Versi vari e diversi

LA POESIA ARABA È INTRADUCIBILE O VITTIMA DI UNA PERSISTENTE CHIUSURA?

di Francesca Maria Corrao

VERSI VARI 1Per secoli gli intellettuali arabi, i grandi traduttori e commentatori di Aristotele hanno ritenuto che tradurre la poesia di altri popoli fosse irrilevante, perché la propria era considerata perfetta. Ma già nel Duecento, in epoca mamelucca, tra i mistici si avviava la traduzione dei versi dei poeti persiani e turchi. È soprattutto agli inizi del Novecento però che alcuni audaci intellettuali arabi hanno intrapreso un diverso cammino, quello dell’incontro con l’altro, accettando le difficoltà del dialogo tra mondi poetici così vicini e al tempo stesso distanti. Mi riferisco all’attività promossa da Rifa‘at al Tahtawi in Egitto con la creazione della prima scuola di traduzione. Per converso in Europa già a partire dal Settecento vi era stato un crescendo di traduzioni dall’arabo in inglese e in francese, molto meno in italiano, per l’assenza di un progetto sistematico, salvo importanti iniziative individuali come quelle di Michele Amari (1806-1889) e di Leone Caetani (1869-1935). Tale carenza è in parte da attribuire alle prioritarie esigenze di costruzione della nazione e alla minore attenzione verso la cultura del sud del Mediterraneo. Per tale motivo anche il dialogo tra gli intellettuali delle due sponde in Italia è iniziato tardivamente per l’interesse di alcuni studiosi. Eppure la poesia araba ha affascinato fin dal Settecento i grandi poeti occidentali come Goethe, Ungaretti e Borges, solo per citarne alcuni. In Italia comunque a partire dagli anni sessanta del Novecento alcuni intellettuali si sono avvicinati alla produzione letteraria dell’altra sponda. Ricordo ad esempio il convegno sulla letteratura araba promosso nel 1965 dall’orientalista Giorgio Levi Della Vida (1986-1967) e dallo scrittore Ignazio Silone (1900-1978) a cui parteciparono tra gli altri il poeta siriano Adonis (nato nel 1930) e il marocchino Muhammad Bannis (1948).

Nel mondo arabo la poesia ha sempre avuto un ruolo preminente tra le arti sin dall’epoca preislamica. Inoltre il valore della lingua è accresciuto in virtù della rivelazione del Corano. La poesia è sempre stata particolarmente amata; nei versi si trovano i valori più alti della comunità araba espressi con immagini e timbri particolari. La cultura araba nasce nel deserto e la trasmissione orale è sopravvissuta per secoli grazie alle incantevoli allitterazioni e alle rime baciate che ne favorivano la memorizzazione; tali pregi però diventano ardue sfide per la traduzione che voglia mantenere la resa della forma oltre a quella dei diversi livelli di significato in una lingua straniera. In italiano è stato tradotto ancora poco del vasto patrimonio poetico arabo; gran parte delle traduzioni sono state realizzate da arabisti fedeli al contenuto letterale piuttosto che interessati a rendere la modalità espressiva e la forma artistica del poeta. Il più delle volte quindi le versioni non rendono il timbro della parola e si perdono le sonorità ammalianti del ritmo del verso.

Tradurre è trasporre determinati significati e certi modi da un tessuto culturale a un altro, con tutte le inevitabili deviazioni. La traduzione della poesia araba richiede lo sforzo di rendere la musicalità e l’armonia interna del verso e della sua struttura, ma anche trasmettere la voce del poeta, come dice Celan il «timbro dell’altro» (Miglio 2000, 15).

L’aver frequentato i poeti sia in Italia che nel mondo arabo mi ha portato a sviluppare una particolare sensibilità rispetto alle scelte lessicali, tanto che nel tradurre ho dato maggiore attenzione al registro linguistico, provando a trasporre la cadenza ritmica. Dopo aver avviato le prime versioni di poesie dall’arabo mi sono rivolta a Toti Scialoja, che mi ha aiutato a mettere in versi nella nostra lingua un lungo poema di Ibn Hamdis, il poeta di Siracusa dell’XI secolo. La traduzione letterale perde l’anima dei versi che nella poesia classica è nella rima; essa stenta a trovare un lessico adeguato ma anche il ritmo (tarab) che nella cultura musicale araba è la gioia prodotta dal canto dell’interprete.

Per mostrare la sottile ma efficace differenza fra una traduzione letterale e una poetica cito la versione dell’arabista Celestino Schiaparelli (1841-1919) di un brano in cui Ibn Hamdis (1056-1133) piange la sua vecchiaia da esule rievocando le feste siciliane

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Scapricciossi l’anima mia in gioventù: / la canizie poi le portò consiglio (Schiaparelli 1998, 188)

Ed ecco lo stesso testo nella versione di Scialoja (in Corrao 2002, 156-7):

L’anima volle tutto in giovinezza / ed ora la vecchiaia la rimprovera.

Più avanti Schiaparelli traduce i versi seguenti:

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così:

Questa tien per me abbracciato il suo liuto,
quella bacia il suo flauto.
La ballerina raccoglie il piede a misura
della mano che batte la tamburella
ecco dei ramoscelli di cera gialla
che ti mostrano i loro fiori di fuoco
come se questi poggiassero su colonne allineate
e disposte con simmetrica misura (Schiaparelli 1998, 189).

Confrontiamo con la versione di Scialoja:

Vanno le dita sul collo del liuto
le labbra si richiudono sul flauto

Tocca il tamburo la mano che batte
la ballerina mette avanti il piede

Una pallida siepe di candele
porta fiori di fiamma sulla cima

Quasi una fila di lievi colonne
equilibrate in duplice armonia

Dai risultati di quella prima operazione nacque l’idea di realizzare una raccolta di poesie per rendere omaggio ai poeti arabi vissuti in Sicilia tra il IX e il XII secolo. La scelta di ricorrere all’aiuto dei poeti italiani era nata appunto dall’esigenza di trasmettere la bellezza della poesia araba a un pubblico sensibile al gusto poetico. Per avvicinare il lettore poco abituato alle rime arabe ho così coinvolto i poeti, che hanno risposto con curiosità e disponibilità. Dopo Toti Scialoja si sono uniti all’impresa Biancamaria Frabotta, Jolanda Insana, Valerio Magrelli, solo per citarne alcuni, dando inizio ad un’appassionante avventura. Grazie al loro contributo sono poi arrivati altri amici come Emilio Isgrò, Patrizia Valduga, Maurizio Cucchi, Cesare Viviani, e tanti altri sino al grandissimo Mario Luzi. I poeti italiani hanno vagliato una prima selezione di poesie da me tradotte con cura filologica. Hanno così scelto i poemi che meglio rispondevano al loro gusto lavorando sulla traduzione letterale affiancata dalla traslitterazione del testo arabo metricamente scandito, così da poter leggere l’originale e coglierne il senso insieme al ritmo e al suono. In tal modo si voleva unire allo scrupolo filologico la forza della lingua animata e coinvolgente del poeta contemporaneo, per rivelare il passato nell’acuta luce del presente.

Da allora molti altri libri sono stati tradotti, con risultati alterni. Una prima difficoltà nel tradurre la poesia classica araba consiste nel dover decidere se rendere le rime, poiché i versi di un carme finiscono tutti con la stessa rima e non sempre è facile riprodurli mantenendo il senso in italiano. La poesia strofica medievale non rappresenta che una piccola parte dell’immensa produzione classica, e solo i poeti arabi moderni compongono in versi liberi o in prosa. Inoltre l’arabo è una lingua che produce facilmente le allitterazioni, che in poesia, grazie alla natura specifica delle parole arabe, sono infinite.

L’atto del tradurre è stato considerato un negoziato aperto tra letterature, ma anche un dialogo per conoscere e ricostruire un senso attraverso altre esperienze poetiche al fine di creare una qualche forma di integrazione tra le culture (Bhabha 2001; Ceserani 1999, 328; Eco 2003, 83-94); in ogni caso tradurre è una sfida creativa che si lega al tempo e, come spesso dice Adonis quando si parla di traduzione, sfiorisce con il passare delle stagioni per rinascere in nuovi ambienti rivestita da abiti nuovi più degni di abbellire eterni significati.

Per fare conoscere le opere arabe tradotte in Italia, nel 2000 il Ministero dei Beni Culturali ha promosso il volume La presenza arabo-islamica nell’editoria italiana, curato da Isabella Camera d’Afflitto; si tratta di una corposa raccolta di titoli che però alla poesia dedica una sola pagina. La scarsa fortuna della poesia araba è in parte da attribuire al grande orientalista Francesco Gabrieli (1904-1996); nel presentare la storia della letteratura araba, Gabrieli affermava che la poesia araba era noiosa, ripetitiva e nulla aveva a che vedere con quella dei greci. Tale pregiudizio veniva da lontano; risale in fatti ad un commento negativo annotato dal Petrarca in una lettera al Doni. Nonostante la passione di Guido Cavalcanti per Averroè e le allitterazioni arabeggianti di Giacomo da Lentini, le tracce della presenza araba nella poesia italiana sono state cancellate dalle scelte culturali e dal tempo. Solo di recente Valerio Magrelli ha dato un segnale di cambiamento inserendo la poesia di Ibn Hamdis, nella versione di Toti Scialoja, in una recente storia della letteratura italiana (Battistini 2014), aprendo così la porta agli altri idiomi che hanno contribuito a formare il nostro sentire poetico.

Sicuramente le traduzioni letterali sono preziose per lo studio della lingua e la comprensione di un primo livello di significato, ma poco aiutano a capire la bellezza della poesia araba e certo non ne facilitano la diffusione. A volte la resa poetica è utile per risolvere metafore particolarmente ardite, come nel caso dell’immagine poetica del siciliano al-Tùbì, dell’XI secolo:

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che nella traduzione letterale risulterebbe:

invero disse no a un pazzo d’amore
e poi nello scritto due volte;

ma che Magrelli ha reso in modo originale usando le parentesi per rendere in italiano il no che il poeta in arabo ha reso con il segno grafico corrispondente lan:

A un folle innamorato
dicesti di no,
scrivendolo due volte questo N() (Corrao 2000, 41)

Simili risultati sono possibili perché i nostri poeti conoscono e utilizzano tutte le strategie della lingua di arrivo.

Nel secolo scorso le traduzioni di opere classiche erano pubblicate soprattutto dalle case editrici universitarie come quella dell’Orientale di Napoli, che di recente ha pubblicato un’antologia della celebre poetessa irachena contemporanea Nàzik al-Malà’ika (1923-2007) per la cura di Mariangela Masullo. L’Istituto per l’Oriente Carlo Alfonso Nallino di Roma ha pubblicato Mutanabbi, il grande poeta siriano del X secolo, nella traduzione di Gabrieli, ma ha anche divulgato i poeti moderni con antologie curate da Giovanni Canova e altri noti arabisti. Negli ultimi decenni si è fatto molto e si è scoperto che esiste una discreta attenzione da parte dei lettori. Così ad esempio il volume antologico da me curato per «la Repubblica» (Corrao 2004a), grazie all’abbinamento al quotidiano ha venduto decine di migliaia di copie.

Nel tempo si è comunque registrato un crescente interesse tale da motivare altre case editrici a investire nella promozione della poesia araba, a cominciare dalla mistica, con al-Hallaj dell’editore genovese Marietti nella versione di Alberto Ventura (1987) e Rabia di Adelphi per la traduzione di Caterina Valdré (1979). L’editore San Marco dei Giustiniani di Genova ha pubblicato invece molti contemporanei, tra cui i siriani Nizàr Qabbani (Colombo 2001) e Adonis (Al Delmi 1997) e il palestinese Mahmùd Darwìsh (Ladikoff Guasto 2001). Nella stessa collana «I poeti della riva sud del Mediterraneo» Simone Sibilio, nel tradurre i versi del poeta sudanese al Fayturi, ha dato priorità alle scelte lessicali e al registro linguistico, provando a riprodurre la cadenza ritmica:

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Dillo senza paura, urlalo senza viltà!
Ripetilo in faccia all’umanità.
Sono un negro.
Nera è la stirpe di mio padre
nera è mia madre,
sono nero, nero ma libero,
padrone di libertà (De Luca, Sibilio 2005, 24-25).

A queste iniziative si è aggiunta l’antologia di Adonis In onore del chiaro e dello scuro da me curata per Archivi del 900 (Corrao 2005), in cui ho cercato di riprodurre nella traduzione il senso e il ritmo:

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’āriyatan
tatanazziha r-rīḥ

nudo
s’invola il vento

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al-daw’ al-akthar bu’dan
aqraba ilayna min al-zulami
al-masafa ghaliban khurafa

la luce più lontana
è più vicina dell’ombra radente,
la distanza è una leggenda sovente (Corrao 2005, 52-3 e 74-5)

VERSI VARI 2Adonis è tra i poeti arabi il più amato in Italia. Negli anni sono state pubblicate molte opere, tra cui una mia antologia curata per Mesogea (Corrao 1999; la casa editrice messinese ha anche pubblicato le traduzioni di Mariano Baino e altri dei versi del tunisino Moncef Ghachem: Baino et al. 2003). Sono seguite poi le edizioni Guanda (Colombo 1998; Al Delmi 2003, 2006, 2009 e 2014).

Per quanto sporadica, anche l’attenzione delle grandi case editrici ha dato importanti contributi. Tra le opere contemporanee si segnala Joumana Haddad (Capezio 2009 e 2011) da Mondadori; Einaudi invece ha pubblicato un celebre classico, l’Epistola del perdono del grande poeta Abū ‘l-ʻAlāʻ al-Maʻarri (973-1057) per la cura di Martino Diez (2011). Si tratta di un’opera importante di un poeta filosofo che nel mondo islamico ha sempre destato scalpore per il suo razionalismo e anche perché narra del viaggio immaginario dell’autore in paradiso, dove incontra i poeti dell’epoca preislamica. Infine un’attenzione crescente è dedicata alle poetesse arabe: in particolare si segnala la traduzione, per conto della Casa della Poesia, di Gaia Parrini dall’egiziana Fatma Qandil.

La poesia svela l’illusione della separazione, mostra i legami profondi che legano le culture e i sentimenti degli esseri umani, dà modo di gioire della bellezza delle immagini, del senso e delle metafore, porgendo il guanto della sfida al traduttore perché renda insieme al cuore anche il vibrare della voce e il soffio dell’anima.

Per una bibliografia essenziale

Al Delmi 1997: Adonis, Il desiderio che avanza nelle mappe della materia, traduzione di Fawzi Al Delmi, Genova, San Marco dei Giustiniani

– 2003: Adonis, Cento poesie d’amore, traduzione di Fawzi Al Delmi, Parma, Guanda

– 2006: Adonis, Oceano nero, traduzione di Fawzi Al Delmi, Parma, Guanda

– 2009: Adonis, Storia lacerata nel corpo di una donna, traduzione di Fawzi Al Delmi, Parma, Guanda

– 2014: Adonis, Singolare in forma di plurale, traduzione dall’arabo di Fawzi Al Delmi, Parma, Guanda

Baino et al. 2003: Moncef Ghachem e i Dounia, Dalle sponde del mare bianco, traduzione di Mariano Baino e altri, Messina, Mesogea (con CD)

Battistini 2014: Letteratura italiana, a cura di Andrea Battistini, 2 voll., Bologna, Il Mulino (l’intervento di Magrelli si trova nel II volume, Dal Settecento ai nostri giorni; Magrelli ha ribadito la sua scelta accogliendo quella versione di Scialoja, ma senza testo a fronte, nel suo recente Millennium Poetry. Viaggio sentimentale nella poesia italiana, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 16-18)

Bhabha 2001: Homi Bhabha, I luoghi della cultura, Meltemi, Roma (traduzione di Antonio Perri da Location of culture, Routledge, London – New York 1994)

Buffoni 1989: La traduzione del testo poetico, a cura di Franco Buffoni, Milano, Guerini e Associati

Camera d’Afflitto 2000: La presenza arabo-islamica nell’editoria italiana, a cura di Isabella Camera d’Afflitto, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Divisione Editoria, Istituto Poligrafico dello Stato

Capezio 2009: Joumana Haddad, Adrenalina, traduzione Oriana Capezio, Spinea, Edizioni del Leone

– 2011: Joumana Haddad, Ho ucciso Shahrazad. Confessioni di una donna araba arrabbiata, traduzione di Oriana Capezio, Milano, Mondadori

Cassarino 1998: Mirella Cassarino, Traduzioni e traduttori arabi dal VIII all’X secolo, Roma, Salerno

Colombo 1998: Adonis, Memoria del vento, traduzione di Valentina Colombo, Parma, Guanda

– 2001: Nizar Qabbani, Il fiammifero è in mano mia e le vostre piccole nazioni sono di carta e altri versi, a cura di Valentina Colombo, Genova, San Marco dei Giustiniani

– 2007: Non ho peccato abbastanza. Antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo, Milano, Mondadori

Corrao 1999: Adonis, Nella pietra e nel vento, traduzione e cura di Francesca M. Corrao, Messina, Mesogea

– 2001: Francesca M. Corrao, Tradurre poesia araba oggi, in «Il traduttore nuovo», a. LVI, 2001/1, pp. 17-21

– 2002: Poeti arabi di Sicilia, a cura di Francesca M. Corrao, Messina, Mesogea

– 2004a: Antologia della poesia araba, diretta da Francesca Maria Corrao, Roma, L’Espresso

– 2004b: Mahmud Darwish, La mia ferita è lampada a olio, a cura di Francesca M. Corrao, Salerno, Edizioni De Angelis

– 2005: Adonis, In onore del chiaro e dello scuro, a cura di Francesca M. Corrao, Milano, Edizioni Archivi del ‘900

– 2007: In un mondo senza cielo, Antologia della poesia palestinese, a cura di Francesca M. Corrao, Firenze, Giunti

– 2010: Adonis, Ecco il mio nome, a cura di Francesca M. Corrao, Roma, Donzelli

Dahmash 2002: Marocco. Poesia araba oggi, a cura di Wasim Dahmash, Roma, Jouvence

De Luca, Sibilio 2005: Muhammad Al Faytūrī, Canti d’Africa, traduzione di Fulvia De Luca e Simone Sibilio, Genova, San Marco dei Giustiniani

Diez 2011: Abū l-ʼAlāʼ al-Maʼarrī, L’epistola del perdono. Il viaggio nell’aldilà, cura e traduzione di Martino Diez, Torino, Einaudi

Ladikoff Guasto 2001: Mahmud Darwish, Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine, traduzione di Lucy Ladikoff Guasto, Genova, San Marco dei Giustiniani

Masullo 2010: Mariangela Masullo, Translating from Arabic into Italian, in Transeuropéennes, Paris & L’Università di Napoli L’Orientale, Naples 2010 (consultabile on line al’indirizzo http://www.transeuropeennes.eu/ressources/pdfs/TIM2010_Arabic_Italian_Mariangela_MASULLO_40.pdf)

– 2015: Mariangela Masullo, Fiore nero. Amore e morte nella poesia di Nàzik al-Malà’ika, Napoli, L’Orientale editrice

Miglio 2000: Camilla Miglio, Per un approccio “culturologico” agli studi sulla traduzione, in «Osservatorio critico della germanistica», III/7, Università degli Studi di Trento, pp. 14-20

Schiaparelli 1998: Ibn Hamdîs, Il canzoniere, traduzione di Celestino Schiaparelli, a cura di Stefania Elena Carnemolla, Palermo, Sellerio, 1998.

Valdré 1979: I detti di Rabia, a cura di Caterina Valdré, Milano, Adelphi

Ventura 1987: Al Ḥallaj, Dīwān, edizione italiana a cura di Alberto Ventura, Genova, Marietti