INTERVISTA A SUSANNA BASSO di Gianfranco Petrillo | Per fortuna, con la buona stagione e le vaccinazioni il maledetto covid ci ha lasciato un po’ di respiro. Abbiamo potuto guardarci in faccia, Susanna e io, non attraverso uno schermo. Abbiamo potuto conversare, con semplicità. O meglio: la semplicità è tutta sua, la strabiliante semplicità con cui lei sola riesce a dare senso anche alle contorte e banali domande con cui io cerco, invano, di metterla in difficoltà, trovandomi a essere io quello in difficoltà, quello che fino a quel momento non ha capito niente. E capisce meglio ora, oltre a tante altre cose, anche perché «tradurre» chiude, esaurito non solo il suo compito, ma il suo tempo.
Categoria: Pratiche
Per cominciare, spolveriamo libri
CONVERSAZIONE CON NORMAN GOBETTI E PAOLA MAZZARELLI di Gianfranco Petrillo | Mi trovo davanti a due grandi professionisti della traduzione. Dal punto di vista professionale, solo in superficie si può dire che ciò che hanno in comune è la lingua da cui traducono, cioè “l’inglese”. In realtà, attraverso quella lingua, nella loro vastissima produzione esercitano in italiano la scrittura di una grande varietà di generi, dalla saggistica alla narrativa: più quella che questa per Paola, più questa che quella per Norman. E da una grande varietà di Englishes, di “inglesi”: dai classici ottocenteschi ai contemporanei abitatori e attraversatori del globo, dal linguaggio accademico al colloquiale più ardito, con registri vertiginosamente diversi.
Anna Vanzan, tra divulgazione e traduzione
di Giacomo Longhi | In Italia, fino a una ventina di anni fa, la letteratura persiana moderna e contemporanea era quasi inesistente, per quanto le incursioni nell’editoria generalista non fossero mancate. Basti pensare che la primissima traduzione in italiano di un autore persiano moderno, anche se condotta dall’inglese, era avvenuta per Feltrinelli, che nel 1960 aveva pubblicato La civetta cieca di Sadeq Hedayat (Hedayat 1960), mentre nel 1989 Sellerio aveva dato alle stampe una pionieristica antologia di scrittori persiani del Novecento, I minareti e il cielo, curata dall’iranista Filippo Bertotti (Bertotti 1989). Tali episodi, tuttavia, erano rimasti dei casi isolati e fino alla soglia degli anni Duemila le pubblicazioni si erano mantenute sporadiche, non raggiungendo la decina, e per lo più disperse presso editori piccoli e poco distribuiti (Longhi 2016).
La traduzione in situazioni di emergenza: crisi umanitarie, sanitarie, e catastrofi naturali
di Paola Brusasco | Le situazioni di crisi – che si tratti di fenomeni naturali o conseguenze di attività umane – sono caratterizzate da alcuni aspetti comuni: l’evento è inaspettato o smentisce le previsioni, costituisce una minaccia per la sicurezza, la salute, la vita o le infrastrutture, e richiede interventi rapidi per contenere gli effetti (Sellnow, Seeger 2013). Tali sconvolgimenti della normalità, seguiti di solito da una temporanea inadeguatezza delle reazioni e da una limitata possibilità organizzativa, provocano, oltre a vittime e danni materiali, anche traumi, angoscia e confusione. Un diverso tipo di crisi, meno improvviso ma altrettanto critico, è quello che si verifica in zone di conflitto o nei campi profughi, dove spesso vengono messi in atto interventi umanitari. In tutti questi frangenti, la comunicazione assume un’importanza vitale, sia per consentire un’efficace collaborazione fra squadre di soccorso o operatori umanitari – spesso internazionali –, forze dell’ordine, volontari, cittadini, sia per aiutare le persone colpite, alleviarne il dolore o organizzare azioni e strutture di sostegno. Nelle società contemporanee accade inoltre spesso che siano presenti comunità di origini e culture diverse i cui componenti non sempre padroneggiano la lingua locale. La comunicazione, urgente e necessaria, rischia pertanto di essere poco efficace o di non raggiungere una parte della popolazione, il che può determinare conseguenze importanti per tutti.
Quando l’errore è nell’originale
di Daniele A. Gewurz | Sugli “errori” di traduzione è stato già detto un bel po’, a partire dalla problematicità in sé del parlare di “errori”, anziché di interpretazioni, approcci diversi al testo e altre categorie più indulgenti. Un vero o presunto “errore” può a volte far sghignazzare o indignare i non addetti ai lavori, ma più spesso invita alla riflessione, a cercare di evitare il nostro prossimo “errore”. Quando però traduciamo, mentre siamo intenti a commettere nostri errori nuovi di zecca (e qui smetto di usare le virgolette: io e chiunque altro commettiamo errori a profusione, e possiamo parlarne senza pudore), ci capita in realtà anche di imbatterci in errori commessi dall’autore nel testo su cui stiamo lavorando. Perché c’è quell’errore, ammesso che sia tale? Che cosa ci dice? Come vogliamo, o dobbiamo, interagirci? Ecco a cosa mi hanno portato l’esperienza, il confronto con i colleghi e qualche riflessione in proposito.
Ricordo di Enrico Ganni
di Isabella Amico di Meane |
Caro Enrico, mi è stato chiesto di ricordarti con uno scritto. Non sto qui a dirti che ho accettato su due piedi, non tanto perché farlo è un onore, ma per poterti ringraziare, nel ricordarti, per avermi accompagnato per un tratto di vita – con la tua schietta umanità, con quel tuo modo di essere ironico e garbato, piacevolmente unkompliziert.
Con te sono ‘cresciuta’. Ho avuto infatti la fortuna di incontrarti a più riprese lungo il mio percorso formativo e professionale, e di conoscerti in varie vesti: prima in quella di professore universitario, poi di docente di revisione editoriale, infine di editor, attento revisore di alcune delle mie traduzioni.
Una storia tutta da scrivere: della traduzione della letteratura curda in Italia
di Francesco Marilungo |
Introduzione
Lo scopo di questo articolo è provare a dare conto di alcune questioni che riguardano un oggetto da noi ancora poco conosciuto e quasi non identificato: la letteratura curda. Che cos’è? Chi la scrive? Qual è la sua storia? Perché ne conosciamo così poca e cosa ci stiamo perdendo? Purtroppo, parlare di letteratura curda impone spesso il bisogno di una lunga introduzione piena di distinguo e precisazioni noiose. Prima di arrivare a godere dei suoi frutti, occorre sminare il campo da tutta una serie di impedimenti politici e sociali che gravano su questa letteratura, ma allo stesso tempo la caratterizzano.
Siamo introversi e ce ne vantiamo
L’IMPEGNO DELLA LETTONIA A FAR CONOSCERE LA PROPRIA LETTERATURA
di Margherita Carbonaro |
Questa è la prima parte, quasi un’introduzione, di un breve viaggio nella letteratura lettone in traduzione italiana e nelle più diffuse lingue europee. Non so a quale nazione spetti la palma della letteratura meno (immeritatamente) conosciuta d’Europa, e che nello stesso tempo sia la più (meritatamente) degna di essere conosciuta. La Lettonia, in ogni caso, è uno dei paesi candidati al primato, e negli ultimi anni ha messo in campo un forte impegno e una grandissima energia per farsi leggere all’estero. Proprio di questo parlo qui adesso.
La mamma non è una sola
ESPERIENZE DI UNA TRADUTTRICE ROMENA-ITALIANA (O ITALO-ROMENA?) DAL ROMENO (OVVERO ELOGIO DELLA PLURALITÀ)
di Livia Claudia Bazu | Quando mi è stato chiesto questo testo un flusso di memorie e di stringhe di pensiero che avevano sempre camminato accanto a me, ai pensieri espressi in conversazioni, dibattiti o testi che avevo scritto o tradotto, e che era rimasto appena fuori sulla soglia, si è risvegliato. Un fascio di ricordi connessi e di riflessioni implicite, accantonati per il momento in cui avrebbero incontrato l’occasione di farsi dialogo, rispondendo alle sollecitazioni del mondo.
Palombari in immersione
UN’ESPERIENZA DI DIALOGO TRA AUTORE E TRADUTTORI
di Claudia Tatasciore |
Sulle pagine di questa rivista è stato dato ampio spazio alla riflessione sul dialogo tra autore e traduttore, nei vari gradi di partecipazione del primo al lavoro del secondo. Penso, per fare solo un paio di esempi, alla recensione di Elisa Leonzio al libro di Barbara Ivančić L’autore e i suoi traduttori (Leonzio 2014), o al più recente articolo di Ivančić stessa sul caso di Claudio Magris (Ivančić 2019). Volendo riassumere in estrema sintesi la struttura di questi scambi, sono due le direzioni possibili. Quando, come solitamente accade, il dialogo tra autore e traduttore fa emergere gli elementi interpretativi imprescindibili per l’autore stesso, è il testo di partenza che va verso il testo d’arrivo, offrendo delle sorte di linee guida (più o meno vincolanti) per il traduttore. Ma ci sono anche casi in cui il dialogo porta l’autore a tornare sulla propria opera e modificarla, così che, si può dire, è il testo di arrivo a muoversi verso il testo di partenza.