin gar weise.

Der erst edieret an der Spree,
Er sagt, der Schatz kam über See,
Er heißt der Doktor Hagene.

Der zweit notieret an der Iser,
Wer ist weitläufiger als dieser?
Und Docen vom Docieren hieß er.

Der dritt und viert sitzt an der Fuld’,
Grimm heißen sie, doch voll Geduld
Studieren sie an einem Pult.

Willst einen um den Schatz du fragen,
So werden alle vier dir sagen,
Daß sie ihn nicht in Rhein getragen.

Und werden drei von ihnen sterben,
So wird der viert die Weisheit erben,
Den ganzen Schatz und alle Scherben
.

Miglio 2008, pp. 84-85:

Ma ora – continuò Pesciolindoro – devo ancora raccontarvi da dove veniva la luce che illuminava tanto bene l’intera volta; alla destra del letto del Padre Reno, e precisamente al centro del pavimento, c’era una grande apertura rotonda protetta da una ringhiera d’oro; alcuni scalini portavano dabbasso, e laggiù si vedevano una gran quantità di corridoi a volta che andavano in ogni direzione, ciascuno dei quali rifletteva una luce differente: verde, rossa, blu, gialla, viola, in breve, tutti i colori possibili, e quando le Ninfe chiesero al Vecchio del Fiume da dove provenissero tutti quei meravigliosi riflessi colorati, egli disse:

In questo luogo meraviglioso,
Il tesoro dei Nibelunghiè ascoso;
Fu causa di orrendi delitti e duelli
Qui giacciono scudi, elmi ed anelli,
Qualche elsa d’oro, lame affilate
Molte altre cose e gioielli lucenti
Difese d’uomini, di donne ornamenti,
Riposano qui, molte libbre ho contate
Da colori e fulgori irradiate.

Allora il Meno Bianco domandò:

Il tesoro dei Nibelunghi è ascoso
Causa di orrendi delitti e duelli: cosa può significare?
Vecchio del Fiume, mi puoi spiegare?

E disse il Vecchio del Fiume:

C’è un tesoro che qui è sprofondato
Nemmeno il Reno può ricordare
Chi quel tesoro gli ha donato;

Ma quattro Vecchi potete cercare,
Vivono, vivono ancora!
Partite e fatevi raccontare.

Il primo è editore sulla Sprea
Dice, il tesoro lo portò la marea,
Si chiama Doktor Hagene.

Il secondo sull’Iser fa note al testo,
Chi più di lui ha il cervello desto?
E si chiama Docen von Docieren.

Terzo e quarto siedono a Fulda,
Si chiamano Grimm, cioè malvolenti
Ma studiano al tavolo molto pazienti.

Se a uno chiederai del tesoro
Ti diranno tutti e quattro in coro
Che a portarlo nel Reno non furono loro.

E se tre di loro trapasserà,
Il quarto il sapere erediterà
E cocci e tesori stretti stretti terrà.

Pedanti o no, per fortuna i Grimm erano previdenti. Della raccolta delle loro storie sparse avevano redatto una copia, per quanto incompleta. A quel punto furono essi stessi a servirsene come base per la prima edizione degli ormai canonici Kinder-und Hausmärchen. Non tutti sanno tuttavia che l’edizione oggi in circolazione è la settima, frutto di un lavoro di continua riscrittura, sempre più autoriale da parte dei due fratelli, che risale al 1857, ed è successiva dunque alle edizioni del 1812-15 e 1819). Di tutta questa vicenda dà conto la godibilissima introduzione di Jack Zipes al mio lavoro di traduzione (ma vedi anche Zipes 2012, IX-XXI). Nel corso di quasi quarant’anni, per sette volte, di edizione in edizione, i Grimm reagiscono ai desiderata del pubblico, l’audience dell’epoca, adattandosi a un orizzonte di attesa per un libro pedagogico e familiare, che sarà poi così importante sul piano identitario per una nazione in fieri, la Germania.

Di grande interesse è l’aspetto transnazionale in questa storia di ripetute riscritture, recentemente messa in luce dalla tesi di laurea triennale di Alessandro Piccirillo, studente alla «Sapienza» di Roma (Piccirillo 2012), che mostra come la progressione della scrittura dei Grimm si nutra anche dell’interferenza col campo culturale e letterario inglese. Il carteggio tra i Grimm e il primo traduttore Edward Taylor rivela come i fratelli tenessero d’occhio sempre meno la filologia e sempre più la costruzione di un pubblico, di cui si cercava il gradimento ma che si voleva anche educare a valori nazionali e borghesi. Riprendendo Jack Zipes possiamo dire che essi «contribuirono alla ‘borghesizzazione’ letteraria dei racconti orali che erano appartenuti ai contadini e alle classi inferiori, che in essi avevano trasposto i loro interessi e aspirazioni». Partendo da questo assunto è facile capire perché i Grimm abbiano condannato volontariamente alla sommersione i testi più autenticamente “popolari” (l’espressione va comunque assunta con cautela), “scabrosi”, poco “letterari” o poco adatti al composito uditorio di chi amava ascoltare narrazioni familiari, pubbliche o semipubbliche, oppure inadatti a essere illustrati con immagini e disegni per grandi e piccini, cartoline, scatole di biscotti e quadretti a punto a croce.

Ma è bene dare la parola per esteso a Zipes:

La prima edizione dei Kinder- und Hausmärchen si presenta come una meravigliosa mescolanza di voci diverse e di fiabe trasmesse da contadini, artigiani, donne borghesi e aristocratici. Come ha spiegato Heinz Rölleke, il più eminente studioso tedesco delle fiabe dei Grimm, in un recente libro, Es war einmal… Die wahren Mährchen der Brüder Grimm und wer sie ihnen erzählte (2011), le fiabe della primaedizione sono tendenzialmente più crude e autentiche di quellepubblicate nelle edizioni successive, perché i Grimm non apportaronogrossi cambiamenti. Sono fiabe affascinanti perchérecano ancora l’impronta degli informatori e sono per lo piùsconosciute al grande pubblico. Per coglierne il significato storicoè importante sapere qualcosa del retroterra degli informatorie delle fonti, come pure del contesto socio-culturale in cuivennero raccolte. Le fiabe della prima edizione spesso narravano di giovani «lacerati» e molte venivano raccontate per illustrare conflitti ricorrenti che esistono tuttora ai giorni nostri (Zipes in Miglio 2012, XXI, nella traduzione di Bianca Lazzaro di un testo scritto dallo studioso americano appositamente per questa edizione e inedito in originale).

Lavorando alla traduzione della prima edizione mi sono subito trovata di fronte alla grande differenza di stile e tono, di lessico e sintassi tra questa prima e le edizioni successive. Partendo da tale evidenza, il primo obiettivo del mio lavoro sarebbe stato cercare di salvare l’oralità nella scrittura, e recuperare il doppio destinatario per il quale la prima edizione era stata pensata. Bisognava mantenere le ripetizioni, le incongruenze, le sospensioni a volte illogiche rimaste a caratterizzare questa iniziale quasi-trascrizione delle voci narranti raccolte dai Grimm, certamente più forti, dal punto di vista stilistico ed emotivo, delle fonti scritte da loro consultate nelle prime ore. Bisognava cercare di mantenere le rime nei piccoli inserti in versi, che valevano più per l’aspetto fonico che per il loro contenuto comunicativo. Valga per tutte l’esempio della fiaba di apertura del Principe Ranocchio (in Miglio 2012, 3-5, che traduce Der Froschprinz, da non confondere con Der Froschkönig oder der eiserne Heinrich), tra le più radicalmente rimaneggiate nelle edizioni successive, la quale narra di tre sorelle principesse che vanno ad abbeverarsi alla fonte.

Grimm 1812, Nr. 13, in Röllecke 2001, pp. 31-33:

Endlich kam die dritte, und schöpfte auch, aber es ging ihr nicht besser und der Frosch sprach auch zu ihr:

«wann du willst mein Schätzchen seyn,
will ich dir geben hell, hell Wässerlein
».

«Ja doch! ich will dein Schätzchen seyn, sagte die Prinzessin, schaff’ mir nur reines Wasser», sie dachte aber: was schadet dir das, du kannst ihm ja leicht aus Gefallen so sprechen, ein dummer Frosch kann doch nimmermehr mein Schatz seyn. Der Frosch aber war wieder in’s Wasser gesprungen, und als sie nun zum zweitenmal schöpfte, da war das Wasser so klar, daß die Sonne ordentlich vor Freuden darin blinkte. Sie trank sich recht satt und brachte ihren Schwestern noch mit hinauf: «was seyd ihr so einfältig gewesen und habt euch vor dem Frosch gefürchtet».

Darnach dachte die Prinzessin nicht weiter daran und legte sich Abends vergnügt in’s Bett. Wie sie ein Weilchen darin lag und noch nicht eingeschlafen war, da hört sie auf einmal etwas an der Thüre krabbeln, und darnach singen:

«Mach’ mir auf! mach mir auf!
Königstochter, jüngste,
weißt du nicht, wie du gesagt
als ich in dem Brünnchen saß,
du wolltest auch mein Schätzchen seyn,
gäb’ ich dir hell, hell Wässerlein
».

«Ei! da ist ja mein Schatz, der Frosch, sagte die Prinzessin, nun weil ich’s ihm versprochen habe, so will ich ihm aufmachen», also stand sie auf, öffnete ihm ein Bischen die Thüre und legte sich wieder. Der Frosch hüpfte ihr nach und hüpfte endlich unten in’s Bett zu ihren Füßen und blieb da liegen, und als die Nacht vorüber war und der Morgen graute, da sprang er wieder herunter und fort zur Thüre hinaus. Am andern Abend, als die Prinzessin wieder im Bett lag, krabbelte es wieder und sang an der Thüre. Die Prinzessin machte auf, und der Frosch lag bis es Tag werden wollte wieder unten zu ihren Füßen. Am dritten Abend kam er, wie an den vorigen. «Das ist aber das letztemal, daß ich dir aufmache, sagte die Prinzessin, in Zukunft geschiehts nicht mehr». Da sprang der Frosch unter ihr Kopfkissen und die Prinzessin schlief ein. Wie sie am Morgen aufwachte und meinte, der Frosch sollte wieder forthüpfen, da stand ein schöner junger Prinz vor ihr, der sagte, daß er der bezauberte Frosch gewesen, und daß sie ihn erlöst hätte, weil sie versprochen sein Schatz zu seyn. Da gingen sie beide zum König, der gab ihnen seinen Segen und da ward Hochzeit gehalten. Die zwei andern Schwestern aber ärgerten sich, daß sie den Frosch nicht zum Schatz genommen hatten.

Miglio 2012, pp. 4-5:

Infine arrivò la terza, e pure lei riempì il bicchiere, ma non ebbe sorte migliore e pure a lei il ranocchio disse:

«Se mi amerai per la vita
l’acqua tornerà pulita».

«E va bene! Ti amerò per la vita!», disse la principessa.» Ma tu prima dammi acqua pulita!» – pensando fra sé e sé: «Che danno ti fa, glielo puoi dire per fargli piacere, uno stupido ranocchio non potrà mai essere l’amore della tua vita».

Il ranocchio intanto era di nuovo saltato in acqua, e quando lei andò ad attingere per la seconda volta l’acqua era così chiara che il sole ci scintillava dentro con grande soddisfazione. Lei bevve di gusto e ne portò alle sorelle: »Come avete potuto essere così ingenue da spaventarvi per un ranocchio». La principessa non ci pensò più e la sera si mise a letto tutta contenta. Era passato un po’ di tempo, e non si era ancora addormentata, quando sentì un tramestio alla porta, e poi un canto:

«Aprimi aprimi!
Figlia di re, giovane giovane,
non ricordi le tue parole
di quando ero seduto al pozzo,
volevi amarmi per la vita
in cambio d’acqua pulita».

«Ehi, questo è il mio amato ranocchio», disse la principessa. «Promesso è promesso, gli aprirò». E così si levò, socchiuse la porta e si rimise a letto. Il ranocchio salterellò dietro di lei e salta che ti salta si mise in fondo al letto, e lì rimase, ai suoi piedi. La notte passò e già il cielo volgeva al crepuscolo, quando lui con un salto scese e uscì dalla porta.

La notte dopo la principessa era già a letto, e di nuovo sentì il tramestio. Aprì, e il ranocchio restò in fondo al letto ai suoi piedi, fino al mattino. La terza sera accadde lo stesso. «Questa però è l’ultima volta che ti apro – disse la principessa, – non accadrà mai più». E il ranocchio saltò sotto il cuscino e lei si addormentò.

Quando al mattino si svegliò, la principessa pensava che il ranocchio dovesse salterellare via, e invece si trovò davanti un principe giovane e bello che diceva di essere il ranocchio stregato: lei lo aveva liberato promettendogli amore a vita.

Insieme andarono dal re che li benedisse, e il matrimonio fu celebrato subito. A quel punto le altre due sorelle non si tenevano dalla rabbia di non avergli promesso amore a vita.

L’attenzione che ho dovuto porre nel tradurre questo testo riguarda il registro, colloquiale ma non rivolto solo ai bambini, anche per le implicazioni evidentemente erotiche sparse per tutta la narrazione, ed espresse nell’edizione Donzelli anche nell’illustrazione di Fabian Negrin, che ha a suo modo tradotto in immagini lo spirito di questa raccolta “sommersa”. In questo caso l’illustrazione accentua la carica sensuale della terza principessa, e la strana incongruenza del piccolo ranocchio di fronte a un corpo che sembra riprendere modelli iconografici che associano Crepax e Tiziano.

Quanto alle rese lessicali, era importante, per fare un esempio, trovare una parola in rima con «vita», chiave che chiude l’intero racconto. Chiave perché tiene insieme il gioco d’amore – che sembra orrido ma non lo sarà – con l’idea di acqua – che sembra torbida ma non lo è. Alla fine sono approdata alla serie/coppia pulita – vita. E possa costituire un analogon alla serie fonica dell’originale Schatz zu sein – Wasserlein.

A volte il ductus orale percepibile nella narrazione non riuscivo a trovarlo attraverso scelte lessicali. E qui come in molti luoghi del testo ho fatto ricorso allo stratagemma della ripetizione. Forte della cospicua presenza di ripetizioni nel testo di partenza, semplicemente ne ho accentuato l’occorrenza. E così qui: «giovane giovane»; «promesso è promesso». E, in altre fiabe: «lemme lemme», «bella bella» eccetera.

Se si legge l’intera fiaba si può cogliere un carattere formulare nella caratterizzazione dei comportamenti delle tre sorelle, e l’uso delle stesse parole, a indicare la ripetitività dell’azione, compiuta tre volte. In contrasto si profila l’esito finale in favore della terza sorella, il vantaggio da lei ottenuto proprio grazie a uno scarto, a una variatio innanzitutto retorica.

Altre questioni riguardano incongruenze narrative che ho pensato di non normalizzare, come nel caso della divertente fiabaVon dem Schneider, der bald reich wurde (Come un sarto si fece ricco, Miglio 2012, 87-9o). Il protagonista sbirciando dalla finestra vede la cognata in dolci conversari col prete davanti a una tavola imbandita. Poco dopo bussa alla porta e la donna gli apre, ma in casa c’è il marito, evidentemente assente nella scena precedente. Sull’equivoco del prete nascosto in una cassa, di cui il marito è ignaro, si fonda tutto il seguito della vicenda. Ma non è chiaro come e quando il marito sia entrato in casa. Resta un buco narrativo, una spezzatura della logica, ma accade spesso, nella realtà, raccontando, di perdere il filo. E tale resta il filo incongruo nella traduzione, come nel testo del 1812.

Su un punto vale la pena di insistere. Il processo di riscritture, adattamenti, omissioni è molto proficuo dal punto di vista didattico e pedagogico, sia in ambito universitario nei corsi di base, sia in ambito liceale. A lasciarsi prendere per mano c’è la possibilità di una vera e propria esplorazione del campo letterario e culturale, si può cogliere l’occasione per distinguere il farsi di un classico della letteratura che è al tempo stesso opera collettiva, diacronica, orale, di trasmissione folklorica, prodotto editoriale, politico, pedagogico e d’intrattenimento per una data comunità (immaginata o no, prima nazionale e poi più ampia). Altre interessanti osservazioni nascono quando si mettono a confronto le traduzioni italiane e i diversi adattamenti in altre lingue.

La coscienza storico-linguistica e anche editoriale che ne consegue può dare un contributo importante alla formazione degli allievi non solo come studiosi di storia della letteratura, come filologi, ma soprattutto come lettori. Qualche esempio di queste applicazioni didattiche è pubblicato su «il Porto di Toledo», sito di testi e studi sulla traduzione (www.lerotte.net), che documenta i laboratori svolti in parallelo alla pubblicazione della traduzione italiana dei Grimm, presso L’Università La Sapienza, la Casa di Goethe e il Goethe Institut di Roma.

Si vedano per esempio alcuni lavori di gruppo presentati dagli studenti nel corso dei seguenti workshop:

I primi due laboratori hanno riguardato il passaggio dalla storia Gioco di di carte e di birilli (Gut Kegel- und Kartenspiel) alla storia di Uno che voleva imparare la paura (Märchen von einem, der auszog, um das Fürchten zu lernen, presente in Grimm 1857) – adattato in seguito, come ricorderanno alcuni, in Giovannin senza paura da Antonio Gramsci (Gramsci 2011). Il terzo era incentrato sulla Fiaba delle tre filatrici. Il lavoro seminariale è proseguito; agli studenti è stato proposto di tradurre a loro volta le fiabe adattandole per destinatari contemporanei: bambini da 2 a 6 anni, ragazzi, adulti in cerca di una lettura fiabesca d’evasione o folklorica di riflessione.

Il bilancio che a due anni di distanza si può trarre da quest’articolata esperienza di traduzione è che si tratta, per chi traduce e per chi insegna, per chi studia e per chi legge, di un esercizio effettivamente capace di affinare la nostra percettività e di legare la narrazione alla cultura di lunga durata, la lingua alla polifonia, l’oralità alla scrittura, la scrittura alla riscrittura.

Riferimenti bibliografici

Bourdieu 2005: Pierre Bourdieu, Le regole dell’arte, traduzione di Emanuele Bottaro e Anna Boschetti, introduzione di Anna Boschetti, Milano, Il Saggiatore (ed. or. Bourdieu 1992: Les Règles de l’art. Genèse et structure du champ littéraire, Paris, Seuil)

Colesanti e Giordano 2014: Giulio Colesanti, Manuela Giordano (eds.), Submerged Literature in Ancient Greek Culture. An Introduction, Berlin, De Gruyter

Ercolani 2014: Andrea Ercolani, Defining the Indefinible: Greek Submerged Literature and some Problems of Terminology, in Colesanti e Giordano 2014, pp. 7-18

Gramsci 2011: Antonio Gramsci, I racconti dei fratelli Grimm. Le traduzioni originali dei «Quaderni dal carcere», a cura di Nicola Caleffi e Guglielmo Leoni, Sassuolo, Incontri editrice

Grimm 1812: Brüder Grimm, Kinder-und Haus-Märchen Band 1, Große Ausgabe, Berlin, Realschulbuchhandlung

Grimm 1819: Brüder Grimm, Kinder-und Haus-Märchen Band 1, Große Ausgabe, Berlin, G. Reimar

Grimm 1857: Brüder Grimm, Kinder-und Haus-Märchen Band 1, Große Ausgabe Göttingen, Dieterich

Hartwig 1898: Otto Hartwig, Zur ersten englischen Übersetzung der Kinder-und Hausmärchen der Brüder Grimm. Mit ungedruckten Briefen von Edgar Taylor, J. u. W. Grimm, Walter Scott und G. Benecke, Leipzig, Harrassowitz Verlag.

Miglio 2012: Principessa Pel di Topo e altre 41 fiabe da scoprire, a cura di Jack Zipes, traduzione di Camilla Miglio da Jacob e Wilhelm Grimm, illustrazioni di Fabian Negrin, Roma, Donzelli

Miglio, Bocci e Traini 2008: Clemens Brentano, Fiaba del Reno, a cura di Camilla Miglio e Laura Bocci, note di Monica Lumachi, Roma, Donzelli (traduzioni di Laura Bocci, Camilla Miglio e Melani Traini da Clemens Brentano, Das Rheinmärchen, Historisch-Kritische Ausgabe veranstaltet vom Freien Deutschen Hochstift, (Band II), hrsg. Brigitte Schillbach, Stuttgart, Kohlhammer, 1983)

Piccirillo 2012: Alessandro Piccirillo, Germania-Inghilterra e ritorno. Le fiabe dei Grimm 1812-1823-1857. Roma, Tesi di Laurea, Sapienza Università di Roma. Consultazione on line su «Il Porto di Toledo» http://www.lerotte.net/index.php?search=1&id_article=326.

Rölleke 2001: Heinz Rölleke (Hg.), Märchen aus dem Nachlass der Brüder Grimm, 5. verbesserte und ergänzte Auflage, Trier, WVT Wissenschaftlicher Verlag Trier.

Sonnino 2014: Maurizio Sonnino, Comedy outside the Canon: from Ritual Slapstick to Hellenistic Mime, in Colesanti e Giordano 2014, pp. 128-150.Taylor 1979: Edgar Taylor, George Cruikshank, Grimms’ Fairy Tales, Volume One, London, London Scolar Press.

Zipes 2012: Jack Zipes, La fiaba irresistibile. Storia culturale e sociale di un genere, traduzione di Bianca Lazzaro, Roma, Donzelli (ed or. Zipes 2012: The Irresistible Fairy Tale. The Cultural and Social History of a Genre, Princeton University Press, Princeton).