Categoria: Numero 17 (autunno 2019)

Numero 18 (primavera 2020)

Lo storico direttore

Per nove anni e 16 numeri (e ½ …), la rivista «tradurre. pratiche teorie strumenti» è stata diretta da uno storico.

Per salutare e ringraziare Gianfranco, ho dunque pensato di fare, appunto, un po’ di storia, avvalendomi dei verbali delle nostre prime riunioni di redazione.

Era l’autunno del 2010, la rivista non aveva ancora né nome, né sede, né piattaforma wordpress, e la discussione si concentrava sulla scelta del nome.

Il primo verbale risale al 29 settembre 2010, ore 18:00, aula 12 Agenzia Formativa Tutto Europa, via delle Rosine 14, Torino, e recita…

Caro amico, ti scrivo

di Barbara Ivancic | 

Immaginatevi un traduttore alle prese con la traduzione francese di “Ada o ardore” di Vladimir Nabokov. Immaginatevelo così intimorito dalla portata del compito, da ritirarsi su una remota isola dell’Atlantico e affidarsi alla generosità degli isolani, che pur di aiutarlo, mettono su una sorta di impresa di traduzione collettiva, in cui ciascuno a modo suo partecipa al processo traduttivo.

La storia è la trama di un romanzo (purtroppo non tradotto in italiano) di Erik Orsenna, il cui titolo, Deux étés (cfr. Orsenna 1997), allude alla durata di quest’impresa piuttosto bizzarra. Attraverso l’espediente della mobilitazione generale che ha luogo sull’isola, Orsenna mette in scena l’atto traduttivo e, soprattutto, il lavoro del traduttore. I generosi isolani scavano tra le pieghe delle parole, provando in prima persona le fatiche del mestiere e avvertendone allo stesso tempo il fascino.

Che ti dice la patria? / 2 (segue)

SECONDA PARTE DELLA STORIA

di Gianfranco Petrillo |

Il 20 luglio 1944 Enrico Rocca si suicidò. Goriziano del 1895, e quindi suddito dell’Austria-Ungheria, a quella patria aveva voltato le spalle giovanissimo per slanciarsi verso quella che sentiva la sua vera, l’Italia. Studente a Venezia, a vent’anni, nel 1915, aveva fondato con altri un giornalino significativamente intitolato «Guerra», che abbracciava il credo futurista dell’«igiene del mondo». E c’era andato volontario, in guerra, ed era stato anche gravemente ferito. Poi, nel marzo del 1919, era in piazza San Sepolcro, a Milano, tra i fondatori dei Fasci italiani di combattimento.

Lettere ai miei traduttori

di Claudio Magris |

Cari amici,

come molti di voi sanno, io mi sono sempre preoccupato di fornire, a chi si accinge a tradurre ogni mio libro, tutte le informazioni, spiegazioni e riferimenti possibili, per alleviare almeno la fatica materiale del lavoro, la ricerca di frasi o titoli nell’espressione originale, o di fonti e citazioni e così via. Mi sembra il minimo che io possa fare per aiutare, nei limiti delle mie possibilità, chi dà vita al mio testo in un’altra lingua, facendolo vivere ulteriormente in misura essenziale e divenendone in qualche modo un co-autore. Sapete benissimo l’enorme importanza che, a mio avviso, investe una traduzione;

Fumetto, intertestualità, giochi di parole… le solite cose (e un giochino per chi legge)

DEUX MERLINS DI JOANN SFAR: RIFLESSIONI SPARSE

di Fabio Regattin |

È l’estate del 2019. Ho da poco consegnato le traduzioni di due fumetti su cui mi sono molto divertito e del cui risultato sono, per una volta, moderatamente soddisfatto, quand’ecco che ricevo, dalla redattrice con cui sono in contatto, la mail seguente, che riporto testualmente: «Ciao Fabio, non so se riesco a breve a rivedere i testi, come mai hai tradotto jambon con salsiccio? Mi spieghi anche le altre scelte dei nomi per favore? (vuolsi così…)
grazie».

 

Rispettare l’altro non significa tradurlo alla lettera

ANZI, NEL CASO DELL’ARABO È IL CONTRARIO. PAROLA DI ELISABETTA BARTULI

di Paola Mazzarelli |

Elisabetta Bartuli ha tradotto libri di Mahmud Darwish, Elias Khuri, Jabbour Douaihy e diversi altri scrittori di lingua araba a e di varia nazionalità. Inoltre ha curato libri che espongono l’attualità del mondo arabo. Insomma, in fatto di lingua, letteratura e cultura araba ne sa non poco. Sono andata a trovarla a casa sua, a Vicenza, e l’’ho assediata di domande alle quali ha risposto volentieri e con passione.

La prima domanda è di prammatica. Come comincia

L’onda anomala del giallo nordico

di Catia De Marco |

In un suo celebre articolo sulla world literature (Conjectures on World Literature, apparso nel 2000 su «New Left Review»), Franco Moretti suggeriva che una delle metafore fondamentali per descrivere la diffusione di un modello, una forma o uno strumento da una cultura all’altra fosse quella dell’onda: l’onda del cinema hollywoodiano che travolge il mondo intero (e poi torna indietro come la risacca trasformata in Bollywood, aggiungerei io), o quella della lingua inglese che sostituisce le lingue locali perfino nelle università.

Je suis l’opoponax. Come tradurre l’enigma del genere?

di Silvia Nugara | 

[L]es pronoms personnels et impersonnels sont le sujet, la matière de tous mes livres. Par ces mêmes mots qui établissent et contrôlent le genre dans le langage, il me semble qu’il est possible de le remettre en question dans son emploi, voire de le rendre caduc. (Wittig 2001, 134-5)

I pronomi personali e impersonali sono l’argomento, la materia di tutti i miei libri. Mi sembra che il genere lo si possa mettere in questione , persino renderlo caduco proprio attraverso queste parole che lo stabiliscono e controllano nel linguaggio.

Così si esprimeva Monique Wittig nel suo saggio La marque du genre, apparso in inglese per la prima volta nel 1985 con il titolo The Mark of Gender prima di essere incluso nella raccolta The Straight Mind and Other Essays

Per una regia della traduzione

APPUNTI SU RITORNO A FASCARAY, DI ANNALENA MCAFEE

di Daniele Petruccioli | Partiamo dall’assunto che tradurre sia un lavoro, e un lavoro creativo. Mi rendo conto che si tratta di una questione controversa, su cui non esiste accordo né da un punto di vista pratico né teorico, né credo che vivrò abbastanza per vederlo. Se ancora dibattiamo sull’opportunità e sulla legittimità di un discorso creativo a proposito della traduzione; se nelle università italiane l’insegnamento della traduzione di testi creativi rientra ancora esclusivamente sotto l’ombrello dell’apprendimento linguistico; se la critica della traduzione, le rare volte in cui si affaccia a fare capolino su riviste e giornali più o meno specializzati, tende nella maggior parte dei casi a risolversi in un elenco che troppo spesso serve non al tentativo di descrivere un’interpretazione bensì a quello di determinare il maggiore o minor grado di errore; se è vero che non siamo d’accordo nemmeno sulla natura semiologica di questa pratica (figuriamoci sui suoi elementi, per dire, musicali…); se tutto questo è vero, non mi pare il caso di mascherarsi dietro un’introduzione fintamente assertiva che si ridurrebbe a una petizione di principio o peggio a una supplica. Vi chiedo di prenderlo come un assioma. Se lo condividete, non ho bisogno di invitarvi a seguirmi. Se non lo condividete, ma vi interessa vedere dove va a parare un ragionamento che parta da queste premesse, coltivo quanto meno la speranza di riuscire a toccare alcuni punti importanti anche per voi sul modo di pensare e praticare la traduzione.

Un «Meridiano» per Keynes

LA DIFFICILE ATTUALITÀ DELLA NUOVA TRADUZIONE DI UN CLASSICO DELL’ECONOMIA

di Giuseppe Berta | Dedicare un «Meridiano» a John Maynard Keynes non è di per sé una scelta tale da suscitare sorpresa, e non solo perché la collana di Mondadori non ha ospitato soltanto autori di opere letterarie. C’è il precedente, del 1973, di Luigi Einaudi, anche lui economista e a sua volta assai versato nel lavoro giornalistico. Ma Einaudi è stato considerato a suo modo un maestro di scrittura italiana e uno dei fondatori del canone del giornalismo novecentesco.