Categoria: Archivio

Un imprenditore della cultura

LUIGI RUSCA E LE LETTERATURE STRANIERE di Stefano Bragato | Luigi Rusca (Milano 6 aprile 1894 – 9 agosto 1986) è un personaggio molto citato negli studi sull’editoria ma ancora poco studiato, al punto che persino le informazioni biografiche sul suo conto sono relativamente scarse. Conviene dunque richiamare fin da subito i principali punti della sua traiettoria (ringrazio Sara Lonati per avermi fornito i dati fondamentali sulla biografia di Rusca). Nato in una famiglia alto-borghese di imprenditori, studia al Liceo Parini di Milano – dove ha per compagni Piero e Carlo Emilio Gadda – e, dopo aver combattuto come ufficiale di complemento nella guerra del 1915-18, si laurea in lettere classiche all’Accademia scientifico-letteraria (poi Università Statale). Mentre inizia la sua attività al Touring Club Italiano come redattore capo del mensile «Le Vie d’Italia», collabora anche al quindicinale antifascista milanese «Il Caffé», assieme a Riccardo Bauer, Tommaso Gallarati Scotti, Ferruccio Parri, Piero Jahier, Giovanni Mira e Mario Borsa.

«Mi considererò un volgare sub-appaltatore»

GADDA E LA LETTERATURA DI LINGUA INGLESE di Carolina Rossi | Per una serie di motivazioni valutare gli esiti e le circostanze dell’attività traduttiva di Carlo Emilio Gadda richiede di confrontarsi con un campo d’indagine complesso e composito. La prima ha a che vedere con l’orizzonte entro cui si collocano le proposte di traduzione che Gadda riceve: tra gli anni trenta e cinquanta è coinvolto in diverse operazioni promosse da editori, critici e collaboratori editoriali che partecipano al suo progressivo riconoscimento nel circuito letterario e culturale del tempo e che, sulla base di strategie più o meno consapevoli, lo invitano a partecipare a numerose iniziative editoriali. Le traduzioni che Gadda accetta di realizzare interessano le letterature di lingua francese, tedesca, spagnola e inglese: lingue con cui ha un diverso grado di dimestichezza e che, in alcuni casi, non legge in originale, ricorrendo alle traduzioni francesi. La maggior parte di queste proposte rimane irrealizzata per l’insorgere di altri impegni, per circostanze esterne o per il venir meno dell’interesse dello scrittore. Solo due saranno i volumi effettivamente tradotti da Gadda: L’agente segreto di Joseph Conrad (Bompiani, 1953) e La verità sospetta di Juan Ruiz de Alarcón (ERI, 1957). Le collaborazioni ad antologie e i contributi pubblicati su rivista lo impegneranno invece con due traduzioni dal francese (di cui solo la prima è presente in Isella 1993, 1148-1150), due dallo spagnolo (v. Vela 1993; Benuzzi Billeter 2005), una dal tedesco (v. Checola 2014, 193) e una dall’inglese (Isella 1993, 1167-1169).

 «Le radici del pensiero moderno sono nel romanticismo tedesco e in Goethe»

SCIPIO SLATAPER E LA LETTERATURA TEDESCA di Lorenzo Tommasini | Scipio Slataper (Trieste, 14 luglio 1888 – Monte Calvario, 3 dicembre 1915) nasce a Trieste quando la città fa ancora parte dell’impero asburgico. A quell’epoca la situazione linguistica di questa zona presentava una sua complessità: nel centro città prevalevano gli italiani (che spesso usavano il dialetto), mentre nelle periferie erano maggioritari gli slavi, e in particolare gli sloveni. A ciò si aggiunga che l’amministrazione parlava tedesco e di discrete dimensioni appariva anche la componente germanofona. La situazione aveva portato, dalla seconda metà dell’Ottocento, ad animati scontri culturali tra le varie componenti e a un’accesa polemica nei confronti dell’amministrazione asburgica da parte del partito liberalnazionale che controllava il comune dal 1861 e che esprimeva gli interessi del ceto medio di cultura italiana. Slataper, nonostante la sua famiglia sia di cultura italiana, ha dunque occasione di entrare fin da giovane in contatto con la lingua e la letteratura tedesca a causa della condizione della sua città natale. I suoi genitori, di tendenze politiche liberalnazionali, decidono di iscriverlo al ginnasio comunale come fanno molti esponenti della borghesia triestina dell’epoca. Si tratta di una scuola di lingua italiana ma che nei suoi programmi prevede anche l’insegnamento del tedesco. Per questi due motivi acquisisce una prima basilare conoscenza della lingua tedesca.

«Il Convegno» e le letterature straniere

di Anna Antonello | L’ultima parte dell’introduzione all’antologia del «Convegno» (1920-1940), un progetto per lungo tempo perseguito da Enzo Ferrieri (1890-1969) ma mai realizzato, si intitola Noi e l’Europa e si apre con le seguenti parole: «Da quando nacque la Rivista e fino al suo ultimo numero, ritenemmo primo impegno quello di dare una realtà alla nostra ansiosa tensione verso l’Europa.» Nelle pagine che seguono il fondatore e direttore del mensile letterario elenca le (ri)scoperte internazionali più celebri e celebrate – a partire dall’eclettica triade Joyce, Kafka, Proust –, sottolineando la capacità dei suoi collaboratori, pur profondamente ancorati al mondo intellettuale milanese, di guardare oltre il confine nazionale, non tanto per motivi di affermazione e di prestigio, quanto per comunicare in «un linguaggio che nasceva dalla cultura e dalla vocazione europea».

«Il Convegno» e la letteratura irlandese

di Antonio Bibbò | La presenza di due tradizioni letterarie come quelle irlandese e scandinava in questo speciale sul «Convegno» mi è parsa fin da subito emblematica della varietà di interessi di Ferrieri e soci, così ben rappresentata nei circa vent’anni di esistenza della rivista, eppure caratterizzata da fiammate di entusiasmo, da stagioni dense, brevi e uniche, in cui una letteratura sembrava invadere le pagine della rivista in maniera quasi esclusiva per poi pressoché sparire negli anni successivi. Di certo è quello che è successo con la letteratura irlandese, che tiene a battesimo la creatura di Ferrieri (e Linati) e poi finisce per sparire, quasi del tutto, negli anni successivi.

«Il Convegno» e le letterature scandinave

di Sara Culeddu | Lo spazio che Enzo Ferrieri dedica alle letterature scandinave rivela quanto «Il Convegno» abbia assunto un ruolo di mediazione per le letterature scandinave che con tutta probabilità si è spinto anche oltre le intenzioni dello stesso Ferrieri. Nell’introduzione all’antologia de «Il Convegno» (Ferrieri 2020) si esprime il desiderio di creare una carta geografica della letteratura contemporanea, mappando lo spirito moderno europeo. In quest’ottica il progetto di Ferrieri realizza a mio avviso due cose: da un lato inserisce di fatto la Scandinavia in questa carta europea in un modo in cui ancora non era mai stato fatto in Italia; dall’altro è capace di coglierne proprio lo spirito moderno, con un’attenzione alla letteratura contemporanea che amplia la percezione di un Nord che, fino a quel momento, era stato prevalentemente ibseniano, strindberghiano e kierkegaardiano.

Il «Convegno» e la letteratura inglese

di Sara Sullam | Nel panorama delle riviste letterarie dell’entre deux guerres il nome del «Convegno» è associato, per le letterature di lingua inglese, a un nome sopra tutti: James Joyce. Come ricorda Ferrieri nell’introduzione all’antologia, «Il Convegno» ebbe il merito di essere il primo a far conoscere l’opera dell’irlandese in volontario esilio europeo al pubblico italiano: «Di James Joyce fummo, ritengo, i primi a occuparci in Italia.» (Ferrieri 2020, 44; per una trattazione esaustiva della presenza di Joyce sulla rivista si rimanda al libro di Antonio Bibbò (2021) e al suo contributo nel presente numero).

«Il Convegno» e la letteratura tedesca

di Anna Antonello | […] prima che si usasse dire “l’Europa letteraria”, l’universo, l’organizzazione del mondo e tutte quelle robe europeiste o universalistiche venute di moda dopo, [Il Convegno] è stato in sé e per sé al di sopra di tutte le mischie e al di sopra di tutti i paesi, perché non è che si è voluto dare le novità di oltreconfine, non c’è stato affatto lo snobismo che è un po’ venuto poi di moda di dire ah, noi siamo quelli che sappiamo chi sono gli islandesi e voi siete quelli che sanno chi sono gli ungheresi; in fondo c’è stato l’istinto di leggere quel che veniva, di leggere quel che c’era. (Mazzucchetti Lavinia 1965) 

Una vita col botto

di Laura Cangemi autrice di Jenny Jägerfeld, La mia vita dorata da re, Milano, Iperborea, 2021 (da Mitt storslagna liv, Stockholm, Rabén&Sjögren, 2019) | Chiunque affianchi alla traduzione lo scouting editoriale sa quanto è grande la soddisfazione che si prova vedendo accolta la propria proposta e, soprattutto, traducendo il libro di cui si è suggerito l’acquisto. Con La mia vita dorata da re è stato un colpo di fulmine: lette le prime cento pagine (meno di un terzo del totale), ho chiamato la direttrice editoriale di Iperborea e le ho detto che doveva comprare quel libro. Cristina Gerosa si è fidata e ha avviato le trattative con l’agente senza nemmeno avere in mano la mia scheda di lettura. Jenny Jägerfeld è un’autrice che seguo da anni e non vedevo l’ora che scrivesse un libro come questo

Quale lingua per tradurre Eliot

di Carmen Gallo autrice di T.S. Eliot, La terra devastata, Milano, Il Saggiatore, 2021 (da The Waste Land, 1922) | Tradurre un classico come The Waste Land di T.S. Eliot è stata una decisione maturata nell’arco di molti anni. Volevo tornare a mettere alla prova la nostra lingua per vedere se, accanto alle traduzioni precedenti, si potesse far emergere altro da un testo così complesso. In particolare, mi stava a cuore restituire la varietà dei registri linguistici del testo originale: lirico, colloquiale, letterario (da Dante a Hesse), biblico e omiletico, tra gli altri. Ho spesso notato nelle traduzioni verso l’italiano una certa tendenza ad aulicizzare la lingua del testo poetico, anche quando piano o quotidiano. Come se, nell’orizzonte di attesa di cosa ‘suoni’ poetico, persistesse un modello linguistico ancora legato a stilemi romantici o ottocenteschi. Questa lingua poetica attardata, che privilegia inversioni aggettivo-nome, un lessico volutamente obsoleto, una sintassi artatamente complessa, sembra non considerare modelli che nel Novecento hanno invece sperimentato un dettato poetico, sia alto che basso, efficace senza automatismi desueti