Categoria: Archivio

La citazione – La traduzione è un passatempo

DEDICATO A QUELLI CHE CI CAMPANO (O QUASI) di Ernst Jünger […] gehörte die Übersetzung seit jeher zu den höheren Formen des Zeitvertreibs. Immerhin wird die Passion des Übersetzers sich erst entfalten an einem Stoff und einen Autor, für die…

Reminiscenze e borbottii / 13

Il vecchio lettore |

Questa volta per prima cosa il vecchio lettore deve cospargersi il capo di cenere e chiedere umilmente scusa ai giovani e non giovani lettori. Nell’ultimo numero di «tradurre» si è sbilanciato ad attribuire l’avverbio endecasillabico «precipitevolissimevolmente» niente di meno che a Dante Alighieri (sarebbe lui l’«esponente dell’avanguardia primotrecentesca» ecc.). Ha fatto cioè una cosa che un vecchio lettore ormai dovrebbe ritenere idiota: si è fidato della memoria, che gli ha fatto collocare in Malebolge ciò che invece

Magda Olivetti Maestra di bottega

di Paola Mazzarelli |

ci preme ricordarla anche qui, e non solo perché alcune persone della nostra redazione sono state sue allieve, ma perché a Magda tutti noi che, a vario titolo, operiamo nel mondo della traduzione editoriale, dobbiamo essere riconoscenti. Per le sue traduzioni, certo, come sempre siamo riconoscenti a chi dedica tempo ed energie per consentirci di leggere autori che altrimenti resterebbero per noi nel mondo dell’irraggiungibile. E questo è scontato. Ma a Magda si deve ben altro.

Che ti dice la patria? / 3 (segue)

TERZA PARTE DELLA STORIA

di Gianfranco Petrillo |

2.5. Dunque è America che diciamo |

Erano passati tre anni da quando Thomas Mann aveva tenuto il suo discorso. Un diciassettenne liceale torinese, nel corso dell’anno scolastico 1925-1926, passò al suo compagno del d’Azeglio, Tullio Pinelli, futuro cosceneggiatore dei capolavori di Federico Fellini, un biglietto in cui esaltava Walt Whitman:

Elogio (misurato) della gabbia

TEORIA E DETERMINISMO NELLA STORIA DELLE TRADUZIONI

di Michele Sisto |

Sull’ultimo numero di «tradurre», nella recensione al mio libro sulle Traiettorie (Sisto 2019), Gianfranco Petrillo solleva una questione fondamentale, non solo per gli studi sulla storia delle traduzioni, ma in ogni studio che si pretende scientifico: può il ricorso alla teoria, ovvero l’adozione dichiarata di metodi e strumenti codificati, diventare una “gabbia” troppo rigida e condurre a una ricostruzione deterministica dei fenomeni indagati? Poiché è un timore che nelle discipline umanistiche sento esprimere di frequente, vorrei approfittare della schiettezza con cui Petrillo lo manifesta per affrontarlo altrettanto schiettamente, allargando il discorso anche un po’ al di là del caso specifico. Nella recensione si legge:

Cambiare verso

SI PUÒ TRADURRE IN UNA LINGUA DIVERSA DALLA PRIMA LINGUA MADRE? OVVERO: DELLA “DIREZIONALITÀ”

di Barbara Ivancic |

Con il termine directionality si indica, negli studi traduttologici più recenti, la prassi di tradurre o interpretare verso una lingua che non corrisponde alla prima lingua o lingua madre di chi traduce (cfr. Pokorn 2011; Apfelthaler 2019). In realtà, il termine si riferiva originariamente in senso più ampio alla coppia linguistica nell’ambito della quale ha luogo il processo traduttorio, salvo poi subire in tempi recenti una sorta di restrizione semantica, per designare appunto esclusivamente la traduzione in una lingua seconda.

L’Altra

di Elvira Mujčić | Ogni volta che mi trovo a riflettere sulle mie appartenenze linguistiche, corro a consultare L’analfabeta di Agota Kristof e Come si dice di Eva Hoffman, quasi a verificare se il mio pensiero trova un riscontro nelle loro pagine. Tuttavia oggi, mentre rileggo il capitolo Lingua materna e lingue nemiche della Kristof, realizzo con stupore che la somiglianza che avevo intravisto tra le nostre esperienze linguistiche, durante le letture precedenti, era stata un abbaglio.

Quando la fedeltà arriva da sola

INTERVISTA A SILVIA PARESCHI

di Norman Gobetti  |

Incontro Silvia Pareschi in una torrida giornata di fine primavera, a Milano, dove è ospite di un’amica (la maggior parte dell’anno la trascorre a San Francisco, dove vive col marito Jonathon Keats, scrittore, artista e filosofo). Quando suono alla porta è mattina presto, e lei mi dice subito che ha trascorso una notte insonne e che quindi non è al massimo della forma (mi aveva anche scritto per disdire l’appuntamento, ma io non avevo visto la mail). Inoltre giungono da un cantiere poco lontano le assordanti pulsazioni di un martello pneumatico. Insomma, l’intervista non comincia sotto i migliori auspici.

Il pensiero si esprime liberamente nel corpo (anche di chi traduce)

TRADUZIONE E EMBODIMENT. RIFLESSIONI A MARGINE DI UN CONVEGNO

di Barbara Ivancic |

Leib bin ich ganz und gar, und nichts außerdem, scrive Friedrich Nietzsche in Also sprach Zarathustra (Nietzsche 1980, 39; «Io sono tutto corpo e nient’altro» – Montinari 1976, 44), attribuendo così al corpo un ruolo che nella storia del pensiero occidentale raramente gli è stato riconosciuto. Nella secolare diatriba corpo-mente o corpo-anima il corpo è, infatti, quasi sempre stato relegato a mero esecutore di quanto deciso altrove, mente o anima che fosse. A ribaltare la prospettiva in modo decisivo, la filosofia fenomenologica, in particolare il pensiero di Edmund Husserl, che riecheggia nell’affermazione nietzschiana, a cui si deve la fondamentale distinzione tra il corpo inteso come corpo proprio, quel corpo che, grazie all’esperienza che lo attraversa, diventa corpo vissuto, e il corpo inteso come corpo anatomico, come corpo oggetto: Leib e Körper, nella terminologia tedesca