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Una storia tutta da scrivere: della traduzione della letteratura curda in Italia

di Francesco Marilungo |

Introduzione

Lo scopo di questo articolo è provare a dare conto di alcune questioni che riguardano un oggetto da noi ancora poco conosciuto e quasi non identificato: la letteratura curda. Che cos’è? Chi la scrive? Qual è la sua storia? Perché ne conosciamo così poca e cosa ci stiamo perdendo? Purtroppo, parlare di letteratura curda impone spesso il bisogno di una lunga introduzione piena di distinguo e precisazioni noiose. Prima di arrivare a godere dei suoi frutti, occorre sminare il campo da tutta una serie di impedimenti politici e sociali che gravano su questa letteratura, ma allo stesso tempo la caratterizzano.

Palombari in immersione

UN’ESPERIENZA DI DIALOGO TRA AUTORE E TRADUTTORI

di Claudia Tatasciore |

Sulle pagine di questa rivista è stato dato ampio spazio alla riflessione sul dialogo tra autore e traduttore, nei vari gradi di partecipazione del primo al lavoro del secondo. Penso, per fare solo un paio di esempi, alla recensione di Elisa Leonzio al libro di Barbara Ivančić L’autore e i suoi traduttori (Leonzio 2014), o al più recente articolo di Ivančić stessa sul caso di Claudio Magris (Ivančić 2019). Volendo riassumere in estrema sintesi la struttura di questi scambi, sono due le direzioni possibili. Quando, come solitamente accade, il dialogo tra autore e traduttore fa emergere gli elementi interpretativi imprescindibili per l’autore stesso, è il testo di partenza che va verso il testo d’arrivo, offrendo delle sorte di linee guida (più o meno vincolanti) per il traduttore. Ma ci sono anche casi in cui il dialogo porta l’autore a tornare sulla propria opera e modificarla, così che, si può dire, è il testo di arrivo a muoversi verso il testo di partenza.

È sempre il libro che traduci a dirti che cosa ti manca

DUE CHIACCHIERE SU SKYPE CON DANIELE PETRUCCIOLI

di Gianfranco Petrillo |

Allora, com’è andata la segregazione? Ti ho immaginato, dentro la tua caverna, un teschio a fare da fermacarte accanto ai dizionari, il tuo bravo leone accucciato in un angolo e l’angelo del Signore ad ispirarti.

Sono a casa mia, a Torino, auricolari nelle orecchie e davanti al computer, e la domanda è per Daniele. Sullo schermo vedo la sua risatina. L’avevamo programmata da mesi, questa intervista.

I tedeschi, prima e dopo Auschwitz

PRIMO LEVI TRADUTTORE DEL PROCESSO DI KAFKA (E ALTRO)

di Martina Mengoni | Primo Levi (1919-1987) tradusse per intero un unico libro dal tedesco, Il processo di Franz Kafka. La traduzione fu pubblicata nel 1983 come titolo inaugurale della collana Einaudi «Scrittori tradotti da scrittori». Quella di Levi fu più che altro una versione d’autore (Marelli 2014), dieci anni dopo la traduzione di Giorgio Zampa per Adelphi (1973) e cinquant’anni dopo quella di Alberto Spaini per Frassinelli (1933) che aveva fatto conoscere in Italia il capolavoro kafkiano.

La recensione / 1 – Una poesia dieci traduzioni

di Eleonora Gallitelli |

A proposito di: John Keats, All’autunno, a cura di Edoardo Zuccato, Modena, Mucchi, 2019, pp. 80, € 8,00; Arthur Rimbaud, Il battello ebbro, a cura di Ornella Tajani, Modena, Mucchi, 2019, pp. 80, € 8,00; William Shakespeare, Sonetto XLIII, a cura di Chiara Lombardi, Modena, Mucchi, 2019, pp. 80, € 8,00; Walt Whitman, O Capitano! Mio Capitano!, a cura di Franco Nasi, Modena, Mucchi, 2019, pp. 80, € 8,00

All’iniziativa di Antonio Lavieri, francesista attivo nel campo degli studi sulla traduzione nonché promotore e curatore dell’opera di grandi teorici della traduttologia come Emilio Mattioli e Jean-René Ladmiral, si deve il lancio di due collane per Mucchi Editore che affrontano il «problema del tradurre» (dal titolo di una raccolta di Mattioli curata da Lavieri nel 2017: Il problema del tradurre (1965-2005), Mucchi) da due prospettive diverse e complementari.

La recensione / 3 – Dalla traduzione come atto creativo alla traduzione professionale

di Mario Marchetti |

A proposito di: La letteratura tedesca in Italia. Un’introduzione (1900-1920), a cura di Anna Baldini, Daria Biagi, Stefania De Lucia, Irene Fantappiè e Michele Sisto, Macerata, Quodlibet, 2018, pp. 320, € 22,00

Il titolo che abbiamo scelto per questa recensione del saggio collettivo La letteratura tedesca in Italia. Un’introduzione (1900-1920) vuole portare l’attenzione su uno in particolare dei tanti aspetti di questo prezioso libro dovuto all’agguerrita collaborazione di Anna Baldini, Daria Biagi, Stefania De Lucia, Irene Fantappiè e Michele Sisto.

Che ti dice la patria? / 3 (segue)

TERZA PARTE DELLA STORIA

di Gianfranco Petrillo |

2.5. Dunque è America che diciamo |

Erano passati tre anni da quando Thomas Mann aveva tenuto il suo discorso. Un diciassettenne liceale torinese, nel corso dell’anno scolastico 1925-1926, passò al suo compagno del d’Azeglio, Tullio Pinelli, futuro cosceneggiatore dei capolavori di Federico Fellini, un biglietto in cui esaltava Walt Whitman:

Quando Montale traduceva (per vivere)

di Edoardo Esposito |

Nel 1927, lasciata Genova, Montale chiudeva il faticoso periodo del suo precariato giovanile e, assunto a Firenze dall’editore Bemporad, poteva finalmente contare su un magro ma sicuro compenso mensile. L’impiego, tuttavia, non procura soddisfazione («Lavoro stupidamente», scrive all’amico Sergio Solmi il 25 marzo), e soprattutto non si configura come sufficientemente stabile; così, dopo poco più di un anno, saputo che stava per diventare vacante il posto di direttore del Gabinetto Vieusseux, è lì che il poeta avanza la sua candidatura. Racconta Giulio Nascimbeni:

Vito Pandolfi

BRECHT E GLI ESPRESSIONISTI NEL TEATRO ITALIANO DEL DOPOGUERRA
di Raffaella di Tizio |
Con il suo impegno di regista teatrale, oltre che di critico, collaboratore e ispiratore di importanti progetti editoriali, Vito Pandolfi fu al centro della prima ricezione italiana di Bertolt Brecht e dell’espressionismo tedesco. Attivo nella resistenza clandestina, era divenuto famoso per la messinscena a Roma nel febbraio del 1943, con il regime ancora saldo al potere, di una personale e sovversiva versione della proibita Dreigroschenoper (1928). Nel dopoguerra svolse una fondamentale azione di divulgazione della drammaturgia tedesca in Italia, ma il suo ruolo di mediatore è stato solo parzialmente acquisito dalla storiografia.

Giovanni Giudici

di Teresa Franco |

La formazione

Il nome del poeta, traduttore e giornalista Giovanni Giudici (La Spezia 1924 – Le Grazie 2011) è legato soprattutto a Milano, sua città adottiva. La sua formazione avviene, però, a Roma, dove si trasferisce dalla Liguria nel 1933, ancora bambino, e vive gli anni più drammatici della storia del Novecento. Nel «pontificio collegio» rievocato in una celebre poesia (Te Deum, in Giudici 2008, 396-400) compie parte degli studi, e nel quartiere popolare di Montesacro, immortalato nelle pagine di una prosa narrativa, trascorre sia l’infanzia fascista sia la giovinezza dell’impegno antifascista (Giudici 1989, 110-133).